Report dal Summit di Ginevra 10-12 Dicembre 2003

29 febbraio 2004
Lorenzo Mazza - lormaz@lycos.it
Fonte: sito di alterazione.net - 29 febbraio 2004
Una prima analisi della struttura dell'evento Dieci Dicembre, ha inizio ufficialmente il WSIS. Sara' world summit of information society -come prospettano le Nazioni Unite- o World Summit On Information Society - come qualcuno urla dall'esterno? La questione fondamentale: quale lo spazio d'azione per gli organismi non governativi, per le iniziative non subitaneamente orientate al profitto, per gli individui piccoli ma culturalmente grandi, per i poveri filantropi ricchi di idee ? L'accesso è praticamente libero, per tutti gli addetti ai lavori che si sono accreditati per tempo. In buona sostanza quanti si sono dimostrati interessati all'incontro si trovano nelle mani una dimensione d'intervento in cui far circolare le proprie idee e ricevere le proposte d'altri. Per tutti i comuni cittadini è aperta previo pagamento una zona dedicata, interessante ibrido tra padiglione espositivo ed esperienza di condivisione di percorsi. Si tratta della hall denominata ICT4D (Information & Communication Technologies for Development), che miscela intelligentemente (nel senso neutro del termine) entità profit e no-profit. In generale l'organizzazione del summit privilegia questo nuovo tipo di combinazione, dando per così dire un colpo al cerchio e uno alla botte. In questo modo si e' fin dall'inizio pensato a soddisfare i due poli estremi dei possibili intervenuti: quello del researcher, che personalmente e volontariamente partecipa per entrare in contatto con i contenuti (tecnici e biologici) del Summit e quello del consumer, un semplice visitatore pagante in cerca di novità o un addetto ai lavori che, spinto più che altro dai suoi superiori a presentarsi, finisce presto per affezionarsi ai 'really side events' del summit. Si tratta delle inaugurazioni presso gli stand, il succedersi dei rinfreschi, l'assordante strillare delle casse e l'inquietante presenza di tantissimi schermi che mostrano le sessioni della plenary room. Inquietanti perché non hanno l'audio e fanno vedere questa enorme sala congressi, inacessibile per i comuni mortali, che restaquasi sempre vuota. Desolante. Queste le strategie utilizzate dai preparatori dell'evento, ma cio' che ci interessa adesso è focalizzare sulle reali presenze e sui comportamenti dei singoli; infine sui loro effetti. Rara e sporadica la presenza di semplici attivisti, persone interessate soprattutto ad un'immersione nell'affollato universo umano. Pochi infatti arrivano al summit completamente a spese proprie, in rappresentanza di alcuna bandiera, associazione o organizzazione. Troviamo qualche universitario, arrivato per approfondire un argomento di tesi o per intraprendere una ricerca. La presenza interessante sarebbe invece quella di semplici individui, che per il fatto stesso di essersi presentati hanno sperimentato questa altra forma di immersione nella moltitudine, di 'agitazione dei linguaggi dell' evento'. Linguaggi troppo spesso stereotipati e pauperizzati rispetto alla pregnanza degli argomenti che andavano ad affrontare. Ecco allora che chi abbandona interessi prettamente personali mette in atto delle pratiche di fruizione diverse, interattive e produttive, al di là della buona riuscita del processo multistakeholder. Incrociando trasversalmente i propri interessi, costruendo ponti su cui possano passare informazioni gratuite e non pesanti retoriche. Di questo passo si privilegia la persona in quanto costituente comunità. Non certo la persona in quanto identità 'ad emergere', non certo il personalismo, che finisce per dare risalto a se stesso attraverso pratiche di cooptazione, poco fruttifere e molto lucrose. I Grandi si ritrovano invece da soli nella zona blu, insieme a qualche delegato governativo e a rappresentanti Ong selezionati. Che stanno facendo di tanto strano da doversi nascondere? Per lo più si annoiano, mettono in scena le solite parate gonfie di pubblicità. Non possiamo biasimarli, d' altronde si trovano a discutere di cose lontane mille miglia dal loro vissuto quotidiano, dalla loro capacità relazionale e dalla loro sensibilità resa triste dal continuo contatto con la politica fatta a tavolino. Che colpa ne hanno loro, sono solo meccanismi di potere. Intanto in uno spazio fisico assurdo, un Palaexpo disumanizzato che è una fiera dei non-luoghi, un'umanità tipica, grandissima e genuina, si trova per un attimo a fermarsi e guardandosi negli occhi, prova a immaginare nuove pratiche di costruzione del mondo. Chissà se alla fine lasceranno anche a loro qualcosa da decidere, chissà se la società civile potrà stabilire sulla propria pelle come organizzare il proprio destino. Un destino diviso tra benessere e povertà assoluta, cibo continuamente buttato via e morti per la fame. La fame non è un tema che può essere assimilabile a quello della comunicazione, secondo gli organizzatori dell'evento. Quindi perché parlarne, perché fare informazione su migliaia di persone che crepano ogni giorno per mancanza d'acqua, di cure e di cibo? Per fortuna che 'we seize' (7) distribuisce gratuitamente una 'Educational daily ration'. Si tratta di vero e proprio cibo, pasta a forma di lettere e numeri con tanto di istruzioni e di ricetta per ottenere una fantastica 'ascii soup', "Nutrion Empowerment for the INFORMATION POOR". Il packaging c'è, il linguaggio pervadente e inconclusiva dei cartelli e delle sigle presenti nel Palaexpo pure. Insomma, successo o fallimento? Ancora presto per esprimersi, comunque vada si tratta dell' innalzamento di ponti: tanti piccoli uomini s' incontrano e provano a parlarsi linkandosi a vicenda. Il trionfo degli sguardi. Diritti umani nella Società dell' Informazione e della Comunicazione Cercando fin da principio di incentrare questa piccola riflessione sulla questione dei diritti umani, secondo la prospettiva che è stata