Conflitti

Pulizia etnica sistematica in Chad

Il conflitto dal Darfur si espande e migliaia di civili
continuano a morire nell’indifferenza del mondo
5 giugno 2007
Julian Borger (Guardian Unlimited 2007)
Fonte: da Persona a Persona 6/07 (www.pangeaonlus.org) - 05 giugno 2007

Dislocati chadiani raccolti in un campo profughi

Tagalo Hassan non aveva idea che la terribile violenza del Darfur si fosse diffusa da mesi ormai come una macchia oltre la frontiera, fino ad arrivare al Chad e che si stesse insinuando verso il suo villaggio. Avendo solo tre anni non poteva capire cosa stava accadendo quando, ancor prima dell’alba, iniziarono gli spari o, quando, una pallottola aveva frantumato la sua gamba destra e creato un solco in quella sinistra.

L’attacco veniva dai cavalieri arabo-sudanesi, i temutissimi Janjaweed, insieme ai loro alleati del Chad, nel tentativo di estromettere il governo nella capitale Ndjamena. Ma non c’era nessuno vicino a Tagalo che potesse spiegargli quel che stava accadendo. Suo padre era scappato, pensando che fosse insieme a sua madre e al suo fratellino. Ma il fratello era morto e la madre era stata mutilata dalla stessa scarica di proiettili. Tagalo era stato trovato solo, sdraiato per terra, da un gruppo di soccorritori italiani.

I massacri a Tiero, dove viveva Tagalo e nel villaggio accanto, Marena, vicino alla frontiera sudanese, hanno ucciso circa 400 persone. I numeri non sono ancora definitivi. Questi morti sono un segnale sanguinoso, che le uccisioni di massa sono diventate strumento di guerra anche nel Chad. Così come lo sono nel Darfur da 4 anni, senza alcun intervento da parte della comunità internazionale per fermarle.

L’ampliamento dei conflitti si fa sempre più minaccioso provocando così un nuovo disastro umanitario. Lo shock causato dagli attacchi a Tiero e Marena ha spinto oltre 100.000 abitanti a fuggire verso le foreste innalzando così a 140.000 il numero di chadiani che la violenza ha sradicato dalle loro terre. Moltissimi - in particolare donne e bambini - sono morti di sete sulla via della fuga, non avendo neanche avuto il tempo di fornirsi di un po’ d’acqua.

I sopravissuti dovranno dividere il poco cibo disponibile con altri 250.000 rifugiati del Darfur e molto probabilmente non ce ne sarà abbastanza per tutti.

Pauline Bellaman, responsabile Oxfam dell’area, ha descritto la situazione come “catastrofica” in quanto mancano solo due mesi alla stagione delle piogge, che renderà impossibile la distribuzione di cibo.

Anche se la comunità internazionale dovesse mobilitarsi per raccogliere i fondi necessari alla distribuzione di cibo, saremo di fronte a dei seri problemi logistici per far si che il cibo arrivi nel punto giusto al momento giusto.

Massacri. I massacri a Tiero e Marena sono accaduti 2 settimane fa, ma continuano ad arrivare dispersi ai campi di soccorso, dopo giorni e giorni di cammino a temperature, che arrivano fino a 45°.

Dalle prime testimonianze dai sopravissuti ricaviamo dettagli su come la violenza si stia insinuando verso ovest.

«All’inizio sono arrivati i Janjaweed, a cavallo o con i cammelli, poi i ribelli, su grossi veicoli e armati», racconta il padre di Tagalo, Hassan Ahmed Abubakar. Ha ritrovato il figlio ferito qualche giorno fa nell’ospedale di Goy Beida, una costruzione con solo qualche corsia a disposizione per i casi più urgenti. Dopo essere stato bendato, Tagalo era stato consegnato in una tenda di canvas all’esterno dove suo padre sedeva, intento a scacciarsi le mosche dal viso. Il bambino di tre anni si lamentava per il dolore e piangeva in cerca della madre, che si trova in un ospedale a centinaia di chilometri da lì.

