Conflitti

L'Onu ed il Libano ostaggi delle bombe

Come Usa ed Israele hanno intenzione di "ridisegnare" il Medio Oriente? Quale ruolo possono giocare le Nazioni Unite in questo contesto?
3 agosto 2006
Patrizia Viglino


Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite attende che la guerra faccia il suo corso per poter deliberare. Non era mai successo prima. Il grido implorante di Kofi Annan che si è rivolto ai paesi membri permanenti del Consiglio affinché prendano una decisione urgente sul cessate-il-fuoco e l’invio di una forza ONU nella regione, potrebbe essere l’ultimo atto di una tragedia che vede al centro proprio le Nazioni Unite.
George W. Bush si oppone alla richiesta di un immediato cessate-il-fuoco ed esercita pressioni sul Consiglio di Sicurezza, affinché approvi la “sua” linea politica. “Lavoreremo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per un piano mirato alle cause di fondo del problema in modo che, qualunque cosa venga fuori dal Consiglio di Sicurezza, sarà in grado di durare”, ha dichiarato alla Reuters il presidente degli Stati Uniti.
Ambiguo anche il discorso della Rice, secondo cui “entro la settimana sarà possibile raggiungere un cessate il fuoco e una pace duratura”, e ha anche aggiunto che “il nostro lavoro (degli USA) ha preparato la strada per un azione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. In realtà è vero il contrario, è l’esercito israeliano che sta aprendo la strada alla Risoluzione tardiva del Consiglio di Sicurezza, con il bene placito dell’amministrazione statunitense. Del resto, la riunione dei paesi membri dell’UE non ha portato risultati significativi. Il testo approvato non parla di “cessate-il-fuoco” ma di “cessazione delle ostilità”. Una spaccatura che ricorda quella che divise l’Europa all’alba dell’invasione dell’Iraq. Ma in realtà le implicazioni sono molto più profonde. Allora nessuno sapeva davvero come sarebbe andata la guerra in Iraq. Oggi, nonostante il massacro quotidiano di civili in Libano, si protrae una situazione divenuta, di giorno in giorno e sotto gli occhi di tutti, sempre più insostenibile.

Cinque i punti che dividono gli interessi occidentali e delle grandi potenze in Medio Oriente

1. Il cessate-il-fuoco

Per la prima volta la dottrina della guerra preventiva di Bush e della “politica del fatto compiuto” israeliana viene sposata in massa a livello internazionale, senza che le voci contrarie possano farci nulla. Anche in sede Europea, il braccio di ferro sul documento finale, ha portato a un testo inaccettabile che auspica una “immediata fine delle ostilità”, seguita (forse) dal cessate-il-fuoco. Condy Rice, aveva già spiegato che Israele e Libano debbono acconsentire a un cessate-il-fuoco a “certe condizioni”, in modo che sia accettabile per entrambe le parti. Questo ragionamento contiene sostanzialmente una forma di ricatto, il ricatto delle bombe sui civili. Pensare che il Libano avrà la sua tregua solo se accetterà di capitolare politicamente è un atto di barbarie. L’Unione Europea non ha mostrato la coesione necessaria e ha lasciato naufragare ancora una volta la richiesta di un cessate-il-fuoco immediato. Tornato in Italia, Massimo D’Alema sembra aver compreso maggiormente la gravità della situazione in Medio Oriente e, parlando alla Camera, ha avvertito del rischio di una “internazionalizzazione del conflitto”, ma si è detto favorevole ad una “immediata cessazione delle ostilità”, come nel testo del “compromesso” europeo. In effetti, sulla questione del cessate-il-fuoco immediato, di cui hanno bisogno non solo la popolazione libanese ma anche quella israeliana, è stata gettata un’altra volta la spugna.