e sarà terreno d'incontro tra la Società Civile italiana ed europea (facente parte della piattaforma CRIS_Comunication Rights in the Information Society) e il movimento pacifista internazionale. Prima dell'anno 2000 le pratiche globalizzazionistiche sembravano delinearsi esclusivamente come strumenti di pianificazione, messi in campo dai cartelli multinazionali della comunicazione (dal cinema, alla pubblicità, passando forzosamente per la televisione, nella direzione dello sviluppo parallelo, etc) attraverso la "normale" introduzione di opportuni standard tecnologici, perlopiù strategie di mercato. Lo stesso termine globalizzazione, il cui utilizzo è emerso nel mondo della sociologia accademica, fino a poco tempo fa riusciva a rendere conto appieno soltanto degli effetti creati da un processo, e poco invece di quegli importantissimi meccanismi che si andavano innescando. In altre parole si analizzava qualcosa nei suoi primi approdi, nelle sue prime conclusioni (definibilità e masticabilità mediatica), e non nelle sue consistenti attuazioni. Adesso ci troviamo all' interno del processo di globalizzazione con un discreto grado di consapevolezza, ed abbiamo la possibilità di portare il nostro contributo. Per cercare di far emergere in modo chiaro e finalmente produttivo le tematiche che ci stanno più a cuore. La società che ci appare oggigiorno stirata dall' estendersi momentaneamente indefinibile delle relazioni sociali (grazie allo sviluppo delle ICT), si è trovata nei giorni del Summit ad incontrarsi di persona, ricostruendo la propria densità. In questo senso è stato raggiunto un primo grande traguardo: si è andata infittendo la trama dei network a livello globale, secondo una prospettiva umanitaria di cooperazione. Ogni singolo delegato si trovava a essere il punto focale per una serie di altri individui non fisicamente presenti al Summit, la cui geograficità era comunque ben rappresentata. L'aspetto prettamente dialogico dell'incontro - che poneva di fronte facce, sguardi, parole, ancor prima che gruppi, bandiere ed identità - assicurava un margine d'intervento anche per quegli individui indipendenti il cui primo intento era la costruzione di ponti, ambienti per la relazione della condivisibilità e l' edificazione di organismi più grandi. Qual è stato dunque il terrreno d'incontro, il background che ha permesso ad una così varia miscellanea di organizzazzioni profit e non-profit oriented, di attivisti e movimentisti di trovare una rampa di lancio su cui organizzare l'agire? Il Summit, gli incontri preparatori nelle università italiane, l'impegno di persone già da tempo sollecitate su questi fronti. Stiamo parlando delle "tre generazioni dei diritti umani", una definizione data tempo addietro dal giurista francese Karl Vasak. La parte seguente, opportunamente tradotta e minimamente integrata è tratta da Saeid N.Neshat, Communication Rights: Fourth Generations of Human Rights, House of Culture and Substainable Development, Tehran December 2003, Olive Leaf Publishing. "La prima generazione fa riferimento ai diritti civili e politici: diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona, alla libertà di residenza e movimento, all'asilo in caso di persecuzione, alla libertà di opinione e all' espressione di questa opinione, alla libertà da ogni forma di discriminazione, alla libertà di associazione e di assemblea pacifica, alla libertà dalla schiavitù e dalla servitù involontaria, alla libertà dalla detenzione, l'arresto o l'esilio arbitrarii, la libertà dalla tortura e da altre forme crudeli, degradanti e inumane di punizione e trattamento, la libertà dall'interferenza nella corrisponedenza e nella privacy, la libertà di coscienza, pensiero e e religione, il diritto a partecipare direttamente o indirettamente nel governo, il diritto a non essere deprivato della proprietà arbitrariamente, il diritto a possedere proprietà (e molti altri ancora). La chiave d' accesso a questa prima categoria di diritti è la libertà, libertà che protegge gli esseri umani da ogni forma politica o civile di abuso o utilizzo incorretto di potere. La seconda generazione riguarda i diritti sociali, culturali ed economici (come il diritto al lavoro, alla protezione dalla disoccupazione, alla sicurezza sociale, all' educazione, alla salute e al rispetto dell' opera culturale, letteraria, artistica e scientifica di ciascuno, sempre citandone alcuni). Sono diritti che cercano di dar forma alla nozione di equità sociale. La terza generazione di diritti è composta dai diritti della solidarietà, il diritto all' autodeterminazione e all' autorganizzazione nella politica, nell' economia e nella totalità del mondo socioculturale. Il diritto alla partecipazione allo sviluppo sociale ed economico, il diritto a condividere i benefici sorti grazie al progresso umano (risorse sulla terra e nello spazio, monumenti culturali, tradizioni e luoghi), il diritto alla pace, il diritto agli aiuti umanitari in caso di disastro e il diritto allo sviluppo. E' molto difficile riuscire a categorizzare i diritti alla comunicazione all' interno di queste tre generazioni, che secondo alcuni aspetti si devono realizzare direttamente nel cyberspazio, grazie al'evoluzione elettronica , e per certi altri al di fuori della Società dell' Informazione, ancora completamente connessi agli aspetti tecnovirtuali della vita, ma in un certo qual modo traslati su di un piano reale, di relazioni umane. La quarta generazione dei diritti umani affianca alla libertà, all' equità e ai diritti collettivi, il diritto a comunicare, secondo quanto suggerito da Jean d'Arcy. Bisognerà partire quindi dai linguaggi, garantendone la diversità. Il 90% dei linguaggi del mondo sono infatti in pericolo d'estinzione entro un secolo. Un altro punto cruciale è il diritto alla costruzione di reti, alla loro messa in opera: l'orizzontalità strutturale dei network facilita il flusso d'informazione tra i network