Taranto, esami sugli animali dopo l'allarme sul latte
BARI — È stato disposto il «fermo sanitario» per l'allevamento tarantino che ha prodotto latte con concentrazioni di sostanze tossiche superiori al consentito. Significa blocco della vendita (di ovini e caprini).
Ma niente allarmismo, predica la Regione. «Carne, latte e mozzarelle di Taranto - dice Nichi Vendola incontrando i giornalisti non sono da bandire perché inquinate. L'allarmismo sarebbe ingiustificato».
Della vicenda si è occupata ieri un'affollata «conferenza dei servizi». Attorno al tavolo, convocato dalla Regione, erano sedute tutte le autorità coinvolte: Comune, Provincia, Asl e prefetto di Taranto, quattro assessori regionali (Salute, Ambiente, Agricoltura, Turismo) e l'Arpa. La conclusione della riunione ha tranquillizzato tutti. «Non sottovalutiamo nulla - dice Vendola - ma possiamo dire che il latte tarantino è salubre».
Quello accertato nelle ultime ore sarebbe dunque solo un caso isolato. È venuto alla luce grazie alla caparbietà di Peacelink, associazione pacifista ed ecologista di Taranto, che ha fatto analizzare il formaggio prodotto da un'azienda di allevamento insediata nei dintorni dell'Ilva. Le analisi, eseguite in un laboratorio non accreditato di Lecce, sono risultate poco confortanti ed hanno indotto l'Asl ad approfondire.
Sono stati controllati due degli allevamenti che si trovano nei dintorni dello stabilimento siderurgico (in tutto sono una quindicina). Ma ieri non è stato chiarito se tra i due esaminati ci fosse quello su cui Peacelink aveva concentrato l'attenzione. Sta di fatto che nel latte prodotto da una delle due aziende esaminate (allevamento di ovini e caprini) è stata superata la concentrazione ammissibile di diossina e Pcb. Ovvero Policlorobifenile: sostanze contenute soprattutto nei grandi trasformatori elettrici e di cui v'è traccia nei dintorni dell'Ilva e in Mar Piccolo a Taranto.
Dei due allevamenti sottoposti ad esame, quello risultato positivo alla diossina e al Pcb pratica il «pascolo vagante ». L'altro no e si limita a somministrare mangime selezionato alle bestie. Si potrebbe pertanto ipotizzare che le sostanze tossiche possano essere entrate nel circolo tramite zone inquinate di terreno. Dettaglio non secondario: l'azienda sottoposta a fermo non vende latte o derivati, ma solo animali da macellare.
Il latte (o eventuali formaggi prodotti) servivano all'allevatore ad uso interno all'azienda. Ad ogni modo anche le bestie saranno esaminate. Per il direttore dell'Arpa, Giorgio Assennato, «la situazione non desta allarme di tipo sanitario ». Il caso rilevato, peraltro, «non determina nessun effetto di tipo acuto nella popolazione ». Insomma, sembra di capire che non ci sarebbe rischio di sentirsi male se per una volta si mangiasse quel formaggio.
Naturalmente questo non induce le autorità ad abbassare la guardia. Assennato parla della necessità di individuare le «sorgenti industriali o non industriali » che possono aver contaminato il ciclo. Per Vendola non siamo al cospetto «di un caso Caserta». Ovini e caprini dell'azienda sotto fermo sanitario potrebbero aver pascolato «in terre incontrollate da decenni» dove possono essersi depositate scorie tossiche.
Chiarito questo, le analisi non si fermano. «Continueranno - dice il governatore - su aziende, prodotti e terreni: vogliamo un quadro preciso». Sul ruolo e la presenza dell'Ilva, Vendola non si sottrae: «C'è un negoziato in corso sull'emissione di diossina. Pur essendo l'azienda dentro i vincoli di legge, vogliamo abbattere la soglia raggiunta e arrivare ad una riduzione dell' 80%, per scendere dall'attuale 4,9 all'1%».
L'allevamento Ieri i cancelli erano chiusi con un catenaccio
L'Asl: «Ma qui non siamo in Campania»
Vincolo sanitario sul fortilizio in campagna
TARANTO — Scatta il «vincolo sanitario » per i 257 capi di bestiame, capre e pecore, dell'allevamento tarantino che produce il latte in cui sono stati rintracciati valori fuori norma di diossina e policlorobifenili.
«A scanso di equivoci - spiega Michele Conversano, responsabile del dipartimento di prevenzione della Asl di Taranto, - è bene dire che si tratta di un allevamento da carne.
Nulla a che fare quindi con caseifici e produzione di formaggi e mozzarelle. Il latte prodotto dagli animali serve al circuito interno all'allevamento, cioè come nutrimento dei piccoli ma non può finire fuori.
Abbiamo applicato la misura prevista in questi casi del divieto assoluto di commercializzazione, cioè i capi non possono essere macellati fino a nuova disposizione».
