Voci da New Orleans: una stretta via di scampo dalla legge marziale

Una storia vera su una fuga dell’ultimo minuto da New Orleans allagata
7 settembre 2005
Dr. Claudia Copeland
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Indymedia New Orleans - 02 settembre 2005

Intrappolati in città

(…) Finalmente siamo in salvo a Baton Rouge. Abbiamo attraversato l’uragano fino al Quartiere Francese (che è all’asciutto, come Marigny, e ha subito ben pochi danni: giusto un po’ di problemi estetici e rami d’albero caduti).
L’idea era di restare lì, perché ci sentivamo male all’idea di andarcene e abbandaonare la comunità che potevamo aiutare rendendoci utili in tanti modi, ma hanno tolto l’acqua corrente, e le nostre scorte di acqua in bottiglia erano abbastanza solo per 5 giorni; inoltre la Guardia Nazionale non lasciava passare nessuno per aiutarci. Scappare non è stato certo facile. Ecco la nostra storia.
I momenti subito dopo l’uragano sono stati caratterizzati da un impegno totale della comunità ad aiutarsi l’un l’altro. La parte veramente terribile del disastro è stata la risposta del governo. Non lasciavano entrare le persone con i rifornimenti. Ci hanno tolto l’acqua. Sono incapaci e incompetenti. Portavano via autobus private da noleggio per evacuare la gente, ma non mandavano i loro. E’ sinistro, pericoloso e disperante. Qui a Baton Rouge la gente ammassa rifornimenti e potrebbe aiutare a portare via chi è rimasto in città, ma la Guardia Nazionale non li lascia fare. (…)

La nostra fuga da New Orleans – Mercoledi (31 agosto)