Tutti i sopravissuti a Goz Beida e negli accampamenti sorti tutti intorno alla città di Kou Kou, 32 km a sudest, concordano che gli attacchi sono stati organizzati a ondate coordinate. Maki Yacoub Bourma, anche lui di Tiero, racconta che la debole forza di difesa del villaggio era riuscita a superare l’attacco dei Janjaweed, ma è stata poi schiacciata dall’arrivo dei ribelli su veicoli militari equipaggiati con armi pesanti.

«I Janjaweed sono arrivati alle 5.30», racconta Bourma «I ribelli invece sono arrivati alle 8.00 e alle 10.00 era tutto finito». Gli aggressori hanno attraversato il villaggio uccidendo chiunque incontrassero. Il fratello minore di Bourma, Hassan, è stato ucciso con un colpo in testa.

Le fazioni contrarie al presidente Idriss Déby sono state attive a lungo nell’est del paese. Gli abitanti di questa parte del Chad, i Dajo, si rifiutarono di seguire i ribelli rendendosi così anche loro dei bersagli. Ma vedere arrivare la brutalità a questi livelli rimane uno shock.

Questa nuova avidità di sangue è stata forgiata da una volatile alleanza fra i ribelli super equipaggiati e i Janjaweed, che hanno fatto della “tattica della terra bruciata” il loro marchio nel Darfur. Gli abitanti dei villaggi raccontano che hanno sempre coabitato pacificamente con le tribù nomadi arabe, finché, qualche anno fa, non furono “arruolati” dalle milizie dei Janjaweed.

«Il problema nasce dal Sudan. Tutti sanno che viene da lì», esclama Bourma.

Un’indagine fatta dalle Nazioni Unite, evidenzia chiaramente che il governo sudanese sostiene i Janjaweed, mentre i ribelli del Chad operano impunemente dall’interno del Sudan. Nel frattempo, Khartoum accusa il governo di Déby di sponsorizzare una sezione ribelle basata in Darfur, contro la sua autorità.

In breve, i villaggi Tiero e Marena, si sono ritrovati nel bel mezzo di una guerra strategica, che ha strumentalizzato le tensioni croniche tra contadini e allevatori, tra africani e arabi. Non si vedono più visi arabi nei mercati a est del Chad. Nelle vicinanze di Kou Kou c’è un accampamento arabo abbandonato, dopo che i suoi abitanti sono fuggiti nel timore di essere uccisi.

Rifugi. Considerando che la pulizia etnica continua ad avanzare, gli abitanti africani di Tiero, Marena e altri piccoli villaggi, hanno preso il posto degli arabi insinuandosi nel loro vecchio accampamento, cercando riparo sotto gli alberi e le tele di plastica grigio oscuro delle Nazioni Unite.

L’appello ai soccorsi li aiuterà a sopravvivere, ma non riuscirà a evitare ulteriori massacri. Le negoziazioni riguardo alle forze di protezione delle Nazioni Unite sono andate avanti per mesi poiché sia il presidente Dèby, sia la sua controparte sudanese, Omar al-Bashir, hanno dimostrato una certa riluttanza nel trovare un accordo. Anche il leader libico, Moammar Gheddafi, sta manovrando per fermare le truppe delle Nazioni Unite, temendo, che possano rivelarsi un cavallo di Troia per l’ingerenza occidentale. Ha quindi provveduto a mandare lui stesso il suo corpo di spedizione nella regione.

Anche la Francia è presente nell’area con una guarnigione di 1.200 uomini, ma al momento non hanno fatto nulla per fermare il massacro.

Non mancano gli interessi nazionali rappresentati in questa regione spaventosamente calda e arida dell’Africa, ma nessuno sembra interessato a fermare questa carneficina.

Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus

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