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Biùtiful cauntri

Intervista a Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero, autori di «Biùtiful cautri», documentario su i crimini ambientali in Campania. Da Carta n°45 del 2007
14 gennaio 2008
Eleonora Formisani

Locandina di Biùtiful cauntri Per ora ha ricevuto una menzione speciale al Festival di Torino «per il raggiunto equilibrio tra impegno e rigore espressivo», e non è poco. «Biùtiful cauntri», il documentario che racconta i crimini ambientali che da oltre quattordici anni subisce la Campania, è partito bene, anche se è ancora in attesa di un distributore con un po’ di animo.
Il film è una fotografia reale e cruda di anni di violenza indisturbata subita dai cittadini, che svela la barbara attività dell’ecomafia. Qui non troverete pistole e proiettili ma rifiuti tossici, cave abusive, diossina, scarti velenosi di fonderia, allevatori che vedono giorno dopo giorno morire le loro pecore avvelenate da terreni malsani, cittadini che coltivano pomodori e pesche e che allevano bufale contaminate dal percolato che trabocca dalle discariche vicine.
A girarlo e sceneggiarlo, nell’ormai tristemente famoso «triangolo della morte» [Afragola, Giugliano, Acerra, Qualiano e Villarica], così chiamato per l’altissima incidenza di tumori, sono stati i «filmaker» Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero.
Li abbiamo incontrati per discuterne.

Una delle cose che colpisce del documentario è che ormai è diventato «naturale» che a nuova discarica corrisponda la militarizzazione del territorio.

Peppe Ruggiero: L’esperienza del passato ha dimostrato che qualsiasi cosa ha fatto lo Stato in Campania per l’emergenza rifiuti è fallita. Questa gestione ha portato complicazioni sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista sociale, ma anche e soprattutto danni ambientali. Questa situazione ha portato alla sfiducia dei cittadini, specialmente dopo tredici anni di commissariamenti. L’errore principale è stato quello di non avere mai cercato la concertazione con la popolazione, che è quella che subisce i danni in prima persona: le scelte, invece, calano dall’alto, come con la militarizzazione appunto.
Ancora oggi la scelta dei siti avviene senza che la popolazione sia ascoltata. Pensiamo alle ultime dichiarazioni del prefetto Pansa, che dice che laddove ci dovessero essere altre proteste lui userà la forza.
Esmeralda Calabria: è indubbio che ci sia una militarizzazione del territorio, che è stata giustificata in nome della «risoluzione del problema». Quello che fa impressione è che il concetto che si vuole fare passare è quello che «si sta difendendo la proprietà dello Stato». Come se la cosa non riguardasse noi tutti.

La chiamano «emergenza Campania», come se il problema di quel territorio dovesse rimanere «locale». Nel documentario è forte il messaggio che questa «emergenza» è di tutti, che ci riguarda da vicino.

Andrea D’Ambrosio: è chiaro che la Campania è la punta dell’iceberg. È il territorio più abbandonato, dove tutto sembra «normale». Il problema riguarda però tutto il paese, perché i prodotti agricoli campani contaminati dalla diossina vanno a finire sulle tavole della Romagna, della Lombardia, ad esempio. Abbiamo cercato di far venir fuori anche il «connubio» tra nord e sud, attraverso le intercettazioni telefoniche che testimoniano il traffico illecito dei rifiuti e in cui si ascoltano diversi imprenditori del nord che sversano i rifiuti delle loro industrie nel territorio campano, ma non solo.

Come funziona il ciclo dei rifiuti tossici? Partono tutti dal nord?

Peppe Ruggiero: Sono quasi tredici anni che esiste, questo fenomeno, e nell’arco del tempo sono cambiate sia le metodologie che le rotte. Ovviamente la rotta principale è quella che va dal nord verso il sud, cioè verso la Campania, che è la parte terminale del ciclo.
Ma piano piano il fenomeno si sta allargando: Basilicata, Molise, Puglia, tutte zone vicine alla Campania, con la Toscana che è diventata il centro di smistamento. Oggi non c’è regione che non sia colpita dal traffico illecito, tranne la Val D’Aosta. In più, si sta intensificando una rotta interprovinciale, cioè all’interno della stessa regione. Se prima zone come l’avellinese o il beneventano erano immuni da questo fenomeno, le indagini della magistratura invece rivelano che sono state colpite.

Parlando con le persone che vivono quotidianamente il problema dei rifiuti in Campania vi siete fatti un’idea di come si possa uscire da questa situazione?

Andrea D’Ambrosio: Ho la sensazione che non se ne uscirà mai. Ovunque guardi non vedi una via d’uscita. Questa è la mia opinione personale.
Peppe Ruggiero: Questa è la sensazione che ognuno di noi ha parlando con la gente. Penso che siamo arrivati a un impazzimento totale. Già continuare a parlare di «emergenza» non ha senso. L’«emergenza» ha un inizio e una fine. La fine dell’«emergenza» in Campania scade il prossimo 31 dicembre, ma sicuramente ci sarà l’ennesima proroga.
È un circolo vizioso, c’è la sfiducia della gente e la sfiducia anche nella tecnologia, perché tutti gli impianti che sono stati costruiti sono obsoleti. La stessa speranza nella raccolta differenziata è scemata, quando la popolazione vede che il materiale raccolto viene buttato nello stesso contenitore o nella stessa discarica. D’altra parte, però, non possiamo rassegnarci e dire che una soluzione non c’è.
Esmeralda Calabria: è impossibile dire come si risolverà la situazione in Campania senza pensare a come si risolverà in Italia. La Campania è lo specchio di una mentalità e di un modo di governare italiano, per cui nel momento in cui si fa un bando di gara e partecipano le più grosse imprese e vince quella con l’offerta economica più bassa, ma anche quella con l’esperienza tecnologica inferiore rispetto alle altre, capisci che non si vuol fare il bene della comunità.
Nel documentario c’è una frase di un contadino che dice «ci vuole la distruzione terreste», come per dire quello che si dovrebbe fare «tabula rasa» e ricominciare da zero. Perché se non cambiano le persone, se non ci sono delle persone oneste che abbiano a cuore il bene di tutti e, soprattutto, se non c’è un ricambio generazionale, le cose non potranno cambiare.
Poi c’è anche un’altra cosa sconcertante. Non c’è nessuno che neghi questa situazione. È un dato di fatto accettato da tutti. Addirittura dalle istituzioni. Un esempio è la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 2006. Ne abbiamo usato dei pezzi per non utilizzare una voce fuori campo e lì si illustra esattamente qual è la realtà.
È tutto documentato. Tutti sanno ma tutto resta immobile.

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