stessi. Da un punto di vista legale, la cornice giuridica che si sta cercando di applicare a questo campo non considera la comunicazione come una mera attività economica che richiede libertà di mercato, ma cerca di far propria questa prospettiva basata sui diritti. Abbiamo infatti avuto occasione di notare che sulla rete liberismo economico è sinonimo di anarchia culturale: spesso internet può facilitare la proliferazione di gruppi estremisti che fomentano l'odio, così come può incentivare il traffico d'armi e il riciclaggio di denaro sporco. In questo senso, da ogni lato, sentiamo il bisogno di un' organizzazione sostenibile della rete, che prima di tutto assicuri un equo ed effettivo accesso all'informazione attraverso l' applicazione, contestualizzata, delle quattro generazioni dei diritti umani". Proprietà intellettuale Anche se a prima vista può apparire strano, il fondamento della Società dell' Informazione è la proprietà intellettuale (IP) e la sua difesa ad oltranza è la diretta conseguenza di un particolare tipo di sviluppo legato all'espansione delle reti digitali, alla transizione delle merci di scambio da oggetti tangibili a beni immateriali. In questo breve passaggio ci limiteremo a focalizzare su alcuni aspetti, rimandando al documento preparatorio al WSIS scritto da Alan Toner (presente in Rete) per una completa trattazione delle tappe e dei processi sottostanti le modalità con cui verrà affrontata la questione all' evento stesso. Esistono dei veri e propri vincoli giuridici che risiedono dietro alla faccenda copyright: i 'Trips' (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights) sono un' appendice del 'Gatt' (General Agreement on Trades and Tariffs) e sono funzionali ad un insieme di interessi politici nello scenario postindustriale. In un mondo dominato dal liberismo a tutto campo, l'unica soluzione per il mantenimento dei primati economici e industriali attuata dal polo industrializzato-occidentale è stata (ancora una volta) l'innalzamento di barriere. Si accumulano diritti di proprietà nelle mani di pochi, aumentando i costi d'ingresso sui mercati ed impedendo di fatto l'ingresso di attori nuovi. L' unico ruolo a cui è deputato il Sud del mondo è un ruolo costretto, a costituire un enorme bacino di manodopera da sfruttare. Attraverso la recinzione delle invenzioni, il concentramento delle energie creative, la proprietarizzazione dei modelli di sviluppo, si vietano forme locali di innovazione, pro duzione ed organizzazione. Fatte queste premesse, appare abbastanza inutile la chiamata all'unità fatta dal Summit: gli attanti in gioco saranno solo funzioni di un piano globale volto al mantenimento delle suddette forme di privilegio. In un' epoca di dilagante capitalismo culturale, immateriale e subdolo nel suo proliferare attraverso oggetti di senso apparentemente neutri, perecepiamo come normale il colonialismo semiotico a cui siamo quotidianamente sottoposti. D' altronde le nostre vite sono soltanto marchi di fabbrica su cui innestare, su cui coltivare e far attecchire. Il discorso dulla proprietà intellettuale andrebbe certamente esteso fino ad inquadrare i 'goals', quei fini (e quei parametri) di vita che ci vengono opportunamente imposti con la forza della persuasione. Le nostre parabole di vita appaiono come il frutto di una libera scelta, ma sono percorsi già instradati, già previsti e prevenuti. Secondo Toner quindi il WSIS altro non sarebbe che un momento di facciata, una parata volta a legittimare ritualmente decisioni già precedentemente avevano lo statuto di legge. Nel far questo si ha però bisogno della costruzione di una visione e di una comprensione condivise in merito alla società dell'informazione. La denuncia di Toner è chiara: si sta organizzando un summit senza contenuto, dove si parlerà di tante belle cose senza una minima possibilità d'intervento, senza riuscire a capire secondo quali regole gli inventori amministrano quale gioco. Ragionando su scala globale non possiamo dargli torto, anche se a livello locale intravediamo l'aprirsi di spiragli, anfratti nascosti nei quali agire: dal basso territorialmente sulle coscienze. Il discorso avrà certamente di che continuare (http://ww.alterazione.net), ma in questa sede c'interessa porre una riflessione finale: il file-sharing ha portato un attacco alle enormi case di produzione (non solo discografiche), denunciando in prima istanza l' esistenza di prezzi improponibili, i cui ricavati finiscono nelle mani delle multinazionali, delle organizzazioni parastatali autorizzate a d estorcere i tributi sui diritti, ma quasi mai agli autori. I reali proprietari dell' oggetto-intelletto ne sono sempre più spesso espropriati ed adesso si trovano a dover affrontare mostruosi cali nelle vendite. Perché? Forse non hanno il benché minimo potere decisionale sui prezzi di vendita dei loro cd. Non è così. Forse non hanno capito ciò che la libera circolazione di un bene immateriale come la musica, sprovvisto del suo appesantimento mercificazionale, può regalare all' umanità? Tutto questo amici, tutto questo. Adesso ci troviamo di fronte a situazioni paradossali: da un lato il peer2peer ha realmente aperto la strada verso la liberazione di un certo tipo di conoscenze: la musica è un sistema educativo totale ed essenziale per ogni essere umano (Platone dixit). Si vedono persone rinascere grazie all' allargamento dei propri orizzonti musicali, alla fine della lobotomizzazione messa precedentemente in atto dalle chart tvs. Dall'altro la facilità con cui si scaricano milioni di brani dalla rete ha reso la merce-musica un oggetto quantitativamente rilevante, ma ancor più qualitativamente insignificante. Alan Toner: "L' obbiettivo è ora la valorizzazione di tale condivisione attraverso la rete come una relazione sociale costitutiva che oltrepassi la semplice aquisizione di prodotti mediatici. La 'libertà dell'informazione' in questi termini non è più una richiesta