Oltre la notizia, il blog

Don Gillmor lascia il giornalismo «di carta» e si lancia in quello on line. Ma se il termine blog vi sembra ormai un po' abusato, quello di «giornalismo civico» - o anche open source politics - può aiutarci a capire meglio il significato delle «notizie» nell'epoca della loro producibilità di massa
2 gennaio 2005
Franco Carlini
Fonte: Il Manifesto

Dan Gillmor è un famoso giornalista, specializzato in questioni tecnologiche e fino ad ora ha scritto soprattutto sul giornale quotidiano della Silicon Valley, il San José Mercury News. Nelle settimane scorse ha annunciato che lascia la carta stampata e si butta in un'impresa tutta nuova, solo di rete. Aprirà dunque una testata di blog journalism, o di giornalismo civico, come spesso viene chiamato. Per spiegare il suo progetto Gillmor ha scelto di farsi intervistare dal blog giornalistico più diffuso e importante, il quale non è americano, né occidentale, ma della Corea del sud. Questo giornale online si chiama OhmyNews: funziona attraverso il contributo dei lettori, che si trasformano anche in cronisti. Yeon-ho, il fondatore, dichiarò a suo tempo alla Bbc: «L'ho lanciato il 22 febbraio dell'anno 2000 ed è stato il mio addio al giornalismo del 20esimo secolo, dove la gente può avere le notizie solo attraverso gli occhi ufficiali dei media conservatori». E aggiungeva: «La nostra idea è che ogni cittadino può essere un reporter». La tesi non è nuova, ma sembra avere avuto un particolare successo nella Corea del sud, dove effettivamente il sistema mediatico è piuttosto compresso e controllato. E del resto, ha segnalato Marina Forti dall'Iran, anche in quel paese le nuove generazioni si sono buttate con assoluto entusiasmo sui blog per diffondere notizie e dire la loro; sembra addirittura che ce ne siano più di 10 mila.

OhmyNews per parte sua pratica una forma originale: c'è uno staff di 40 persone e i pezzi vengono di solito retribuiti, 20 dollari come cifra massima. La platea dei collaboratori è oramai arrivata a 23 mila persone. Dunque non è un Forum libero, perché c'è una redazione che sceglie e seleziona, e si riconosce il valore dei contenuti forniti, su tutti i temi, dallo sport all'economia e alla politica ovviamente. I lettori sono due milioni al giorno e sembra proprio che il quotidiano online abbia avuto un certo ruolo nei cambiamenti di opinione pubblica che portarono alla elezione del presidente progressista Roh Moo-hyun. In ogni caso è riuscito a farsi accreditare come una vera testata dal sistema dei media e dei governi, anche grazie a una serie di scoop.

Gillmor, autore di un libro recente dal titolo significativo «We the Media» (Noi, i media) non pensa di riprodurre lo stesso modello coreano, ma certo anche ad esso si ispira e soprattutto intende fare tesoro della crescita esplosiva del fenomeno dei diari di bordo in rete (i weblog appunto) e del peso crescente nell'agenda dei media e nella sfera pubblica che essi stanno avendo. Le elezioni Usa ne hanno dato una conferma evidente, sia sul fronte repubblicano che su quello democratico.

Il loro peso è così significativo che una rivista importante come «Foreign Policy» ha dedicato ai blog esteri un'analisi specifica (www.foreignpolicy.com/story/files/story2707.php). E' firmata da due studiosi, Daniel W. Drezner dell'università di Chicago, e Henry Farrell della Washington University. Il primo (www.danieldrezner.com/blog) ha un blog quotidiano e il secondo partecipa a un blog collettivo di molti studiosi (www.crookedtimber.org). La loro tesi è netta e forse fin troppo ottimista: «Ogni giorno - scrivono - milioni di diaristi online, o bloggers, condividono le loro opinioni con un'audience globale. Attingendo ai contenuti dei media internazionali e del World Wide Web, questi blogger tessono un network elaborato, capace si fissare i contenuti in agenda su questioni che vanno dai diritti umani in Cina all'occupazione dell'Iraq. Quello che cominciò come un hobby sta evolvendo in un nuovo medium che cambia il panorama sia per i giornalisti che per i decisori politici».

Le parole come al solito evolvono rapidamente e non c'è da stupirsi che il termine blog, così di moda, sia da un lato troppo inflazionato e dall'altro troppo vasto, dati che con esso si indicano cose ormai molto diverse, con fini differenti e attori differenziati. Da qui la nascita appunto di nuove espressioni come «giornalismo civico» e «giornalismo di base». Certamente continuerà all'infinito la discussione se queste modalità possano essere classificate come giornalistiche oppure come altra cosa, magari solo conversazioni, espressioni, interazioni. Per ora, occorre riconoscerlo, non c'è una risposta univoca e forse si può ricorrere alla saggezza empirica dell'allenatore di calcio Boskov: di fronte alla domanda «è rigore oppure no?», il leggendario rispondeva «rigore è quando arbitro fischia». Allo stesso modo le news, tautologicamente, sono «quello che i giornali producono», ma se i giornali cambiano e si fanno anche loro un po' blog, allora come si chiama quello che producono? Qualcuno ha coniato l'espressione «Open Source Politics». In italiano potrebbe suonare «politica aperta», ammesso che a qualcuno interessi.

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