Taranto, latte alla diossina. Secondo la Regione "il caso è isolato"
Non è in vendita il latte alla diossina di Taranto. Né avrebbe potuto venderlo l´allevatore che portava il suo gregge a pascolare nei pressi della zona industriale del capoluogo jonico: la Asl non gli ha mai rilasciato l´autorizzazione alla vendita del latte e di suoi derivati. Pecore e capre erano allevate per essere destinate alla macellazione. Ora, alla vigilia di Pasqua, quando è facile che s´impenni la corsa alla masseria per l´acquisto di carne "genuina", dal produttore al consumatore, per quell´allevamento, a Statte, non c´è scampo: la Asl jonica ha già disposto il fermo sanitario.
Alla conferenza di servizi, convocata con urgenza alla Regione Puglia, c´erano tutti: il governatore Nichi Vendola, gli assessori regionali Alberto Tedesco (sanità), Enzo Russo (agricoltura), Michele Losappio (ambiente), Massimo Ostillio (turismo). Poi il prefetto di Taranto, Alfonso Pironti, il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, il direttore generale della Asl, Mimmo Colasanto, il direttore generale dell´Arpa, Giorgio Assennato.
Il vertice in un paio d´ore ha verificato e accertato che quello scoperto è un caso isolato. Tira un sospiro di sollievo, il governatore: «Non c´è emergenza. Non siamo in provincia di Caserta. La produzione di latte e derivati nelle aziende del tarantino è assolutamente normale».
Quello è arrivato mercoledì sera, con i risultati delle analisi fatte dall´Istituto zooprofilattico di Teramo sui campioni di latte e formaggio prelevati dal servizio veterinario della Asl il 13 marzo scorso nello stesso allevamento dove s´era rivolto il volontario di Peacelink. Non è stato l´unico campione prelevato. I veterinari della Asl jonica hanno bussato anche a un´altra azienda zootecnica della zona. Ma in questo caso l´esito delle analisi è stato negativo: latte e mozzarelle non erano "inquinati" da diossine. La ragione sta nel fatto che in questa azienda, per l´alimentazione degli animali si usano mangimi e non si fa ricorso al pascolo libero.
Circoscritto l´allarme, isolato il focolaio, ora comincia un lavoro di verifica sul bestiame per capire se dev´essere vietata la vendita anche per la macellazione. Dalla Asl, comunque, assicurano che la situazione è monitorata.
Ora, però, bisognerà fare le verifiche sulle altre aziende zootecniche della zona. Sono una quindicina. Vendola insiste: «Non si tratta di un´emergenza», anche se rivela di aver chiesto «un aiuto anche all´Istituto superiore di sanità».
Poi rilancia e punta dritto all´Ilva, perché dagli allevamenti osservati, i camini del siderurigico si vedono eccome. «I livelli di diossina emessi dall´Ilva devono calare, si deve passare dal 4,5% di emissione globale all´1%. Daremo anche impulso alle attività di bonifica nel sito di interesse nazionale di Taranto». La caccia all´untore, tuttavia, non porterebbe comunque da nessuna parte. Assennato è cauto: «Aspettiamo per comprendere con esattezza le sorgenti industriali e non industriali responsabili di questi superamenti che sono estremamente localizzati».
Perché non c´è solo un problema di diossina. Il direttore generale dell´agenzia regionale per la protezione dell´ambiente, avverte della presenza del pcb, il policlorobifenile i cui eccessi «non derivano dai fumi, dai camini industriali, ma dall´uso negli anni, ora per fortuna non più esistenti, di questi composti nei trasformatori per i quali, in alcune aree adiacenti l´area industriale tarantina, possono esserci degli effetti». Latte, mozzarelle e pranzi pasquali, per ora, sono salvi.
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