I Media arabi descrivono la guerra come il teatro di un massacro

Molti Arabi credono che la guerra in Iraq sia parte di un brutale assalto dell'America e dei suoi alleati contro la comunità araba mondiale
3 aprile 2003
Susan Sachs
Il Cairo, 3 aprile 2003
Era come una fotografia del dolore e della rabbia arabi. Lo sguardo furioso di un adolescente dalle macerie di un edificio bombardato come una donna velata in lacrime sul cadavere di un parente.

In realtà, si tratta di due fotografie: una dalla guerra intrapresa dall'America in Iraq, l'altra dai territori palestinesi, mescolate in un'unica immagine questa settimana sul sito Web del popolare quotidiano saudita Al-Watan.

Il significato sarebbe risultato chiaro a qualsiasi lettore arabo: ciò che sta accadendo in Iraq è parte di un unico attacco, continuo e brutale, condotto dall'America e dai suoi alleati contro gli Arabi indifesi, dovunque essi siano.

Mentre la guerra in Iraq sta entrando nella sua terza settimana, i media nella regione hanno incredibilmente fuso immagini e nemici provenienti da questo e da altri conflitti in una singola scena, intrisa di sangue.

La bandiera israeliana si sovrappone a quella americana. I Crociati ed il saccheggio di Baghdad del XIIIo secolo da parte dei Mongoli, rievocati come barbari attacchi alla civiltà araba, sono utilizzati come sinonimi dell'invasione americana dell'Iraq.

Scioccanti vignette di bambini indifesi rimasti privi delle braccia, di neonati annientati e di madri attonite invadono i salotti delle case arabe dalle prime pagine dei quotidiani e dagli schermi televisivi.

Per i leader arabi e per gli Arabi moderati, sostenuti da Washington, la guerra è divenuta una crisi politica, fatta di proteste di strada, di militanti che incitano alla guerra santa e di una forte critica da parte dell'opinione pubblica ai loro legami con gli Stati Uniti.

Speravano in una guerra breve con una minima quantità di immagini provocatorie delle vittime civili irachene. Il messaggio quotidiano, invece, da parte di molti dei media, è che le truppe americane sono costituite da assassini insensibili, che soltanto la resistenza agli Stati Uniti può riscattare l'orgoglio arabo e che gli Iracheni stanno combattendo una battaglia pan-araba per la difesa dell'amor proprio della nazione.

"I media stanno giocando molto pericolosamente in questo conflitto", ha detto Abdel Moneim Said, direttore del Centro Al-Ahram per gli studi politici e strategici del Cairo. "Se si considerano il lessico e la immagini usate, ci sirende conto che stanno presentando a tutti il peggiore incubo che possa capitare-lo scontro di civiltà".

Il sensazionalismo non ha fatto presa su tutti i media. Alcuni quotidiani istituzionali, di proprietà governativa come il serio Al-Ahram e due dei giornali Arabi internazionali, di proprietà privata e con base a Londra, Al-Hayat e Al-Sharq Al-Awsat, hanno riferito delle guerra con un linguaggio neutrale. Mostrano le vittime bendate negli ospedali iracheni, ma non le immagini insanguinate di corpi an brandelli che riempiono le pagine dei loro concorrenti.

Il controllo governativo dei media non è un problema in nessun caso, dal momento che quasi tutti i quotidiani nel mondo arabo, inclusi quelli con la più brutale copertura informativa dell'invasione americana, pubblicano con il placet dei governi.

Nella maggior parte dei paesi, il governo nomina tutti gli editori dei giornali, compresa la cosiddetta stampa d'opposizione. Perfino un giornale di proprietà privata come al-Watan in Arabia Saudita deve attenersi alla linea governativa nel riferire della politica e dei personaggi nazionali.

La maggiore influenza su gran parte delle copertura mediatica proviene dal canale satellitare d'informazione Al-Jazeera, che ha iniziato le trasmissioni dal Qatar nel 1996, ed ha creato la sua fama con la copertura diretta della rivolta palestinese, dando agli spettatori uno sguardo privo di esitazioni sui corpi insanguinati e feriti.