dei movimenti. Piuttosto, la potenzialità delle relazioni peer-to-peer e la condivisione delle risorse sta nella possibilità di una vera infrastruttura autonoma e una vera autonomia d'azione. Strappare i sigilli dai loro prodotti è stato facile; rompere la cortina di ferro del comando mercantile sulle preferenze individuali potrebbe non essere alttrettanto facile. La nostra libertà informazionale, come ha detto James Boyle, è al suo massimo potenziale: nessuna teoria può darcela. Deve essere conquistata attraverso l'azione colettiva e l'immaginazione, attraverso l'imposizione di un 'noi' fittizio che diviene reale solo nel contesto di una pratica che presuppone la comunità stessa. Il furto delle terre [...] può essere fermato e perfino invertito". Gender Caucus: inclusione, diversità e uguaglianza di genere Prendendo in considerazione ciò che realmente è accaduto sotto i nostri occhi, annoveriamo tra risultati positivi dell'incontro di Ginevra la nascita del Foro Mondiale sulla Disabilità nella società dell' informazione, che agirà nell' ambito dell'invalidità tecnologica, soprattutto digitale. Si tratta di portare allo scoperto invalidità sociali che impediscono l' acesso alla libera circolazione delle informazioni. Prima ancora di risolvere il divario digitale tra il Nord e il Sud del mondo, si vogliono riemarginare quelle ferite provocate dagli scompensi connaturati ad una società che sotto certi aspetti è ancora patriarcale. Ci si sta attivando per un'inclusione di tutti i Generi nel mondo dell' informazione. Portando dentro le donne e le loro istanze di comunicazione paritaria. Portando dentro tutte quelle fasce produttivamente carenti dal punto di vista informazionale. Questa l'iniziativa del "Gender Caucus", una piattaforma d'azione promossa da Unifem (united Nations Development Fund for Women) in collaborazione con la società civile e le ong, che agisce per l'effettiva entrata in vigore dell'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell' uomo. Al summit viene presentata una piattaforma d'azione: esperienze in corso nelle aree piu' colpite di ciascun continente, la conoscenza diretta con gli operatori. Nella prima giornata la testimonianza di donne della Giordania. Si tratta di vere e proprie professioniste. E' sicuramente singolare per il Medio Oriente: la Giordania è uno dei pochi stati arabi che garantisce libertà di acesso alla rete e ai contenuti, senza censura. Il progetto dell'Unifem ha avuto un forte finanziamento statale, perché cerca e riesce a informatizzare piccoli villaggi attraverso ricerche ed d'intervento mirate a operazioni sul campo. La sfida principale risiede nella creazione di nuovi contenuti, a cui fasce della popolazione povere possano affezionarsi. Si procede partendo da una logica di edutainment, per arrivare fino a coinvelgere in prima persona nella creazione di contenuti utili e dilettevoli donne, uomini e bambini illeterati. Attraverso l' universalismo dei linguaggi visivi (interfacce grafiche e rottura delle barriere) si cerca poi di colmare un gap: la gente è culturalmente ricca di tradizioni, ma tecnicamente analfabeta nel mondo delle ICT. Importanteissimoanche il tentativo di garantire un' accesso politico alle ICT': le persone devono poter interagire direttamente con le istituzioni che creano e regolamentano i servizi all' interno del mondo tecnologico. Interessante in fin dei conti la volontà di creare una sensibilità condivisa che rifletta su questi temi, allargando lo spazio alla collaborazione dei singoli. Un universo che proprio sulla bocca di tutti non è. Non resta che cercare di capire a che punto siamo in Italia e in Europa. Cris: assemblea celebrativa Tra le vittorie sottolineate dai relatori della campagna CRIS spicca la volontà da parte delle UN di incentivare la creazione di nuovi paradigmi educativi e di sviluppare accordi internazionali che, attraverso costi compartiti, assicurino ai paesi poveri una significativa riduzione delle spese per la copertura del divario digitale. Durante l' intervento di Alan Green sul punto 2.3 della dichiarazione, come reporter privati ci rendiamo conto che i delegati hanno recepito un istanza proveniente direttamente da una hall del summit. Si tratta del padiglione ICT4D (Ict for development) aperto previo pagamento anche al pubblico. In mezzo a stand di nokia e microsoft, tra rinfreschi, schermi multiproiettanti e interessantissime narrazioni umane di esperienze territorializzate, le parole d'ordine sono state vibrancy e combination. Ebbene anche Green, parlando di conoscenza che, arrivando da nessun soggetto specifico, crea nuova conoscenza, cita la positività di fondo degli effetti di combinazione. Un' altro passo avanti sottolineato da Green è la presa di coscienza da parte della società civile della necessità, vitale, di proteggere la diversità contro ogni forma di omologazione culturale. Qualsiasi sistema di linguaggio deve essere salvaguardato. La grande mancanza, vissuta come una vera sconfitta (anche se momentanea) dal Cris e sottolineata nella giornata di mercoledì da Ignacio Ramonet, riguarda la totale mancanza di attenzione verso i media comunitari. Questo disconoscimento è la dimostrazione della totale ignoranza dei governanti rispetto a questi temi. E stiamo parlando di radio comunitarie sparse in giro per tutta l'Africa, di sperimentazioni comunitarde come le tv di strada e ancora, molto altro ancora. Per finire di parlare delle "vittorie" è d'obbligo ricordare l'interesse dimostrato verso l'Africa e il pacifico e soprattutto la nascita della piattaforma Gender Caucus. Le virgolette sono d'obbligo perché anche al Cris ci si chiede, perché esultare? Perché autocelebrarsi quando nella sala delle plenarie i grandi portano avanti il loro autistico showcase? Dal cris rispondono che si sta celebrando la solidarietà, prima di tutto quella venutasi a creare tra di noi. E' un reciproco riconoscimento della forza insita