Iran: la vita di Akbar Ganji è in pericolo

Akbar Ganji, giornalista d'inchiesta, intellettuale democratico, e' detenuto
in Iran e in pericolo di vita
18 novembre 2005
Marina Forti
Fonte: Il Manifesto


Forse il piu' noto tra i giornalisti dissidenti in Iran, Akbar Ganji,
ricevera' oggi, a Siena, il "Premio per la liberta' di stampa", dato dal
Comune e dall'Information Safety and Freedom. Lui pero' non sara' nella
citta' toscana a riceverlo perche' si trova nel carcere di Evin, a Tehran.
Anzi: da oltre due mesi e' in isolamento, dice il difensore, in un reparto
speciale che si trova sotto il controllo diretto del ministero
dell'intelligence. L'estate scorsa, tra giorno e agosto, ha effettuato uno
sciopero della fame che lo ha lasciato in condizioni di salute incerte. A
ritirare il premio sara' dunque una delegazione guidata dalla moglie,
Massoumeh Shafii, che giorni fa in un'intervista all'Adn Kronos
International si e' detta convinta che le autorita' "vogliono farlo morire
in cella". L'ultima volta che lo ha potuto vedere, dice, pesava appena 51
chili: "Tre chili meno di quando ha interrotto il suo digiuno di 70 giorni".
Sara' con lei il difensore di Ganji, l'avvocato Yousuf Molaie, che da anni
ormai si dedica alla difesa di persone accusate di reati politici e di
opinione ed e' convinto che il caso di Ganji sia eccezionale, un
accanimento: "Dobbiamo adoperarci perche' esca vivo da quella prigione", ci
ha detto ieri, di passaggio a Roma: "Il suo stato di salute e' preoccupante.
E' indebolito, stremato. La sua scarcerazione e' urgente".
Nella delegazione venuta a ritirare il premio in nome di Akbar Ganji - e a
perorare la causa della sua scarcerazione - c'e' inoltre Ahmad Refat,
portavoce dell'Associazione per la liberta' di espressione in Iran, ed e'
venuto da Tehran anche Masahollah Shamsolvaisin, vicepresidente
dell'Associazione iraniana dei giornalisti.
Perche' la magistratura iraniana si accanisce tanto contro Akbar Ganji? La
sua vicenda rappresenta bene la lotta di potere avvenuta in Iran negli anni
'90 e in particolare con l'avvento della presidenza riformista di Mohammad
Khatami, quando e' nata una stampa indipendente - ed e' diventata un terreno
di scontro tra le correnti riformiste e il sistema di potere della
repubblica islamica, di cui la magistratura resta un bastione.
Ganji e' tra i giornalisti che nel '98 e '99 hanno scritto articoli
d'inchiesta sui misteriosi omicidi di intellettuali e oppositori che avevano
segnato gli anni '90, noti in Iran come "serial killings". E aveva chiamato
in causa alcuni apparati di sicurezza dello stato, l'ex presidente di
allora - Hashemi Rafsanjani - e altre figure politiche molto in vista, come
l'allora ministro dell'intelligence Ali Falahian. Cosi' pressanti erano
quelle inchieste che il ministro dell'intelligence aveva dovuto ammettere il
coinvolgimento di alcuni elementi dei servizi in quegli omicidi - "elementi
deviati", verrebbe da dire in Italia, ma pur sempre un'ammissione clamorosa.
La raccolta di quelle inchieste, pubblicata nel 2000 con il titolo Scheletri
nell'armadio, e' tra i "capi d'imputazione" contestati a Ganji, cosi' come
un altro suo libro, L'arcipelago del carcere, uscito nel 2003.
Processato una prima volta nel 2000 (anche per aver partecipato a una
conferenza a Berlino sul futuro dell'Iran, nel '99), condannato infine nel
2001 a sei anni di detenzione per vari reati tra cui "diffondere propaganda
contro la repubblica islamica", Ganji ha continuato a far uscire dal carcere
lettere che poi circolavano su internet. Nel 2002 ha scritto un "Manifesto
repubblicano" in cui prefigura un sistema democratico. Nel giugno scorso,
quando ha avuto una "licenza" dal carcere per motivi di salute, Ganji ha
subito chiesto la scarcerazione di tutti i detenuti per motivi d'opinione,
poi ha lanciato un appello al "non voto" nelle imminenti elezioni
presidenziali. E' stato reincarcerato subito per ordine del procuratore
generale Saeed Mortazavi - gia' capo del tribunale per la stampa a cui si
deve la chiusura di tanti giornali (e l'incarcerazione di tanti
giornalisti).
Ganji e' quello che ha portato piu' a fondo la sua sfida al potere. "Finche'
eravamo tutti dentro e fuori Evin era piu' o meno normale", ci dice
Shamsolvaisin - anche lui, come direttore del primo quotidiano indipendente
nato allora, ha conosciuto la galera. "Lo statuto di Ganji e' cambiato
quando ha alzato il tono e ha attaccato direttamente la 'guida suprema',
l'ayatollah Ali Khamenei", massima autorita' nel sistema della repubblica
islamica.
Ora la sua salute e' in pericolo, dice il difensore. E fa appello a
moltiplicare le pressioni per il suo rilascio: "Lasciamo da parte l'aspetto
politico, ci interessa il lato umano. E' in pericolo. Chiediamo il rilascio
senza condizioni, per motivi umanitari".

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