Molti governi, consapevoli che Al-Jazeera è largamente considerata credibile dal pubblico arabo, hanno permesso alle proprie stazioni di trasmettere i fimati di Al-Jazeera sulla guerre per dimostrare le proprie credenziali anti-guerra. (Mercoledì Al-Jazeera ha annunciato la sospensione dei reportage dall'Iraq dopo i divieti a cui sono stati sottoposti due suoi corrispondenti da parte del governo iracheno a Baghdad).

La rabbia contro gli Stati Uniti viene alimentata da questa costante dieta fatta di primi piani a colori e riprese televisive di iracheni morti o feriti, descritti come le vittime delle bombe americane. Negli ultimi giorni, sempre più quotidiani arabi hanno pubblicato titoli che accusano rudemente i soldati di omicidio deliberato dei civili.

Anche per coloro che sono abituati a vedere immagini simili nella copertura araba del conflitto israelo-palestinese, la serie quotidiana di notizie di guerra sui giornali e sui notiziari trasmessi ogni ora hanno lasciato molti arabi alle perse con la loro rabbia.

"E' Shaytan, quel Bush", ha gridato Ali Hammouda, un edicolante del Cairo, usando il termine arabo per Satana ed indicando una fotografia a colori su uno dei suoi giornali.

L'immagine, pubblicata su molti quotidiani arabi, mostrava i corpi di una donna emaciata e di un bambino, che venivano definiti vittime dei bombardamenti americani nell'Iraq centrale. Erano distesi in una bara di legno aperta, il bambino con un ciuccio verde ancora in bocca.

"Il vostro Bush dice che è venuto per liberarli, ma guarda questa signora", ha esclamato il signor Hammouda. "E' libera? Che cosa ha fatto? Che cosa ha fatto il suo bambino?".

Fahmi Howeidy, un importante scrittore islamista al Cairo, dice che le reazioni non sono necessariamente pro-Saddam. "Certo pensiamo che Saddam Hussein non rimarrà al potere, ma se resiste per alcune settimane, almeno difenderà la sua immagine di eroe che è riuscito a resistere al potere statunitense ed inglese", ha affermato il signor Howeidy.

"Se ciò avviene, possiamo aspettarci il caos nel mondo arabo, dato che non sappiamo come la gente, che già critica i regimi arabi, esprimerà la sua rabbia dopo ciò".

"Forse ci sarà un gruppo estremista o una singola persona che faranno qualcosa contro il governo. Non sappiamo nulla dell'esercito, ma forse ci saranno delle persone che si sentiranno umiliate".

Da quando la guerra è iniziata, gran parte della stampa araba e delle TV privata satellitari arabe hanno dimostrato di non essere affatto schifiltose riguardo a ciò che mostrano. La guerra è un massacro, hanno detto gli editori, allora perché far tacere le grida o nascondere le interiora dei morti e dei feriti?

"Gli Arabi, come chiunque, non amano la vista del sangue o di immagini di cadaveri, ma è in base ad una questione di principio che abbiamo il diritto di sapere cosa stia accadendo", ha detto Gais Mustafa Abaido, un professore assistente di comunicazioni all'Università di Ain Shams al Cairo. "Ciò che vediamo sui media è un modo indiretto per i governi e per il pubblico di rifiutare la guerra".

Le immagini comunque, non sono presentata come un'evidenza frammentaria dei danni della guerra, ma come illustrazioni di una visione manichea definitiva della guerra e degli Stati Uniti. Il modo in cui sono presentate ed il linguaggio che le accompagna amplificano il loro impatto.

Il Presidente Bush, su un settimanale egiziano, viene mostrato su ogni pagina del notiziario di guerra con un'uniforma nazista. Le forze americane e britanniche sono definite "alleati del diavolo". Le vittima civili sono spesso descritte come vittime di un 'massacro' o, come ha detto un altro giornale egiziano, di un 'Olocausto americano'.

Un popolare sito Web arabo, uno dei molti a mostrare le più prribili immagini della guerra ha mostrato la foto di una ragazzina, con un occhio sanguinante, immagine usata da molti giornali nella regione. La didascalia dice: "Mia morta è stat liberata, come me".

Al_Manar, un canale satellitare gestito dal gruppo militante musulmano degli Hezbollah trasmette immagini di bambini feriti insieme alla dichiarazione del Segretario della Difesa Donald H. Rumsfeld, secondo il quale gli armamenti americani sono i più precisi della storia bellica.