2. L’invio di una forza di peacekeeping e il controllo del Libano del sud

Israele ha ribadito che non intendere occupare di nuovo il Libano, ma di voler preparare il terreno all’arrivo della forza multinazionale. Tuttavia alle Nazioni Unite e a molti governi, tra cui il nostro e la Francia, non piace l’idea di inviare truppe senza che prima venga assicurato il cessate-il-fuoco, considerando anche le perdite subite tra il personale ONU in questi 20 giorni di guerra. L’ONU resta infatti ostaggio della guerra e degli Stati Uniti e continua a posticipare l’incontro per decidere l’invio di una forza di peace-keeping a causa delle gravi divergenze maturate in sede Europea ed internazionale. Secondo indiscrezioni, le Nazioni Unite chiederanno un cessate-il-fuoco per Venerdì, ma non sarà effettivo fino a Sabato. La forza di peace-keeping dipende dunque dagli sviluppi sul piano militare, e quindi anche dal cessate-il-fuoco. Un serpente che si morde la coda.
Olmert ha ribadito che Israele continuerà la guerra fino a quando non venga dispiegata “una forte forza multinazionale” che possa portare al disarmo degli Hizbollah. Per questo ha dichiarato su Ha’aretz di sperare che la forza internazionale sia composta da “unità combattenti”, dopo di che, ha aggiunto, “saremo in grado di fermare il fuoco, quando la forza internazionale sarà operativa nel sud del Libano”.
Non c’è accordo neppure sul mandato, sulla composizione e sui compiti della forza multinazionale e non si sa neppure con chiarezza dove possa essere dispiegata la forza multinazionale, se nel sud del Libano oppure ai confini con Israele.
Per la Francia l’immediato cessate-il-fuoco, come richiesto dal primo ministro libanese Siniora, è il primo passo per il dispiegamento di una forza multinazionale. Il ministro degli esteri francese Douste-Blazy, che già a Roma si era espresso per il cessate il fuoco senza se e senza ma, propone l’estensione della missione UNIFIL ancora di un mese (la missione è guidata dalla Francia). Anche D’Alema si è discostato dall’asse USA-Israele ritenendo impraticabile l’opzione di inviare truppe internazionali senza che venga dichiarata, per prima, la fine delle ostilità. Stati Uniti invece vogliono invertire il processo, prima l’esercito e la Risoluzione anti Hizbollah e solo dopo la fine dell’attacco israeliano al Libano.

3. Il disarmo degli Hizbollah e lo scambio dei prigionieri

La Francia pone nell’ordine prima il cessate-il-fuoco e poi l’invio di una forza ONU la quale darà il via alla Risoluzione 1559 contro gli Hizbollah mentre per Israele la fine della resistenza Hizbollah è conditio sine qua non, per cessare le sue operazioni miliari in Libano, parimenti al rilascio incondizionato dei soldati israeliani catturati il 12 Luglio. Sulla necessità di procedere a un disarmo degli Hizbollah c’è invece forte coesione, anche se i paesi membri dell’Europa non hanno accettato l’inserimento del movimento shiita nella lista nera delle organizzazioni terroristiche come richiesto dagli Stati Uniti. Ancorché l’ala moderata della diplomazia internazionale dovesse vincere la sua battaglia al Consiglio di Sicurezza, ottenendo l’invio di forze ONU con compiti di peace-keeping e il contestuale cessate-il-fuoco, sul terreno è molto difficile ottenere il disarmo degli Hizbollah, senza violare la sovranità del governo libanese, cui in realtà spetterebbe la decisione ultima.
La popolazione libanese si è schierata dalla parte degli Hizbollah mentre tra questi ultimi ed esercito libanese non esiste alcun conflitto. La Risoluzione 1559 del Settembre del 2004, voluta soprattutto da Francia e Stati Uniti, stabiliva “il disarmo di tutte le milizie libanesi e non” presenti nel paese. La Risoluzione venne respinta dal governo libanese che argomentò come nel paese non ci fossero milizie, reputando Hizbollah parte integrante e legittima del Libano. Lo stesso primo ministro Siniora disse, commentando il testo della Risoluzione, che il governo libanese considerava Hizbollah un’affare interno e che il governo avrebbe esercitato una funzione protettiva nei loro confronti. E del resto gli Hizbollah vantano la liberazione del sud del Libano dopo anni di occupazione militare israeliana. Il Libano ritiene dunque Hizbollah un gruppo di resistenza e non una milizia. Anche il leader druso Jumblatt aveva confermato questa posizione sollevando eventualmente la questione dell’assorbimento di Hizbollah all’interno dell’esercito libanese. Adesso Stati Uniti e Francia insistono ancora sulla stessa Risoluzione ma sarà alquanto difficile imporla diplomaticamente. Hizbollah, da parte loro, si sono detti favorevoli a un cessate-il-fuoco, così come sono sempre stati favorevoli, contrariamente ad Israele, allo scambio dei prigionieri.

