Tv Brasile, nasce l'emittente dell'informazione pubblica
La data di lancio ha finito per essere troppo anticipata, col palinsesto ancora per aria e il consiglio direttivo fresco di nomina, dopo trattative politiche durate mesi. Ma Lula e la sua equipe volevano che la nuova Tv Brasil, prima emittente nazionale pubblica nella storia del paese, nascesse il 2 dicembre, inizio dell'era digitale nel gigante sudamericano e non un giorno dopo. L'imperativo era che già dalle prime ore di domenica la nuova tv fosse in grado di trasmettere, oltre che sul digitale, in analogico negli stati di Rio de Janeiro, São Paulo, Brasilia e parte del settentrionale Maranhão.
Comprensibile la fretta; ci sono da recuperare decenni di ritardo sul monopolio dei privati. E poi, rinviando la messa in onda si sarebbero prolungate all'infinito le discussioni: dentro a Tv Brasil neri, mulatti e indigeni avrebbero avuto uno spazio adeguato? Ci sarà posto per la miriade di congregazioni e sette religiose al di fuori della chiesa cattolica? Chi supervisionerà l'etica, e l'oggettività delle informazioni? Qualcuno potrà imporre censura?
Comunque si venga a capo di queste questioni, l'intenzione di fondo è ineccepibile: mettere fine all'oligopolio incontrastato del gruppo Globo (che possiede diversi canali tv, 4 giornali, 15 riviste e il 24% di Sky Brasil) e i cui telegiornali somigliano per forma alla Cnn e per contenuti al nostro Tg4. L'assenza di una tv pubblica nazionale era ormai un'emergenza democratica in un paese in cui «perché lo dice la televisione» vale ancora più che altrove.
La tv in Brasile non solo è un mezzo di comunicazione di massa: è l'unico. Complice l'alto tasso di analfabetismo, libri, giornali e riviste hanno prezzi da beni di extra-lusso, al di fuori della portata della stragrande maggioranza dei brasiliani che, per informarsi in modo autonomo e consapevole, dovrebbe rinunciare a un pasto al giorno. Le telenovelas della Globo, in cui anche i ricchi piangono, ma solo i bianchi compaiono e solo le prostituite sono mulatte, sono l'unico punto di incontro di un paese immenso, in cui una ristrettissima elite di otto famiglie ha ereditato, dagli anni della dittatura, la torta mediatica con cui nutrire duecentocinquanta milioni di consumatori. Come dar torto a Roberto Marinho, fondatore e presidente della Globo fino alla sua morte (2003), che amava ripetere «io non racconto il potere. Io sono il potere»?. Contro il monopolio dell'informazione i movimenti sociali avevano indetto per il 5 ottobre scorso una giornata di boicottaggio ai media privati, chiedendo la revisione della politica sulla concessione delle licenze - un tasto dolente rispetto al quale il governo ha fatto orecchie da mercante (forse troppo vicina nel tempo, e troppo stigmatizzata dallo stesso Lula, la mancata concessione a Rctv nel Venezuela di Chavez).
Tv Brasil dovrebbe fare miracoli per ridurre il gap di potere, ma non è nata sotto i migliori auspici. Oltre alle critiche dell'opposizione, che si trovava a proprio agio nella retorica conservatrice della Globo e non vede motivo di usare fondi pubblici per creare un'altra tv, c´è la sinistra, di governo e non, delusa dalla lista di nomi che formeranno il consiglio direttivo (nominato all'80% dal presidente della Repubblica, con diritto di revoca). Ne sono stati esclusi rappresentanti di sindacati, movimenti sociali e in generale di quella composita società civile che in Brasile spesso fa le veci dello stato, e che nell'idea originale della tv - e, tuttora, secondo il ministro della cultura Gilberto Gil - avrebbe dovuto avere un posto in prima fila.
Nonostante avesse carta bianca sulle nomine, e malgrado mesi di «consultazioni dal basso» l'esecutivo ha finito per indorare la pillola all'opposizione accettando di creare un consiglio di notabili: giornalisti e personaggi pubblici di varia estrazione politica (fra i quali, purtroppo, spicca anche Delfim Netto, reciclato ex ministro del regime militare). Difficile che allora Tv Brasil non diventi un mezzo di propaganda quando il governo è avverso ai grandi media privati e, viceversa - peggio ancora - l'ennesimo luogo di concentrazione del potere quando governo ed elite economica tornino a coincidere.
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