Una regia "atlantica" dietro la strage di Bologna del 1980
Dietro la bomba del 2 agosto 1980, che uccise 85 persone e ne ferì oltre 200, non ci furono solo i killer materiali di estrema destra. La magistratura ha parlato esplicitamente di una "cornice piduista" in una "prospettiva politica atlantista". Un’espressione che rimanda al ruolo di Licio Gelli e della loggia P2, ma che apre anche a figure meno conosciute eppure centrali, come Federico Umberto D’Amato.
L’uomo collegato alla Nato e alla CIA
Ma ciò che più colpisce è la sua relazione privilegiata con l’intelligence statunitense. In un documento autobiografico, sequestrato dalla magistratura di Venezia durante l’inchiesta su “Argo 16” e poi acquisito al processo per la strage di Brescia, D’Amato rivendicava apertamente la sua lunga collaborazione con gli Stati Uniti:
“Federico Umberto D’Amato partecipò alla Seconda Guerra Mondiale collaborando in giovanissima età con l’OSS, conoscendo anche i suoi fondatori il Gen. Donovan ed Allen Dulles. Fu insignito della Medal of Freedom e, nei successivi 40 anni, è stato collaboratore della CIA. In particolare, fu in fraterna amicizia con James Angleton, il mitico capo del controspionaggio americano”.
Una biografia che suona come un’ammissione: uno dei perni del sistema di potere dietro la strage di Bologna era un collaboratore diretto della CIA.
A Federico Umberto D’Amato, deceduto nel 1996, è intitolata una sala della sede Nato di Bruxelles, scrive Davide Conti.
La “protezione” americana
D’Amato godeva di una “protezione” da parte dell’autorità statunitense. Non si tratta di una supposizione, ma di un dato riconosciuto anche dallo stesso D’Amato e riportato nelle carte giudiziarie. Questo legame privilegiato lo mise al riparo da indagini e sospetti per decenni, mentre il suo ufficio raccoglieva informazioni sensibili e, in molti casi, le manipolava per orientare l’opinione pubblica e depistare le indagini sulle stragi.
Questa protezione si inserisce nella logica della Guerra Fredda, quando in Europa si combatteva una guerra “non dichiarata” contro il comunismo. L’Italia, paese di frontiera, divenne terreno di scontro di apparati e strategie: la cosiddetta “strategia della tensione”, in cui il terrore serviva a spostare l’asse politico verso destra e a consolidare l’adesione al blocco occidentale.
La “cornice piduista” come strumento politico
Licio Gelli e la P2 furono, in questo schema, un ingranaggio funzionale. Non un potere parallelo, ma un potere interno, che agiva in sintonia con interessi atlantici e con una visione autoritaria della sicurezza. Le connessioni tra Gelli, D’Amato e altri uomini dello Stato non rappresentano deviazioni isolate, ma l’espressione di un sistema di controllo occulto costruito per difendere l’Italia da un presunto “pericolo rosso”, anche a costo di destabilizzare la democrazia.
La strage di Bologna appare dunque come l’apice di quella strategia: un atto terroristico usato come leva politica, coperto da complicità interne e protetto da silenzi internazionali.
La necessità della verità piena
A più di quarant’anni di distanza, acquisizioni processuali e le inchieste giornalistiche — come quella pubblicata il 30 settembre 2024 da Domani (“Federico D’Amato e le sue amicizie, da Francesco Cossiga a Vincenzo Parisi”) — rafforzano l’idea che la strage non fu solo un episodio di fanatismo neofascista, ma una tappa di un disegno più ampio, nel quale pezzi dello Stato e interessi stranieri agirono in convergenza.
https://lists.peacelink.it/news/2024/08/msg00000.html
La Nato e le stragi neofasciste in Italia. Da Piazza Fontana a Piazza della Loggia e alla stazione di Bologna: tanti gli elementi storici emersi di connessione tra gruppi neofascisti e ufficiali dell’Alleanza atlantica
https://lists.peacelink.it/cultura/2022/02/msg00004.html
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