nelle nostre diversità. "Infine celebriamo -e non è cosa da poco- la nostra entrata -seppure laterale- nel summit: lo abbiamo scalato e non lo abbandoneremo". In conclusione, brevemente, un piccolo call de doleances. Si tratta soprattutto di una riflessione su quello che si potrebbe fare e di alcune proteste-proposte avanzate dai partecipanti tra il pubblico. Parliamo di pubblico, perché comunque anche la riunione del Cris presentava degli oratori su di un palco e lasciava solo una decina di minuti finali agli interventi della gente. Sarà forse l'influenza del summit ufficiale all'interno degli eventi su la stessa società civile? E soprattutto quale o cosa è la società civile, quando le parole, per passare dalle moltitudini ai governi, hanno bisogno di numerosissimi passaggi? Addetti ai lavori, delegati, mediatori, superdelegati ammessi all'interno delle plenarie. E' un meccanismo, questo che dovrà essere rimesso in discussione per essere maggiormente corroborato. In breve: una rappresentante delle fasce più vecchie della popolazione richiama all'attenzione la mancanza di una chiara proposta per l'armonizzazione delle generazioni. Non è cosa da poco e si pensa di poterne discutere nelle giornate successive alla conclusione del summit, dove si potranno risperimentare forme più paritarie di partecipazione alle riunioni. L'altra grossa questione sollevata negli ultimi istanti della assemblea di celebrazione della società civile riguarda la protesta di un rappresentante dell IFPA (International Film Producers Association), un'associazione di cineoperatori indipendenti. Si chiede quali motivazioni abbiano spinto la campagna cris a portare un attacco così frontale ai diritti d'autore. Si chiede che venga riconosciuto il valore della creazione artistica, il suo valore lavoro. La questione è: bisogna ricondurre il lavoro degli operatori cinematografici ad una dignitosa ed etica dimensione lavorativa. Ma qui stiamo attaccando Hollywood, il media dei media, che prolifera incessantemente sulle nostre pelli senza che ci se ne possa accorgere Proviamo a immaginarci cosa potrà essere la società civile. Community media forum Venerdi' 12 Dicembre, ultimi aggiornamenti da uno dei numerosi 'side events' organizzati dalla piattaforma CRIS (Comunication Rights for Information Society). Come già abbiamo avuto occasione di vedere il discorso sui media comunitari non è stato in alcun modo recepito nelle sessioni plenarie. La società civile ha vi ha dedicato invece uno spazio apposito di presentazione e discussione. Durante l'intera giornata gli interventi si sono svolti secondo quest'ordine: Steve Buckley, presidente della World Association of Community Radio Broadcasters, Alfonso Gumucio Dagron (Comunicazione, Democrazia e Diversita' Culturale) hanno introdotto le questioni da affrontare. Alle undici è stata la volta della presentazione di pratiche d'ispirazione: lezioni imparate da trenta radio comunitarie del Brasile ( a cura di Andrés Geerts e Victor van Oyen). A seguire la presentazione delle ottime esperienze di Radio Favela (Brasile) e Radio Los Cumiches (Nicaragua). Il pomeriggio si apre con una tavola rotonda sugli aspetti legislativi della questione media comunitari. Diversi esperti ed addetti ai lavori provenienti dall'America Latina mettono a confronto le proprie idee cercando di porre in risalto le situazioni di sviluppo regolamentativo più intelligente. Alle quindici e trenta e' la volta dell'Africa: un ampio spettro di testimonianze da diversi paesi tenta di consapevolizzare le persone sulle istanze di interconnessione legate allo sviluppo della comunicazione comunitaria in Africa. Si tratta di collegare la battaglia sulle invalidita' di genere, la questione dei diritti umani, la lotta contro l'AIDS e la necessaria volonta' di autorganizzarsi per la creazione di nuovi contenuti. L' ultima parte della giornata presenta il piu' variegato coro polifonico su questo tema. Tra i piu' interessanti l'intervento di Myoungjoon Kim della Corea del Sud. Sottolineano fin dall'inizio la cospicua presenza di donne nel mondo delle ICT della SudCorea, cerca di mettere in risalto quanto questa nazione -non solo tra gli stati asiatici, ma anche rispetto al mondo intero- abbia la fortuna di godere di uno sviluppo tecnologico elevato. Quindi è opportuno parlare non solo di strutture indipendenti e alternative, ma anche di risorse pubbliche per un accesso pubblico. Esiste infatti un canale ad accesso pubblico attivo 24 ore su 24, che costituisce una vera e propria risorsa per la sopravvivenza culturale delle persone. La conseguenza logica dell'intervento di Kim arriva dritto fino alla necessita' della proliferazione dei 'media center', infrastrutture situate in ogni area locale per rafforzare il mediattivismo direttamente sul territorio. Interessantissima anche l' apparizione di Gabriel Hadl, in rappresentanza di Adbusters. Un 'printed media' classico a larga distribuzione, presente in America del Nord, India, Europa ed Africa del Sud. Adbusters è anche un progetto in rete, che non nasconde -anzi esalta- la propria volonta' di appropriarsi di 'mainstream strategies'. Lo fa attraverso la pratica del 'subvertising', la distribuzione commerciale e la costruzione globale di network comunitari. Adbusters.com è infatti presente in rete, dove organizza e pratica l'esperienza del 'buy nothing day'. La presentazione di questa rivista (distribuita gratuitamente durante tutti e tre i giorni del forum), che fa ampio uso del linguaggio visivo e delle sue potenzialità, dara' sicuramente al pubblico del summit da riflettere. Si tratta di capire quale riconoscimento spetti alle avanguardie artistiche, alla loro intrinseca forza creativo-comunicativa. In queste giornate abbiamo infatti visto delinearsi la natura dei processi di comunicazione dal basso all'alto. Potremmo parlare del software libero, di quanto esso sia sulla bocca di tutti, ma alla fine nelle teste e negli