Marocco: lavoratori portuali bloccano i pezzi degli F-35 destinati a Israele
Le proteste, già avviate nelle principali città marocchine, si sono intensificate in concomitanza con l'arrivo di due navi portacontainer: la Nexoe Maersk, registrata a Hong Kong, e la Maersk Detroit, battente bandiera statunitense. Secondo fonti vicine ai lavoratori, i carichi erano destinati alla base aerea di Nevatim, nel sud di Israele, un centro operativo chiave nei bombardamenti sulla popolazione palestinese.
Il gesto dei portuali marocchini non è isolato. Si inserisce in una crescente ondata internazionale di solidarietà attiva: quella che rifiuta il semplice lamento e sceglie di interrompere concretamente i meccanismi che alimentano la guerra.
Bloccare le armi non è solo un atto simbolico. È un modo per ricordare che anche nei gangli del commercio globale esistono margini di scelta e dignità. È il segnale che le persone, quando si uniscono, possono inceppare l'ingranaggio apparentemente inarrestabile della violenza.
Emerge da questo episodio una domanda potente, che interpella anche noi: come possiamo, nei nostri contesti, trasformare l'indignazione in azione?
La storia dei portuali marocchini ci invita a ripensare il nostro ruolo di cittadini: non spettatori rassegnati, ma protagonisti di una resistenza diffusa, creativa, nonviolenta.
Loro hanno scelto da che parte stare. E noi?
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