BERLUSCONISMO

L'immaginazione contro il potere

Tv e sms Dove nasce la ribellione al grande show messo in scena dal Cavaliere
7 gennaio 2005
Vincenzo Susca (Dottorando in Scienze sociali e Scienze della comunicazioone nelle università di Parigi-5 La Sorbonne e di Roma «La Sapienza».)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

I segnali della crisi del berlusconismo sono rumorosi. Il re è nudo e il suo corpo non riesce più a contenere le soggettività che aveva lasciato identificare e bagnato nel suo schermo plastico; esse si ritorcono contro la maschera del Cavaliere, reo di aver promesso senza aver mantenuto, di essersi travestito da ciò che non era: il barbaro della società dello spettacolo. Ormai è chiaro, il presidente non è il garante né del consumo mondano, né di nessuna libertà e neanche delle buone cose di pessimo gusto alle quali parte del vissuto collettivo è affezionato. La comunicazione è stata la grande arma di Berlusconi, non tanto per il modo in cui ha saputo utilizzarla, quanto per il fatto di essere riuscito a identificarsi in essa - a «essere comunicazione» - e a prestarsi da simulacro dell'immaginario collettivo. Ma al di là di ciò che pensa e sostiene caparbiamente larga parte dell'intellighenzia italiana, con in testa Giovanni Sartori, la comunicazione non produce così facilmente «videocrazie». Può consegnare lo scettro del potere, è vero, ma in maniera transitoria e velocemente revocabile. Contattare il pubblico, simularlo o sedurlo non basta a governare. Agitare i sogni collettivi è il dispositivo che più di ogni altro garantisce il consenso; allorché si stimolano nel corpo sociale oniriche vibrazioni collettive un fil rouge inizia a legare il sovrano al suo pubblico, a fonderli nella stessa persona collettiva. E poi? Qui sorge il problema. Su questo terreno si consuma la crisi del berlusconismo e si intravedono le forme del suo superamento. Il grande show messo in scena dal Cavaliere con la complicità oggettiva dei suoi avversari è stato progressivamente svelato per ciò che è: una finzione elaborata a fini personali. I consumatori e spettatori della postmodernità rivelano la saggezza dionisiaca inscritta nel proprio dna in molteplici occasioni, dai taroccamenti su Internet degli spot di Berlusconi alla puntata di Domenica In in cui essi hanno sorprendentemente detto «basta» al presidente del consiglio. In maniera ancora più audace e divertente, la vicenda beffarda del treppiede ha confermato la sedimentazione di uno spirito antiberlusconiano all'interno del corpo sociale. Dopo il fattaccio si è dipanato tramite sms un vorticoso flusso di scherzi e ridicolizzazioni del Cavaliere. Berlusconi ha scelto come vettore della propria mitologia lo schermo televisivo, sino a confondersi con le sue star e merci. Ma la crisi della televisione come cuore del sistema mediale e la conseguente diffusione sociale dei nuovi media digitali e reticolari portano con sé un cambio di paradigma culturale e politico ancor prima che tecnologico. Esso prevede e contiene il superamento del berlusconismo e la sua trasformazione in una rovina della modernità.

Il Cavaliere è la perversione e insieme il compimento della distorta modernizzazione italiana. Una fase che si sta velocemente chiudendo proprio sulla scia dei sommovimenti tellurici agitati dagli immaginari che proliferano nelle viscere del vissuto collettivo, e che trovano nei nuovi media l'ambiente-corpo attraverso il quale rivelare le proprie sensibilità politiche. Si tratta del passaggio fatale dalla società dello spettacolo alla politicizzazione dello spettacolo e dei suoi pubblici. «Per regalarti un sogno a volte non servono una cinepresa, una telecamera, una macchina fotografica: basta un cavalletto!»; «Noi italiani abbiamo un serio problema: la pessima mira»; «Il 2005 inizia con il (trep)piede giusto!» : ecco la serie di slogan propagati subito dopo il fatto di piazza Navona. Non si tratta di istigazione alla violenza: siamo di fronte alla contestazione del berlusconismo attraverso le armi (non)politiche del ludico e dell'immaginario. L'immaginazione contro il potere. La protesta non si esprime nella cornice culturale del politico, la elude e raggira, vi si oppone senza iscriversi nel suo codice simbolico. I media hanno progressivamente liberato le sensibilità (ri)creative delle masse. Il tele-politico, entrato nella spirale del consumo, dopo aver sfruttato la sua parabola inebriante non ha potuto sottrarsi alla sua fase depressiva. La merce-Berlusconi è ormai vittima del destino di ogni oggetto, di ogni vedette che non ascende all'eternità della star - è consumata nel senso etimologico del termine: dissipare, distruggere. Game over.

Cosa sta sorgendo dalle polveri del berlusconismo? Suggerirei che l'avversario reale di Berlusconi non abita nei seggi del parlamento, non scrive libri, né impartisce lezioni all'università; frequenta invece i flussi immateriali delle comunicazioni, si insedia nei territori dove il ludico, l'affettivo e l'immaginario prevalgono sul politico, sui miti del progresso, della ragione astratta e del lavoro. Risposte efficaci al berlusconismo provengono da quanti stanno elaborando forme di vita al di là e al di qua del politico, dagli assembramenti emozionali che segnano le aggregazioni giovanili alle feste musicali, dalle comunità virtuali alle forme che Michel Maffesoli descrive come espressioni del nuovo «materialismo spirituale». Su questo terreno risiede la ribellione, pericolosa minaccia e al tempo stesso segno del rinnovamento delle nostre democrazie in crisi.

Ecco i segnali della comunicrazia nascente. Possiamo continuare a credere che la vicenda degli sms anti-berlusconi sia solo un giochino senza senso (politico). Rischieremmo tuttavia di far perdere alle sinistre un'altra occasione di agganciarsi e comprendere le forme di quello che Alberto Abruzzese chiama il «tempo nuovo». Dietro il «giochino», come ci insegna Caillois, si nasconde l'anima del sociale, il suo immaginario. Perché il corpo sociale sceglie come trasgressione del berlusconismo le battute degli sms e non gli slogan dei partiti dell'opposizione? Vogliamo ignorare questo dato, o è meglio comprenderlo? L'immaginario postmoderno porta con sé una volontà di potenza anti-politica perché propriamente politica. Chi fino a oggi è stato spettatore non si accontenta più di assistere allo show: vuole agire e veder riconosciuta la propria identità. Il pubblico non si accontenta del Grande Fratello e trasmigra velocemente dal trivio alla piazza. Il prossimo grande reality show inseguito dalle masse intelligenti (e non) è proprio lo spettacolo del potere. Con il Cavaliere si sta sgretolando l'asse più oscuro del moderno. Se la sinistra non vuole perdere le sfide della postmodernità e veder trionfare i populisti che presto si affacceranno nel cyberspazio deve comprendere il passaggio dalla democrazia alla comunicrazia: un sistema che riposa sugli immaginari delle comunità dal basso, sulla forza (ri)creativa della comunicazione orizzontale e glocale, sulle comunioni che continuamente si celebrano attorno ai feticci, ai simboli, agli affetti e ai giochi della vita quotidiana.

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