spiriti di pochi. Quei pochi che continuamente rivendicano la paternita' della rete, una rete a misura umana. E' stata infatti l'azione dei primi hacker (e non quella dei post-yuppie della new-economy), delle persone che circolavano nelle comuni in california a pensare ad una rete a misura d' uomo. La possibilità di collegare computer su grande distanza si sviluppa negli anni '60 come tecnologia militare. Pian piano se ne appropriano le università, ma il vero utilizzo della rete da parte di liberi cittadini, con finalità democratiche di condivisione avviene ad opera di questi sperimentatori. Queste persone che, attraverso pratiche giuridicamente considerate illegali, mettevano in pratica la libera circolazione dei saperi contro l'indebita appropriazione delle elites, sono ancora oggi rappresentanti di un senso di giustizia, di una vera legalità. In ogni momento dobbiamo ringraziare movimenti di contestazione degli anni '60 e '70, la freschezza ed il fermento legati all'opposizione ludica e creativa verso ogni forma di totalitarismo culturale. Naturalmente non possiamo sottovalutare l'enorme spinta allo sviluppo che nel periodo della Guerra Fredda ha portato l' industria militare ad investire tempo e denaro nell' informatica e nella telematica. Dobbiamo essere grati anche a persone come DeeDee Halleck, l' ultima relatrice della giornata del Community media forum, coordinatrice di Deep Dish Tv Network, una persona che non è più tanto giovane, ma che si prodiga a sviluppare mediacomunitarismo proprio dall'interno dell'America. E' il primo esperimento di tv ad accesso pubblico che trasmette su satellite ed è una 'free speech tv' Inoltre attraverso il 'Buske Group' queste persone sono riuscite a favorire contratti tra le municipalita' e le 'cable companies', le compagnie della banda larga. Non mi sembra cosa da poco e dovremo cominciare a pensarci anche in Italia. Geneva 03: polymedia lab e highnoon:// we seize La mattina del 9 Dicembre la polizia ginevrina si è recata nel luogo dove una cinquantina di persone stavano all'estendo il Polymedia lab, un 'esperienza parallela ed alternativa al summit ufficiale. L'edificio era sto regolarmente affittato dal collettivo degli organizzatori, provenienti da ll'Europa, dall' America del Nord e del Sud. La polizia aveva in mano una richiesta di sgombero dell'edificio, perché non sussistevano le norme di sicurezza per garantire lo svolgersi delle attività del laboratorio. Il proprietario sapeva che vi si sarebbero svolte attività teatrali, perché non era stato correttamente informato. In realtà si andava organizzando una controproposta al vertice ONU: workshops, dibattiti, mediacenter e laboratorio per dare spazio a tutte quelle tematiche rimaste escluse dall' agenda ufficiale. E' iniziata così una trattativa con le autorità ginevrine, nel tentativo di trovare una collocazione entro la serata. Nel frattempo a qualche centinaio di metri di distanza, nel Teatro dell'Usine, il movimento non stava con le mani in mano: si organizzavano i primi incontri e si iniziava l'attività di agenzia stampa in rete, che sarebbe proseguita durante e oltre le giornate del summit, a testimonianza della volontà primaria di fare informazione. Per quanto riguarda il Polymedia lab, l' impressione che si ha avuto fin da subito è stata la mancanza di organizzazione a livello pratico, dovuta alla scarsa presenza di attivisti provenienti dalla Svizzera, che avrebbero dovuto svolgere il ruolo di mediatori con la Municipalità. Proprio quest'ultima nel pomeriggio ha offerto ai ragazzi un nuovo edificio, la Maison des Associationes. Ma una volta giunti sul posto i ragazzi di We seize! si sono accorti che le stanze che erano state loro promesse erano già state occupate da Amnesty, anch'essa parte attiva della piattaforma Cris. Si trattava quindi di rubare spazio a degli amici lo avevano richiesto precedentemente. In qualche modo il Comune di Ginevra stava tentando di boicottare Geneva03, ritardandone la collocazione e stravolgendone i programmi. Brutta cosa per chi aveva puntato tutto sulla pubblicità via internet. Il 10 Dicembre il Comune ha indicato un luogo, il Palladium, una discoteca di fronte al teatro dell' Usine sprovvista però dell'allaccio alla fibra ottica. Aspettando la sera quindi per poter iniziare le attività. Questo iter piuttosto lungo dimostra da una parte la volontà repressiva dei ginevrini, che per salvare il buon nome del summit avrebbero fatto di tutto, dall'altro l'incapacità relazionale del movimento. Se infatti si cominciassero a costruire strategie per prevenire la prevenzione repressiva, si penserebbe all'importanza di costruire un proprio specifico peso politico che garantisca visibilità alle iniziative alternative. Di fatto Geneva03 apparteneva alla piattaforma Cris, senza che tuttavia si capisse secondo quale modalità di ruolo e soprattutto senza che emergesse attraverso quali canali comunicanti movimento e società civile avrebbero potuto dialogare. Per fortuna nei giorni successivi le cose si sono sistemate da sole: molti attivisti pr esenti al Polymedia lab erano anche accreditati a partecipare al Summit attraverso le loro Università, associazioni e testate e molte persone che tenevano conferenze e dibattiti nel Palaexpo si sono affacciate al Palladium e all'Usine. In qualche modo, una buona dose di informazione filtrava continuamente tra queste due realtà. La prima erano costituita da centinaia di migliaia di persone che non avrebbero avuto il tempo materiale per conoscersi tutte; della seconda facevano parte circa 150 persone in stretto contatto fra di loro e direttamente collegate con quanti, sparsi per il mondo, utilizzavano la rete per essere psichicamente presenti in quel di Ginevra. Si è puntato molto sull'aspetto performativo dell'apparato critico messo in piedi. Dimostrando nei fatti che non si stava tentando di distruggere uno status quo, ma che si tentava, scardinando l'ottusità di