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Una fabbrica così negli Stati uniti sarebbe già stata chiusa

Intervista al Prof.Antonio Giordano, ordinario di anatomia a Philadelphia
2 agosto 2012
Fonte: Il Manifesto

Antonio Giordano è figlio d'arte. Il padre, Giovan Giacomo, nel 1977 scrisse il primo libro bianco sull'inquinamento in regione, Salute e ambiente in Campania, mappa della nocività che portava all'attenzione nazionale problemi come l'inquinamento del fiume Sarno, tutt'ora il più contaminato d'Europa, e il caso Bagnoli. Direttore scientifico dell'istituto partenopeo per lo studio dei tumori, fondazione Pascale, venne 'dimissionato' per aver denunciato la corruzione intrecciata alla politica nel 1987, in anticipo su Tangentopoli. Una carriera a cavallo tra Italia e Stati Uniti, che segna anche la vita del figlio Antonio, ordinario di anatomia e istologia patologica, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia.  Fumo rosso

 
Professor Giordano, cosa accadrebbe negli Usa per un caso come l'Ilva di Taranto?
Verrebbe immediatamente chiusa la fabbrica, per i proprietari un processo da affrontare con condanne molto serie. In Italia invece apriamo il dibattito, c'è sempre qualcuno, anche nella comunità scientifica, che trova delle giustificazioni e così passano gli anni, il territorio si devasta e la popolazione si ammala. Negli Stati uniti, ad esempio, la lotta all'amianto è stata durissima: completamente bandito, il governo centrale ha promosso la bonifica del territorio, del resto la tecnologia è prevalentemente americana, qui invece non si investe in ricerca. In Texas, da quando hanno iniziato le opere di risanamento, hanno visto diminuire le malformazioni del 40%, del 25% in soli quattro anni, con un risparmio di 11 milioni di euro.


E in un caso come quello del territorio campano?


Il problema è più complesso rispetto a Taranto perché non sappiamo su che cosa dovremmo operare. Far partire le bonifiche significa soprattutto scoprire con precisione quali sostanze inquinanti sono state sversare e come salvaguardare la salute. Invece molti centri di ricerca, illustri luminari, continuano a ripetere che non sarebbe provato il nesso di causa effetto tra inquinamento e cancro o malformazioni congenite. Ma, come dice il senatore Ignazio Marino, la scienza in ambito internazionale ha già detto tutto, è il momento per la politica di agire.


E invece lei e il suo gruppo di ricerca siete stati osteggiati

 

In Italia i ruoli nevralgici sono di nomina politica, così anche le ricerche tendono a non disturbare le lobby che ruotano intorno ai partiti e gli interessi economici. L'unico modo per spezzare la catena è informare i cittadini, in modo che siano loro direttamente a fare pressione dal basso. Per svolgere le nostre ricerche ho trovato i fondi negli Stati Uniti. L'ex ministro della Salute, Ferruccio Fazio, nel 2011 sostenne che l'amianto di Napoli non faceva male, cercando di minimizzare i dati di una ricerca fatta da me, dal senatore Marino, Maddalena Barba, Alfredo Mazza e Carla Guerriero, pubblicata su Cancer biology and therapy. Nel 2005 ho iniziato a lavorare sulla Campania, un laboratorio di cancerogenesi a cielo aperto, ma non c'era il registro tumori, nessun ente voleva condividere i propri dati. Così ho trovato un gruppo di pazzi, quelli citati prima più Giulio Tarro, Antonio Marfella, Giuseppe Comella e Massimo di Maio, con cui far cadere gli alibi.


Cosa avete scoperto?


Ad esempio che i dati ufficiali indicano in 39mila i casi di tumore alla mammella in un anno, noi però ne abbiamo trovati 47mila, cioè 8mila in più. Non solo, nel 2009 abbiamo pubblicato uno studio relativo al periodo 2000/2005, anche in questo caso i dati ufficiali erano inferiori del 26,5% rispetto ai casi reali (parliamo di 40mila malati in più), soprattutto nella fascia d'età tra i 25 e i 44 anni, pre-screening. Recentemente abbiamo ampliato la ricerca, fino al 2008, e i dati ci confermano l'allarme. La situazione in Campania è talmente critica che o la vicinanza dei cittadini campani ai siti di rifiuti tossici determina patologie tumorali, oppure sono stati vittime negli ultimi anni di un progressivo indebolimento genetico, fino ad avere un 'dna colabrodo'.

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