La descrizione della guerra dei media arabi ha anche soffocato le voci più moderate che evitano le immagini brutali e le metafore di un vittimismo infinito.

"Sul lungo percorso, queste immagini possono generare un certo tipo di persone, non quelle che stanno cercando di sviluppare le nostre società ma quelle che pensano a come sacrificare se stesse", ha detto il Dr. Said, del Centro Al-Ahram del Cairo.

Come arabo moderato che promuove le riforme liberali ed un a "Rinascita", ha affermato, "Personalmente trovo enormi difficoltà a comunicare quel tipo di linguaggio al pubblico. La gente è infuriata ed indifesa e sente che il linguaggio più radicale dà loro unsenso di conforto".

Il sentimento anti-americano tra gli Arabi, largamente basato sulla convinzione che la politica degli Stati Uniti è modellata in favore di Israele, era presente molto prima della guerra in Iraq. Una diffusa simpatia per il popolo iracheno, nutrita dalle immagini dei morti e dei feriti, ha intensificato tale sentimento.

Nelle dimostrazioni contro la guerra, i manifestanti hanno ripetutamente fatto appello ai loro leader perché agiscano contro gli Stati Uniti, con l'espulsione dei diplomatici americani o rifiutando di concedere l'utilizzo dello spazio aereo arabo per i voli militari.

I leader arabi, pragmatisti per necessità, hanno cercato di favorire questi sentimenti, tentando anche, tuttavia, di non compromettere i propri accordi con Washington sulla difesa e sull'assistenza internazionale.

"La maggior parte della gente si rende conto che non è nel nostro interesse nazionale tagliare i ponti con gli Stati Uniti", ha detto un ufficiale giordano, "Ma la gente è frustrata. Questa è la cosa più importante, ed è una cosa di cui tutti simo consapevoli".

La preoccupazione era sottintesa mercoledì, quando il re Abdullah II di Giordania ha comunicato all'agenzia di stampa di Stato, Petra, che le immagini televisive delle vittime civili irachene lo avevano "Addolorato ed intristito".

"Nessun paese ha sotenuto l'Iraq come la Giordania", ha detto il re, "Abbiamo detto 'No' all'attacco quando molti dicevano 'Sì'".

Allo stesso modo, il Presidente egiziano Hosni Mubarak ha parlato in propria difesa questa settimana durante un discorso agli ufficiali dell'esercito. Ha detto che l'Egitto aveva usato "Tutto il suo peso" per influenzare gli Stati Uniti in uno sforzo per evitare la guerra, ma aveva fallito.

Preoccupati dall'aumento della rabbia popolare, è improbabile che qualche leader arabo si curi dei manifestanti anti-guerra che si scatenano attorno ai loro palazzi o ai loro uffici. I cambiamenti di regime nella regione non sono mai avvenuti in questo modo.

Piuttosto, temono che qualcun'altro possa sfruttare qualsiasi motivo di instabilità.

Al termine di un processo sviluppatosi in Turchia nel 1980, quando i terroristi minacciavano il governo, le proteste anti-guerra si poterono evolvere fino ad organizzare delle sommosse contro il governo, l'esercito fu richiamato a ristabilire l'ordine ed alcuni generali poterono decidere di prendere il potere con il pretesto di assicurare la stabilità nazionale.

In Arabia Saudita e nei piccoli Stati del Golfo, i diplomatici ed altri analisti politici immaginano una sfida lanciata da conventicole di principi anti-occidentali o fondamentalisti all'interno delle famiglie al potere.

Una guerra prolungata, accompagnata dalle immagini torci-budella delle vittime irachene in accusa alla crudeltà delle forze Americane possono anche bloccare i nascenti movimenti di riforma.

"Alcuni hanno detto, prima dell'invasione dell'Iraq, che risolvere il problema di Saddam avrebbe migliorato la reputazione degli Stati Uniti", ha affermato Turki Al-Hamad, un commentatore saudita che invoca riforme democratiche nel regno. "Ora se gli Stati Uniti dicessero che due più due fa quattro, nessuno crederebbe loro".
Note: Tradotto da Susanna Valle il 5 aprile 2003. Ogni riproduzione non profit è consentita citando la fonte ed il nome di chi traduce.

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