pratiche disumane, di porre le basi per un nuovo discorso. L'esperimento a cui si guardava con più interesse è stato highnoon, una tre giorni di streaming audiovideo ininterrotto, dal primo pomeriggio fino a mezzanotte. L'appello per la raccolta del materiale video da poter trasmettere in tutto il mondo grazie a tecnologie open source era stato lanciato nei primi mesi del 2003: si cercavano videomakers indipendenti, documentaristi, mediattivisti e chiunque avesse del materiale pronto ad essere liberato nell'etere. Naturalmente l'idea sottostante quest' esperimento era la realizzazione di un primo attacco diretto al mainstream globale, che (che lasciava ampi spazi di rimessa in discussione delle pratiche dei 'corporative media') dimostra un'arrogante disinteresse per tutte le iniziative legate al comunitarismo. Le agenzie stampa nazionali hanno addirittura posto una censura preventiva sugli eventi ufficiali del summit, causata dall'inconsistente notiziabilità dell'evento. "Highnoon sta cominciando. Un gruppo di attivisti provenienti da mezzo mondo, si siede e comincia a contare sulle proprie spalle, perché sa che altri difficilmente lo faranno. Sono smanettoni, elettromusicisti, fantasisti della rete, progettatori psichici di futurabilità. Già sanno che non guadagneranno nessun soldo, non potranno aspettarsi ritorni subitanei, ma guardando al futuro manterranno la speranza". Highnoon è stato un esperimento: high constellations of linked human lives. I linguaggi della gente europea tendono adesso a mischiarsi irrimediabilmente. Le grammatiche, le morfologie di base si mantengono e si interpenetrano, mentre sono le sintassi a sconvolgersi radicalmente. I documenti video provenienti dai cantieri sociali sparsi in tutto il pianeta sono mixati in diretta e riproposti con un simpatico commento vocale. Il tutto è inframezzato da interventi, interviste, momenti di musica dal vivo in un flusso ininterrotto ed eterodiretto. Gran bella prova. Cosa chiedeva hub>geneva03>>polymedia>>>weseize! alla società civile? Uno spazio fisico, in cui riappropriarsi di pratiche di vita comunitaria, dove innanzitutto potersi vedere e, poi, cominciare a sentirsi. L'ascolto ci manca. L'intero mondo abituato a urlare, ad alzare la propria voce, sembra non aver mai avuto tempo per accogliere l'altro nel proprio orizzonte uditivo. L' appropiazione di spazi non utilizzati va in direzione contraria rispetto allo spreco, per la riumanizzazione della vita tecnologica in ambiti condivisibili. E' la logica dei centri sociali, delle case occupate, delle televisioni di strada, del riciclaggio etico. Quello che si dimostrava con i fatti, con le proprie azioni performava un altro mondo possibilmente da scegliere. Un altra interessante proposta è stata la Wipo Projection. Di Fronte all' Organizzazione Mondiale per la Difesa delle Proprietà Intellettuale. La WIPO internazionali come il WTO, - ha spiegato un'attivista - e' responsabile di politiche restrittive sul tema della proprieta' intellettuale tanto per il software quanto per i medicinali". Dal pulmino, messo a disposizione dal gruppo tedesco ExpertBase, e' stato proiettato "Dammi la sirenetta", un filmato fatto da alcuni degli autori della Sirenetta di Walt Disney per mettere in luce gli aspetti piu' grotteschi del copyright e degli interessi economici di chi lo gestisce attualmente, per opere artistiche come filmati e animazioni. A seguire un montaggio fatto di schermate di "warning" provenienti da filmati diversi, ovvero le note che vengono inserite prima di ogni opera visiva per ammonire chi ne fruisc e da ogni tentativo di infrangere il copyright con il quale e' protetto. Una rapida riflessione spostamento qualitativo dell' azione del movimento: non più proteste incloncudenti contro qualche mulino a vento, ma proposte, applicazioni, immaginazioni su cui costruire. Quando è l'accumulazione del capitale cognitivo nelle mani delle oligarchie clientelari a diventare obbiettivo comune di lotta, comuni sono le piattaforme d'intervento che si vengono a creare, nel tentativo si sperimentare alterità a quello che già siamo stati. Quanti negli ultimi tempi hanno raccolto solo dal proprio orto, cominciano adesso a considerare le tecniche di coltivazione del vicino. Pochi rinunciano ad emmettere i propri errori, quando la cura è un rituale magnetico di condivisione. Viva Favela: la condizione di potere Dobbiamo renderci conto che il mondo sta attraversando una crisi generale a livello educazionale. Le risorse economiche che ciascun stato impiega per l' istruzione stanno normalmente diminuendo e con esse la capacità di rinnovare e generare paradigmi educativi. La capacità di adattarsi alla velocità del Cambiamento, vero ed unico codice sorgente dei decenni a venire, risiede nella volontà di costruire processi radicati nella complessa totalità del tessuto sociale, che pongano ne *la condizione di potere* istanze inizialmente povere dal punto di vista economico, ma ecologicamente necessarie alla vitalità del rinnovamento. Proprio questa strutturale mancanza di stabilità del sistema, diviene oggi un' arma a doppio taglio, non garantendo neppure la trasmissione dei sistemi di valori più storicamente longevi. Se infatti come solito ripetere l' antropologo braziliano Darcy Ribeiro "un contadino del Medioevo sa come replicarsi - pu? produrre un figlio uguale a se stesso -, un uomo intelligente di oggi non sa come farlo, perch? i sistemi di formazione vivono in tutto il mondo una parabola discendente". Per nostra fortuna (nostra di uomini), alcune regioni della terra vivono oggistesso pratiche di sopravvivenza e rinascita culturale che possono fornirci degli insegnamenti. Il Brasile è sicuramente una di quelle a cui guardiamo con interesse e speranza, perch? cerca di portare allo scoperto il proprio tentativo di coniugare dignità e affermazione. Durante il Summit di Ginevra nel padiglione dedicato alle tecnologie dell' Informazione