«Se la Calabria avesse avuto negli anni '70 il tasso di lettura della Liguria, oggi avrebbe una produttività del lavoro di 50 punti maggiore». L'affermazione un po' stupefacente è contenuta in una ricerca commissionata dall'Associazione Italiana Editori. Verrà presentata agli Stati Generali dell'Editoria e segnala una correlazione tra la crescita economica di un paese e gli indici di lettura. A tale risultato si arriva analizzando due variabili: le si mette in un grafico XY che ne rappresenti i valori; se X e Y sono indipendenti, i punti si distribuiranno in una nuvola casuale. Se invece sono strettamente correlate si disporranno lungo una curva; se sono correlate almeno un po', allora saranno sempre lungo una curva, ma con una certa dispersione. Ma attenzione: il fatto che X e Y siano correlati, anche fortemente, non significa che X sia la causa di Y; potrebbe anche essere il contrario che Y determini X, o ancora che il loro andare di pari passo dipenda da un'altra variabileche le guida entrambe. Le variabili esaminate sono l'indice di lettura (la spesa media annua in libri degli italiani) e le dinamiche di produttività. L'Aie fa notare che le regioni del nord Italia, che contribuiscono al Pil per il 54 per cento, hanno una percentuale di lettori pressoché identica (del 53,4) e che quelle del sud, dove i lettori sono il 26, contribuiscono al Pil per il 25. Dunque s direbbe una correlazione schiacciante.
I numeri sono numeri, ma l'interpretazione suggerita è dubbia: chi più legge, più diventa ricco e produttivo. quot;Con la lettura il Pil si rafforzaquot; ha intitolato non per caso il Sole-24 Ore. Chi mai potrebbe negarlo, in una società basata sulla conoscenza,? Ma è anche vero il contrario: dove c'è più ricchezza c'è anche maggiore possibilità e propensione all'acquisto di beni culturali. Insomma le due variabili si influenzano a vicenda e fanno parte di un gruppo di fattori interagenti: non solo la lettura, ma anche la qualità di un sistema di istruzione; non solo il reddito, ma anche il valore che una comunità assegna alle idee. Gli editori fanno lobby, come è giusto e salutare (per gli amati libri), ma proprio perché produttori di cultura dovrebbero forse essere meno rozzamente economicisti.
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