La lite fra Trump e Zelensky
L’azzardo di Zelensky
Abbiamo più volte documentato su PeaceLink come Zelensky abbia giocato con il fuoco, spingendo per un coinvolgimento diretto della NATO, come dimostrato dalla sua richiesta di una no-fly zone che, se accettata, avrebbe significato il rischio di uno scontro diretto tra potenze nucleari. È stato lo stesso Biden a trattenere l’Ucraina dal compiere mosse ancora più azzardate.
Trump, rimproverato per la sua apparente morbidezza con Putin, ieri ha replicato con una frase emblematica:
“Vuoi che sia duro? Posso essere più duro di qualsiasi essere umano tu abbia mai visto, potrei essere durissimo, ma così non otterrai mai un accordo, ecco come stanno le cose”.
Qui Trump coglie un dato di fatto: se non si inverte la rotta, l’Ucraina rischia di arrivare al tavolo delle trattative in una posizione di debolezza ancora maggiore di quella attuale.
La guerra simmetrica favorisce il più forte
Questo ci porta al nodo centrale del problema: un conflitto militare simmetrico tra un forte e un debole vede sempre vincitore il più forte. La Russia ha una capacità militare superiore, una produzione bellica che non si esaurisce e il tempo gioca a suo favore. L’Ucraina, invece, si trova in un logoramento crescente, con risorse che si assottigliano e un Occidente sempre meno efficace nel sostenere una guerra senza prospettive.
A questo punto la domanda è: ha senso proseguire su tale linea?
Se l’Ucraina avesse dalla sua un forte consenso popolare ma una intrinseca debolezza militare, allora la soluzione non può essere la guerra simmetrica, bensì un cambio strategico verso la strategia di resistenza civile diffusa. E qui entra in gioco la riflessione sulla resistenza nonviolenta, che ha dimostrato storicamente di funzionare meglio della risposta armata quando si ha un forte sostegno popolare.
Dalla logica militare a quella della resistenza civile
La strategia militare di Zelensky sta portando l’Ucraina verso un vicolo cieco. L’alternativa sarebbe trasformare il conflitto simmetrico in uno asimmetrico spostandolo dal piano militare a quello della resistenza civile e della delegittimazione dell’occupante. Non è un discorso astratto: esistono numerosi esempi storici di lotte nonviolente che hanno sconfitto eserciti più potenti senza ricorrere alla guerra convenzionale. Se Zelensky avesse il consenso potrebbe pensare a una "intifada" nei territori occupati, esponendo ovunque la bandiera ucraina e facendo sit-in popolari dimostrativi sotto le telecamere in mondovisione. Sempre che vi sia consenso verso Kiev nelle zone occupate.
Il problema è che il modello dominante è ancora quello della guerra tradizionale, con una narrazione che impedisce di pensare fuori dagli schemi classici, in questo caso perdenti. Ed è proprio tale punto che il movimento pacifista può essere efficace per proporre un’alternativa credibile alla guerra.
L’Ucraina oggi ha due strade davanti a sé: continuare un conflitto bellico che la sta logorando rendendola sempre più debole o rivendicare una soluzione che possa fermare la distruzione e aprire a una vera trattativa. Zelensky sembra voler proseguire sulla prima, ma la storia insegna che la seconda potrebbe essere l’unica via per salvare davvero il suo paese.
Che fare?
Quale strada rivendicare? Quella di un ritorno agli accordi di Minsk per dare autonomia alle aree contese e di conflitto. Occorre far votare le popolazioni e sostituire i colpi di cannone con le schede elettorali. Tutte le soluzioni devono essere basate sul consenso e non sulla logica del più forte. E anche se vincesse "genuinamente" il più forte con le schede elettorali, senza brogli elettorali, occore che il più debole venga tutelato dallo spirito di autonomia che era alla base degli accordi di Minsk. I debole ha diritto alla sua lingua, alla sua cultura, alle sue tradizioni, alla sua storia e alla sua visione della storia. Bisogna porre fine alla cancellazione culturale dell'avversario e ripristinare la convivenza e il pluralismo. La vera prospettiva non è la guerra giusta ma la giusta convivenza fra popoli in conflitto. Perché, lo si voglia ammettere o no, quella in Ucraina è principalmente una guerra civile.
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