Hanno tolto l’acqua corrente. Vogliono evitare le epidemie da acqua infetta, ma se ci dessero almeno quella potremmo sterilizzarla facendola bollire. Sento salire il panico. Perché non ho riempito più taniche finché c’era acqua? Negli ultimi giorni ci siamo fatti la doccia, così lo scaldabagno è vuoto. Mi sento proprio stupida.
Anche la situazione nelle strade sembra deteriorata. Ci sono sempre meno persone. Giovanotti dall’aria sinistra si aggirano per le strade semideserte. C’è un senso diffuso di abbandono.
Abbiamo deciso di tentare di andarcene, cercando di contattare chiunque tra i nostri conoscenti abbia una macchina, via telefono o a piedi. Ma nessuno con una macchina è rimasto in città. Allora abbiamo pensato di spostarci nell’appartamento di Jimmy, che è più sicuro, ma abbiamo incontrato dei nostri vicini che ci hanno proposto di lasciare la città in bicicletta e andare fino a Baton Rouge. All’inizio ci è sembrata una cosa ridicola, ma ripensandoci era fattibile: la distanza è di 80 miglia, e portandosi dietro un’abbondante scorta d’acqua saremmo potuti partire di mattina presto e essere là prima di notte. (…)
Poi Jimmy ci ha detto che aveva sentito dire che c’erano bus che partivano dagli hotel. Con qualche ricerca abbiamo scoperto che l’Hotel Monteleone aveva approntato una flotta di 10 autobus scortati da truppe per evacuare i suoi clienti e portarli a Houston. C’erano 200 posti extra in vendita per i residenti a 45 dollari l’uno.(…) Fortunatamente siamo riusciti ad avere i biglietti. Sono tutti felici. Io mi sento sollevata, ma non ancora del tutto tranquilla; non mi rilasserò finché non saremo fisicamente sull’autobus. L’arrivo è previsto per le 18:30, e noi aspettiamo.
Le 18:30 arrivano e passano. 19:30…20:30…21:30…continuiamo ad aspettare i 10 autobus. Ci sono poliziotti armati per sorvegliarci ed evitare corse frenetiche agli autobus, ma sono solo quattro. Il Quartiere Francese è inquietante di notte, terrificante al di là della scorta di polizia. Ad un certo punto si alza un grido di gioia, ma invece della flotta di 10 autobus ne compare uno solo. L’autista scende per parlare con l’organizzatore dell’hotel. Una di noi riesce a sentire che gli altri mezzi sono stati confiscati dalla polizia – il Monteleone li ha pagati e gli sono stati portati via dallo Stato ( certo, per evacuare malati e anziani, ma perché non lo fanno con i loro autobus? Avrebbero dovuto mettere insieme una flotta di 100 mezzi, e farlo lunedì sera, ma invece non hanno fatto niente finché non c’è stato un privato che si è dato da fare, e allora gli hanno preso gli autobus). Il responsabile dell’hotel è livido, ma calmo nonostante la rabbia decide di negoziare con lo Stato. Non lascia trapelare alla gente la notizia della confisca dei mezzi – nessuno lo sa tranne quelli come la nostra amica che discretamente ma attivamente raccolgono informazioni.
Va a parlare con l’autista. Per 50 dollari in contanti a testa ci porteranno a Baton Rouge. Io ne ho 61, lei 14 e Jimmy 50. Chiedo disperatamente e un po’ ridicolamente se accettano assegni o carte di credito. Ovviamente no, e in effetti ci dicono che nessuno nello Stato accetta carte di credito, visti i frequenti furti. (…) Poi provo a pregarlo. Gli dico che al nostro amico serve la dialisi, e che questo è tutto il contante che abbiamo; gli spiego che abbiamo già pagato 45 dollari per i biglietti del Monteleone. Accetta di farci salire, e noi corriamo sull’autobus. Adoro la sensazione di stare seduta sul duro pavimento di metallo del bus rovinato, ma ancora non sono rilassata. Anche questo autobus potrebbe essere confiscato (la polizia ci ha già provato due volte, ma finora sono riusciti a scappare). Mi stringo le ginocchia, e prego di farcela ad arrivare a Baton Rouge. Il bus parte, uscendo silenziosamente da New Orleans, oltre la Crescent City Connection (sospiro di sollievo, siamo ufficialmente fuori città) e oltre, attraverso strade periferiche, passando Donaldsville e il Sunshine Bridge per raggiungere finalmente la I-10 verso Baton Rouge. Arrivati a destinazione, non riesco a credere ai miei occhi nel vedere le insegne e i lampioni accesi. A New Orleans da domenica sera è buio profondo, si vedono le stelle in cielo.
Ci fanno scendere all’aeroporto. Chiedo all’autista il suo indirizzo, così posso spedirgli la differenza, ma rifiuta (ovviamente, è un trasporto pirata) e lo ringrazio di cuore. Ritornerà a New Orleans durante la notte per raccogliere altre persone desiderose di fuggire. Ormai convinta che siamo veramente riusciti a scappare, posso sospirare di esausto sollievo. L’aeroporto, pieno di rifugiati che dormono sul pavimento, mi pare bellissimo. Riusciamo a contattare i nostri conoscenti di Baton Rouge, che ci sono venuti a prendere in macchina e ci hanno pure cucinato uova e toast con i pomodori. Come essere in paradiso.
La felicità è però attenuata da un terribile senso di tristezza per chi è rimasto laggiù, nel terrore di una città nelle mani di criminali e soldati. A stare peggio sono le persone ancora bloccate sui tetti, sedute lì senza cibo o acqua per giorni fino a morirne, o in pericolo di affogare. E gli animali. I nostri vicini con un gesto irresponsabilmente crudele hanno lasciato il loro cane chiuso a chiave nel loro appartamento. Non ci hanno detto nulla, né ci hanno lasciato una chiave. Martedì notte sentivamo il cane grattare disperatamente contro I muri, m avevamo troppa paura per uscire e fare qualcosa. Mercoledì non si sentiva più niente. Mi sento in colpa per non aver rotto una finestra per lasciargli almeno una chance di fuggire, in caso fosse ancora vivo.
Vorrei poter tornare indietro, in un veicolo ufficiale pieno di acqua e rifornimenti, per lasciare gli aiuti e raccogliere chi vuole raggiungere Baton Rouge. Ma non permettono a nessuno di entrare per aiutare. La gente furoi città vorrebbe disperatamente andare a salvare parenti e amici, e sono certa che molti porterebbero rifornimenti. Se il governo fosse competente, se ne potrebbe occupare da solo. Ma non lo è. Bisogna che lascino almeno entrare la gente per aiutare i residenti intrappolati in città.

Note: Tradotto da Chiara Rancati per www.peacelink.it
Il testo è liberamente riutilizzabile a fini non commerciali citando la fanote, l'autore e il traduttore.

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