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I fatti di questi giorni, le azioni sanguinose della guerriglia in Nigeria, non possono giustificare alcunché su un trend del prezzo del petrolio

Verso i 100 dollari a barile, dove vola l'oro nero?

Al rialzo del prezzo del petrolio, dunque, l’Italia può rispondere con intelligenza lavorando sull’efficienza energetica, riducendo drasticamente il traffico privato e sullo sviluppo delle energie sostenibili su cui, sembra, il governo ha timidamente cominciato ad operare
5 gennaio 2008
Fonte: L'unità

- I fatti di questi giorni, le azioni sanguinose della guerriglia in Nigeria, non possono giustificare alcunché su un trend del prezzo del petrolio tendente da mesi verso i 100 dollari a barile, la Nigeria essendo Paese produttore assai piccolo, meno di 3milioni barili al giorno rispetto ad una produzione totale superiore ai 80milioni.

Il primo fattore alla base del rialzo è chiaramente la debolezza del dollaro: i produttori non vogliono perdere valore ed hanno risposto ad un calo del valore del biglietto verde del 50% con un rincaro del greggio del 70% in un anno.

Secondo fattore alla base del rialzo è la forte crescita della domanda di Cina, India ed altri paesi emergenti. Oggi la Cina è già il secondo consumatore mondiale di petrolio dopo gli Usa e l’India ha superato paesi di antica industrializzazione come Germania e Gran Bretagna.

Operare per correggere questi due fattori alla base del rialzo non è alla portata di nessuno, al giorno d’oggi, anzi, la crisi di molti settori dell’economia americana, dall’immobiliare alla finanza d’avventura, sino al doppio deficit, pubblico ed estero, non consentono previsioni felici per la crescita del Pil americano e quindi per la salute del dollaro. Quanto alla Cina è piuttosto prevedibile che un grande avvenimento come le Olimpiadi di Pechino accelerino e non rallentino la marcia di quel paese.

C’è un terzo fattore alla base del rialzo del petrolio ed è la speculazione. Anche contro quest’arma del capitalismo oligopolistico mondiale la politica è completamente disarmata. Se sul mercato dei Futures si compra e si vende petrolio “a termine”, a prezzi superiori ai 100 dollari al barile al primo stormire di foglie nel golfo del Messico, settimo produttore di petrolio o alla prima minaccia di disordini a Lagos, capitale di un Paese che non è neanche tra i primi 10 produttori di grezzo, la speculazione c’entra e come.

Su tutti e tre i fattori alla base del rialzo del petrolio, debolezza del dollaro, boom della domanda cinese e speculazione finanziaria mondiale l’Italia ha poco da dire e da fare, se non registrare il balzo dell’inflazione arrivata a dicembre al 2,6% (e poco consola il fatto che in Europa sia addirittura al 3,1%, poiché che il livello più basso dell’Italia deriva anche dalla carenza di domanda legata al basso potere d’acquisto dei nostri salari).

Allora, a noi non resta altro che ingoiare il rospo senza fiatare? No! A noi restano almeno due armi alla nostra portata per ridurre gli effetti negativi del rialzo del petrolio: una politica di miglioramento dell’efficienza energetica (cioè riduzione degli sprechi) ed una politica di sviluppo di fonti alternative di produzione di energia. Non è possibile che a Roma e Milano circolino 7 auto private ogni 10 abitanti, più del doppio di altre capitali come Londra e Parigi. Come non è possibile che il Paese del sole abbia ancora meno impianti fotovoltaici di Germania e Spagna.

Lo stanco dibattito sulle politiche energetiche continua a baloccarsi su “l’araba fenice” che non c’è, l’energia nucleare senza tenere i piedi per terra. Ma come? Un Paese che a venti anni dalla dismissione di due piccole centrali nucleari, Latina ed Ispra, ancora non è stato capace di smaltirne i rifiuti, che grava le bollette elettriche di 150 milioni l’anno, che ha ancora 90mila metri cubi di scorie custodite “provvisoriamente” in 15 vecchi siti, un Paese che nel 2020 riceverà di ritorno dalla Francia 235 tonnellate di combustibili irraggiati e non sa come trattarli o stoccarli, un Paese che non è riuscito a risolvere decentemente lo smaltimento dei rifiuti della sua terza metropoli, Napoli, è meglio che il nucleare se lo scordi, anche perchè nessuna autorità al mondo è stata ancora capace di stimare correttamente i costi dello smantellameno dei vecchi impianti nucleari.

Al rialzo del prezzo del petrolio, dunque, l’Italia può rispondere con intelligenza lavorando sull’efficienza energetica, riducendo drasticamente il traffico privato e sullo sviluppo delle energie sostenibili su cui, sembra, il governo ha timidamente cominciato ad operare.

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