Il gregge trovato a brucare tranquillamente erba alla diossina sotto le ciminiere dell'Ilva appartiene alla masseria Quaranta. Si trova sulla Statte- Martina Franca e sembra un vecchio fortilizio. Ieri, mentre a Bari era in corso il vertice in Regione, era chiusa con il catenaccio. L'allevatore è il maggior danneggiato, è la vittima di una situazione che chiama in causa molte istituzioni.
Nessuno mai ha stabilito i divieti di pascolo perché nessuno ha mai effettuato controlli per accertare se le aree fossero inquinate. «Non c'è alcun motivo per creare allarmismo - dice Giovanni Cappiello, presidente dell'associazione provinciale allevatori, - si tratta di un solo caso accertato. La maggior parte dei nostri allevamenti sono bovini da latte a saturazione fissa, cioè gli animali sono in stalla e mangiano foraggi e mangimi controllati e garantiti. Anche le greggi al pascolo si nutrono con mangimi pilotati e sottoposti a controllo. Il pascolo è solo una quota parte dell'alimentazione.
Ogni accostamento con quanto sta avvenendo in Campania è fuori luogo e lontano dalla realtà dei fatti». L'altro allevamento controllato dai tecnici della Asl, difatti, è uscita indenne dai controlli dell'istituto zooprofilattico di Teramo proprio perché gli animali basano l'alimentazione sul pastone. Nel frattempo il dipartimento di prevenzione dell'Asl tarantina ha allargato il raggio dell'area sottoposta a controlli e ha effettuato prelievi anche in altri allevamenti, a Crispiano, Montemesola, Massafra.
Invierà i campioni in istituti specializzati e accreditati di Foggia e Lecce. I risultati arriveranno la settimana prossima. Se ci saranno riscontri positivi, cioè se saranno trovate tracce di diossina e pcb, si procederà per cerchi concentrici sempre più larghi. «Voglio aggiungere - dice Michele Conversano che tutte le aziende sono sottoposte ai nostri consueti controlli sugli alimenti destinati agli animali, sulle carni delle bestie macellate e sui prodotti organici per verificare la presenza di ormoni, antibiotici e altre sostanze. Non è mai stato accertato qualcosa di irregolare».
L'esperto, Il dottor Stante:
«In questa città c'è tanto lavoro da fare, non c'è un controllo sistematico, manca tutto, anche il piano di intervento»
TARANTO — «A Taranto c'è tanto lavoro da fare. Non sappiamo ancora quali diossine siano prodotte, non abbiamo l'inventario delle emissioni, manca l'elenco delle aree sensibili e la loro delimitazione». Aldo Stante, uno dei più autorevoli esperti di chimica industriale, fa il punto sulla situazione dopo l'allarme diossina rilanciato dal ritrovamento della sostanza nel latte.
Dottor Stante, Taranto è inquinata e deve fare i conti con la mancanza di un efficace sistema di controllo. E' così?
«Taranto convive con un polo industriale più grande della città stessa, attualmente le associazioni si sono scatenate giustamente sulla diossina. Però ciò che è più preoccupante dal punto di vista strutturale è che manca la programmazione organizzata e il piano di interveto sul territorio».
In sostanza, di cosa c'è bisogno per tenere la situazione costantemente sotto controllo e aggiornata?
«Serve principalmente una rete di monitoraggio costante. Noi non abbiamo la così detta impronta del cloro, cioè quale tipo di inquinante prevale. In questo caso parliamo delle diossine e non conosciamo quale dei 213 congeneri sia maggiormente presente. Siamo carenti anche sul piano del personale. A Taranto serve una squadra di tecnici preparati e formati che agisca in loco in modo continuativo. E' indispensabile la conoscenza del suolo contaminato e quindi degli alimenti che ne derivano. Ancora serve studiare l'accumulo degli inquinanti organici persistenti, i così detti pop nel grasso dei mitili in fase di sviluppo. Di qui deriva il piano di rischio per la popolazione ».
Cosa c'entrano i mitili?
«E' vero che la diossina viene trasportata anche dal vento, ma soprattutto l'acqua di dilavamento la trascina a mare dove inquina sedimenti, cozze e vongole. L'uomo introduce la diossina non con la respirazione ma con l'alimentazione. Basti pensare all'allarme in Campania per i derivati del latte».
Quindi la diossina non si respira, ma si mangia?
«E' così. Le diossine non esistono in natura. Si formano attorno a temperature di 350 gradi quando c'è carbonio in certe forme, composti clorurati e ossigeno. La mescolanza di questi tre elementi comporta la formazione di diossine. Quando si diffondono in aria sono solide e si trovano nelle polveri. Il rischio per l'uomo è la loro introduzione con l'alimentazione».
A Taranto dove si produce diossina?
«La grande industria, Ilva, Agip, l'inceneritore. Tutta l'industria termica, in sostanza. Il rischio è il rilascio continuo, quasi omeopatico di diossina dalle fonti di emissione. Sono sostanze stabili che non si trasformano, a elevata tossicità e rimangono nel corpo umano ».
Cesare Bechis
Allegati
Corgiorno 22 Marzo 2008
98 Kb - Formato pdfDiossina, niente allarmismi ma i controlli continuano
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