4. Siria, Shaba Farms e Iran

Olmert ha chiesto che la forza multinazionale venga impiegata anche al confine con la Siria, per impedire il traffico di armi, ha detto. A questo punto resta un’osservazione ovvia da fare. La Siria ha le alture del Giolan ancora sotto occupazione militare israeliana, oltre a un’ampia porzione di territorio demilitarizzato e controllato dalle forze di peacekepping dell’ONU, per non parlare delle molte zone minate. Se una forza di peacekeeping dovesse essere dispiegata anche tra Siria e Libano avremo un altro pezzo di territorialità siriana a sovranità limitata. Stesso dicasi del Libano che, dopo la sua primavera a due colori, (c’erano infatti anche gli Hizbollah in piazza dopo l’assassinio di Hariri) aveva sperato in una nuova rinascita. La Risoluzione ONU 1559 e la 1614 chiedeva alla Siria di ritirare il suo esercito dal Libano, ponendo fine al suo protettorato sul paese dei Cedri ma adesso il rischio è che tutto il sud del paese venga messo nelle mani di forze straniere. La Rice aveva posto sul tavolo anche il ritiro di Israele dalle Shaba Farms che appartengono al Libano. Il primo ministro Siniora insiste sul fatto che la restituzione di quei territori e la consegna delle mappe dei campi minati che Israele si è lasciato dietro, ritirandosi dal sud del Libano nel 2000, possa agevolare la normalizzazione della presenza Hizbollah in Libano. Israele ha respinto la proposta e non sembra avere intenzione di ritirarsi. Le Shaba Farms e le alture del Giolan (occupate nel 1967 da Israele) continuano ad essere un problema. La Siria infatti non può normalizzare i suoi rapporti con Israele fin tanto che non ci sarà un ritiro israeliano dal Giolan. Inoltre l’ONU aveva rimesso a negoziati successivi con la Siria anche la restituzione delle Shaba Farms, dal momento che aveva giudicato completo il ritiro israeliano dal Libano del sud nel 2000. Evidentemente completo non era.
Il nuovo ambasciatore iraniano in Gran Bretagna, Rasoul Mohavedian, ha negato che l’Iran possa avere l’influenza necessaria per fermare Hizbollah e ha negato che l’Iran stia finanziando militarmente o economicamente il “Partito di Dio”, secondo quanto riportato su The Guardian. La testata inglese ha anche riportato una dichiarazione di Ahmadeennajad che si è detto favorevole al cessate-il-fuoco.
Proprio su questo spiraglio è forse necessario coinvolgere nel dialogo anche Iran e Siria, che Stati Uniti e Israele accusano di essere una sorta di nuovo “asse del male”, ma che fin’ora non hanno sparato un solo colpo.

5. La condanna di Israele in sede ONU e “il fattore Olmert”

Intanto al Consiglio di Sicurezza, riunitosi in tutta fretta Domenica, dopo la “strage dei bambini”, Kofi Annan ha implorato i paesi membri di promuovere il cessate-il-fuoco, rammaricandosi che il non averlo fatto prima ha portato a questa immane tragedia. Ma il Consiglio ancora una volta ha visto bloccata la mozione di condanna di Israele. Anche il testo discusso dall’Unione Europea prevedeva la dichiarazione che i bombardamenti israeliani costituiscono una “grave violazione” del diritto internazionale, ma questa parte del testo non è “passata”. Tutte le precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono state bloccate dagli Stati Uniti proprio sullo stesso tema, ovvero la condanna dei bombardamenti israeliani sui civili libanesi e palestinesi. Quello che gli arabi chiamano la politica del “doppio standard” si è materializzata in modo fin troppo evidente considerando che dal Maggio del 1951 al Settembre del 2002, sono 73 le Risoluzione di condanna di Israele, molte delle quali riguardanti gli attacchi al Libano e alla sovranità della Siria, l’occupazione nei territori palestinesi, le violazioni sui civili palestinesi e gli attacchi alle postazioni dell’ONU.
L’atteggiamento di Israele verso la Siria è noto. Olmert l’ha espresso così: “Non vedo che la Siria è pronta o preparata per avvallare qualunque atto di moderazione” e ha chiamato i leader siriani “sconsiderati”, “immaturi” e promotori di terrorismo. Olmert chiede che il Consiglio di Sicurezza emetta una condanna chiara anche contro l’Iran e il suo progetto nucleare. In questo senso gli intenti del governo Olmert coincidono con quelli americani in modo molto ampio ma parimenti Israele rischia di dover dividere con gli Stati Uniti anche i rischi un’eventuale escalation. Olmert ha anche respinto le accuse mosse a Bush da varie rappresentanze politiche internazionali per essersi rifiutato di aprire il dialogo con la Siria (che agli USA non ha mai fatto nulla di male). Olmert ha anche detto che Bush “sta combattendo contro i nemici della libertà, sta combattendo i nemici della democrazia e sta combattendo quelli che sostengono il terrore”. Resta da capire come queste due super potenze militari, USA e Israele, intendano davvero ridisegnare il Medio Oriente e quale ruolo possa giocare l’ONU in questo contesto.

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