Guerra di Libia
La guerra umanitaria compie cento anni e noi ci caschiamo ancora
"Non è tollerabile che nel ventesimo secolo nei mercati di Tripoli e di Bengasi vengano venduti gli schiavi!" dichiarava nel 1911 Giolitti, il presidente del consiglio dei ministri.
28 maggio 2011
In Etiopia, che nel 1935 era indicata dalla Società delle Nazioni come uno degli stati in cui ancora si trovavano schiavi in gran numero, il fascismo dichiara di abolire ufficialmente la schiavitù.
La grande diffusione di notizie da parte della propaganda fascista relative all'Etiopia, e in particolare della schiavitù là ancora vigente, servì a giustificare l'intervento militare.
Tale intervento doveva, secondo la propaganda di guerra, porre fine alla condizione così degradata della popolazione.
Nel 1935, mentre Benito Mussolini prepara le operazioni militari in Abissinia, vengono pubblicate - anche a scopo propagandistico - notizie relative allo sfruttamento della schiavitù a cui era sottoposta parte della popolazione abissina. È questo il tema della propaganda fascista che vuole attribuire all’occupazione dell'Etiopia anche una motivazione civilizzatrice.
Al cinema-teatro Quattro Fontane di Roma, in scena compare in catene una giovane di colore: un'attrice (che interpreta l’Italia) la libera e le fa indossare una camicia nera.
La propaganda di guerra non era stata molto diversa per la colonizzazione della Libia. "Non è tollerabile che nel ventesimo secolo nei mercati di Tripoli e di Bengasi vengano venduti gli schiavi!" dichiarava nel 1911 Giolitti, il presidente del consiglio dei ministri.
Queste informazioni si trovano facilmente su Wikipedia ed è banale notare come la propaganda di guerra si ripeta identica perché "efficace": chi potrebbe tollerare la schiavitù? Ed ecco che scatta la giustificazione della "guerra umanitaria", che non è un'invenzione attuale ma una vecchio arnese della propaganda bellica.
Che cosa è cambiato oggi con i nostri bombardamenti in Libia che devono liberare la popolazione dalla dittatura di Gheddafi?
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