e della comunicazione per lo sviluppo, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con Vivafavela (www.vivafavela.com.br) e ne sono rimasto commosso. Si tratta di un' audace testimonianza dei risvolti positivi legati ad una precisa sfida: affrontare con un approccio integrativo l' ineguaglianza sociale. Generalmente si è soliti far riferimento alle favelas parlando dei problemi correlati alla violenza, mettendo in gioco dei preconcetti. La vera questione da risolvere è invece quella della povertà economica e sociale, che nega l' accesso ai *beni pubblici'* per la popolazione di questa città nella città. Come ci spiega un 'professor of Sociology and training sociology' all' Università di Rio de Janeiro, Vivafavela è un' organizzazione finanziata dal Governo brasiliano e dalla Municipalità di Rio con la precisa e futuribile intenzione di creare meccanismi di autosostentamento economico e cognitivo. L' attività comincia dieci anni fa con il posizionamento all' interno delle favelas di dodici 'Future Stations' che offrono diversi servizi in un'unica struttura: internet café, training ed assistenza a livello tecnico ed umano, corsi legati ai nuovi linguaggi delle tecnologie informatiche ed attività finalizzate alla creazione di contenuti che rendano concretamente partecipe l' utenza che li realizza. I sondaggi dicono che il 30% degli abitanti delle favelas usa i Future Points per accedere ad internet ed alla rete civica, mentre normalmente nel mondo solo il 12% della gente usa gli internet café. E' importante che per l' accesso a tutti servizi la gente debba pagare una quota minima, che funga da spinta e motivazione per l' effettivo utilizzo. Per far emergere questa partecipazione, questo coinvolgimento c'è bisogno che vengano prodotti contenuti dalle classi medio-basse per le classi medio-basse, mettendo in movimento a livello educativo e culturale un' omogeneit? che è presente, ma che ha sempre stentato a riconoscersi . Producendo contenuto (e quindi significato) per i poveri si cerca di modificare l' immagine del Povero. Infatti la principale fonte d' informazione sulle favelas è la polizia: si riempiono stampa e televisioni di Rio parlando di questi enormi quartieri, facendo riferimento soltanto alla cronaca nera. Ma soltanto l' 1% della popolazione delle favelas si dedica al crimine, mentre gli altri manifestano cultura ed arte. Per cominciare a supplire a questo degradante processo di rappresentazione dall' esterno, il portale di Vivafavela ha costituito dei nuclei tematici molto forti: le news da shantytown, i report sulla vita nelle favelas prodotti da insiders, la ricostruzione della memoria. La memoria è infatti caduta nel dimenticatoi e non ha strumenti per rigenerarsi e rifunzionalizzarsi. Tutti questi contenuti sono affiancati dall' offerta di aiuti più diretti: una banca dati sul lavoro, un ufficio con avvocati che offrono consulenza legale gratuita, pubblicizzazione di concorsi pubblici di ogni genere: insomma assistenza umanitaria, pedagogica e medica sono garantite, incetivate e rese alla portata di tutti. La comunità delle favelas prima non esisteva. Neanche per se stessa. La parola favela possiede infatti una stigmatizzazione a livello di significato: la gente in qualche modo si emargina da sola, perché considera la propria provenienza geografica una fonte di discriminazione, qualcosa di cui vergognarsi. A portare avanti questo processo hanno contribuito i media mainstream, che con le loro attività di prepotente etichettamento hanno fatto sì che nella popolazione di questi luoghi non si potessse venire a creare una forte consapevolezza delle proprie potenzialità, della propria ricchezza cultural-tradizionale. Ma grazie all' aiuto di un piano di recupero, che ormai va avanti da oltre un decennio, grazie ad una politica sociale inclusiva (soprattutto sul piano digitale), le cose stanno cambiando. Un luogo che sembrava distante mille miglia dal dimostrare attitudini positive e fruttifere nei confronti delle nuove tecnologie, si è trovato ad avere una vera e propria nascita a livello identitario e dignitario grazie ad esse. Questo perché c'è stato anche un grosso impiego di risorse umane: non basta infatti solo mettere a disposizione le tecnologie ed enfatizzare l' accesso, le persone sono tecnicamente illetterate ed hanno bisogno di essere seguite costantemente per essere poste nella condizione di prodursi e riprodursi a livello contenutistico. L' informazione è infatti neutrale e ciò che conta non è soltanto ciò che diamo ai poveri, ma cosa li facciamo fare con ciò che diamo loro. Molto forte è anche l' attività sul versante media: Radio favela è un network che riunisce il circuito delle radio comunitarie. Tutto ciò che viene prodotto dalle tv locali viene trasmesso dai 'Telecenter' che garantiscono forme di fruizione circolari e meno invasive. Il fronte del video, attraverso la 'Roberto Marino Foundation' mette inoltre a disposizione tutor e filmati didattici per quanti hanno lasciato la scuola dopo i quindici anni, ma vogliono comunque ottenere un diploma di scuola superiore cercando di alleggerire l' apprendimento attraverso l'uso dei linguaggi audiovisuali. Il successo di VivaRio passa anche per la volontà visibilmente espressa da chi sta dietro questa Ong di non schierarsi politicamente. L' intero progetto riguarda infatti delle pratiche e non delle ideologie. Le battaglie che vengono portate aventi sono squisitamente poste a livello etico: la lotta al disarmo è una di queste. Grazie all' aiuto di ricercatori che tracciano le rotte d'arrivo delle armi, al contrasto verso qualsiasi forma di facile accesso ad esse, si è venuta a creare dal basso una coscienza legata alla non-violenza che pian pian è arrivata anche in Parlamento: per il 2005 è previsto un referendum, se passerà sarà molto più difficile potersi impossessare di un' arma in Brasile.

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