Le voci delle persone che ho incontrato in Libia
"Questa guerra è una tragedia"
“Vivo e lavoro nell’area di Tajura e ogni notte in questi mesi hanno bombardato qua vicino. E’ difficile dormire mentre gli aerei rombano e peggio quando sentiamo il fracasso delle bombe. Cosa colpiscono qui? Non c’è più niente da colpire, più niente di militare".
22 agosto 2011
Marinella Correggia
LE VOCI DEI MIGRANTI CONTRO L’AGGRESSIONE
Vittime collaterali della guerra fomentata dalla Nato in Libia sono le centinaia di migliaia di lavoratori migranti, dai paesi più poveri del mondo, che hanno lasciato il paese a causa degli scontri, delle bombe e della mancanza di lavoro. Molti altri sono ancora in Libia.
Mohamed Bello, Niger (incontrato a Tripoli il 6 agosto). Questa guerra è una tragedia. Per aiutare nel mio piccolo a fermarla, vorrei spiegare dal mio punto di vista di straniero questa guerra Nato contro la Libia, a partire dalle menzogne che l’hanno creata. Qui non ho visto nemmeno uno dei massacri dei quali parlavano anche le tivù arabe!
Faccio un appello ai governi africani: devono impegnarsi per una soluzione di pace perché questa crisi è terribile per il popolo libico ma anche per tutti i popoli africani.
Vivo qui da 13 anni. Come altri milioni di stranieri in Libia. Lavoravo con ditte cinesi. I loro 25mila operai sono stati evacuati all’inizio della crisi a opera dello stesso governo cinese. Altri stranieri, provenienti da paesi giù in crisi, non sono stati così fortunati e hanno penato a lungo. Quelli del Bangladesh per esempio sono stati per tanto tempo nel campo sfollati di Ben Gurdan in Tunisia. Così i miei connazionali del Niger. Non posso biasimare il mio paese, stavamo giù subendo la crisi in Costa d’Avorio con molti altri rimpatri, poi i problemi interni, la povertà estrema, i postumi del colpo di stato…
Perché gli stranieri sono partiti? Un po’ perché le ditte libiche o straniere per le quali lavoravano hanno chiuso I battenti. Un poi’ per paura delle bombe. Un po’, nell’Est, per le violenze subite da africani accusati di essere “mercenari di Gheddafi”: a questo proposito vorrei dire non solo che non è vero ma che mi pare assurdo che un esercito di un paese sovrano sia chiamato “l’esercito di Gheddafi” o peggio” i mercenari di Gheddafi”! Sono soldati, e hanno il diritto di difendere il loro paese.
Ecco come funziona dal punto di vista legale la Libia rispetto ai migranti. Ci sono quelli con regolare permesso di soggiorno perché hanno un contratto di lavoro (stagionale o continuativo), come me; nelle imprese straniere o libiche, costruzioni, o nel governo, o negli ospedali, nelle case. Poi ci sono stranieri irregolari che si arrangiano con vari lavori (come faccio adesso anch’io…) ma non devono nascondersi, perché non c’è pericolo di espulsione. Poi ci sono quelli in transito, che passano dalla Libia solo per cercare di andare in Europa. Alcuni di loro creano problemi, perché hanno bisogno di soldi per gli scafisti. Allora ogni tanto il governo libico faceva un intervento selettivo per nazionalità, li identificava, li rimpatriava o li metteva in centri di detenzione come in Europa. Non ho mai visitato il centro di Kufra, ho sentito di situazioni difficili e di angherie.
Chi non poteva essere rimpatriato come eritrei, etiopi e somali e sudanesi a causa delle guerre nel loro paese rimaneva in Libia come rifugiato.
Dopo l’accordo con l’Italia c’è stata un’accentuazione dei respingimenti alle frontiere sud o dei blocchi prima della partenza in barconi, dall’Est (pare che la mafia degli scafisti dopo l’accordo con l’Italia sia entrata in crisi e si sia alleata con i ribelli, ndr) o da Zoura/Khoms.
E’ importante spiegare che molti migranti irregolari in Libia non hanno o non avevano intenzione di andare in Europa. Ma adesso che non ci sono più controlli da parte delle forze libiche, e che qui non si sa più che fare, partono in tanti. Prima la guardia costiera li bloccava.
Rafika, tunisina (lavora in ospedale a Tripoli. Incontrata sul bus fra Ben Gurdan e Tunisi mentre tornava in vacanza, 8 agosto). “Coordino la mensa dell’ospedale (sono pagata 900 dinari al mese), nel quale sono rimasti solo 35 medici (le famiglie benestanti che potevano sono scappate a Djerba in Tunisia a passare lì la guerra in ville prese in affitto) e anche molte infermiere filippine sono andate via. Nel mio ospedale ho visto molti feriti dai bombardamenti Nato. Secondo me la Nato non è per errore che fa vittime civili e bombarda posti non militari. E’ calcolato: vogliono svuotare Tripoli con la paura, per colpire a tappeto e uccidere Gheddafi, che è il loro obiettivo. Non ci sono ancora riusciti perché devono fare poco per volta, il mondo li osserva, non possono fare molte vittime civili. Questa guerra che secondo me durerà 15 anni è cominciata con le bugie. Sono anche andata in tivù a dire al mondo “mandate osservatori internazionali, così vedrete che i massacri da parte del governo non ci sono stati”. Ma non hanno mandato nessuno e subito hanno iniziato la guerra. Io non sono pro o contro Gheddafi ma lui non ha fatto di certo tutte le cose orrende che hanno fatto quegli altri, i ribelli. Non sono affatto rivoluzionari ma piuttosto banditi. Tanta gente uscita di prigione nei primi giorni della crisi, tani sbandati, ai quali hanno dato un’arma e dei soldi e hanno detto “fai quello che vuoi, basta che arrivi a Tripoli”. E il Cnt ha promesso loro posti e soldi se ce la faranno. Le immagini delle loro violenze circolano anche su internet. Fra i capi dei ribelli c’è gente che era nel governo e Gheddafi voleva che fossero processati per corruzione.
Nataniel Buta, cristiano del Pakistan. (incontrato a Tripoli a fine luglio fuori dalla Chiesa mentre vendeva piccoli oggetti). La Libia è uno dei pochi posti tranquilli per i cristiani ormai, nel mondo musulmano. In Pakistan la situazione è molto pericolosa. Io vivo qui da 21 anni con la mia famiglia. Qui si può aprire una chiesa perfino in una casa, come fanno certi piccoli gruppi protestanti. Se qui arrivano i ribelli, fra i quali molti islamisti, dove potremo andare?
Due donne sub-sahariane (incontrate di fronte alla chiesa di Tripoli, in un giorno di black out di fine luglio). La Libia sta diventando come tutti gli altri paesi africani. Anche qui adesso non c’è elettricità, non c’è benzina, non c’è lavoro. Dove dobbiamo andare?”.
Elettricista del Marocco (incontrato il 6 agosto a Ben Ashur, Tripoli). “Ho vissuto dieci anni in Francia, sempre con problemi di permesso di soggiorno. Poi sono venuto in Libia. Ma ora la guerra ci sta distruggendo la vita. La Nato ha colpito gli impianti di produzione e elettrica e i ribelli tagliano le vie di approvvigionamenti in carburante via terra e via mare e hanno anche sabotato oleodotti e gasdotti. Chi non può permettersi un generatore, molto costoso, sta perdendo il cibo accumulato nel frigo per il ramadan. Sono sicuro che i popoli arabi sono contro questa guerra, ma i governi arabi sono favorevoli…”.
Abu, Niger (giardiniere a Tripoli, incontrato fra luglio e agosto). “Vivo e lavoro nell’area di Tajura e ogni notte in questi mesi hanno bombardato qua vicino. E’ difficile dormire mentre gli aerei rombano e peggio quando sentiamo il fracasso delle bombe. Cosa colpiscono qui? Non c’è più niente da colpire, più niente di militare. Qui c’è come un Sahara, un deserto. Colpiscono lì, alzano la polvere. Ci vogliono impaurire tutti. Molti miei amici sono tornati in Niger, ma che fare là?
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