Ovvero impara l'arte e...mettila da parte

"Vade Retro" o "Vede retrò" ?

14 luglio 2007

Molti di noi si accodano alle biglietterie delle mostre e dei musei senza essere particolarmente estimatori, conoscitori, men che meno artisti o critici. Ci piace (e basta) guardare, riflettere, immaginare, soffermarci un po’ su un’opera piuttosto che un’altra più o meno incantati da particolari forme o colori, curiosare, decidere se l’apprezziamo oppure no e non ce ne frega neppure troppo se gli addetti ai lavori ci considerano i minus habens delle muse perché, sdegnati, ci rimproverano che non sono questi i criteri corretti per stabile la bellezza e la spiritualità dell’arte. Milano aveva già allestito la mostra titolata “Vade retro- Arte e omosessualità” in programma dagli inizi di luglio a metà settembre. A detta dei conoscitori ed esperti sarebbe stata la più grande mostra d’arte contemporanea gay mai realizzata in Italia, l’evento culturale gay di punta dell’estate: più di 150 artisti per analizzare l’arte omosessuale e l’omosessualità nell’arte dalla nascita della fotografia alle più ardite sperimentazioni di oggi. Da Von Gloeden a Pierre et Gilles passando per i dipinti pop di Warhol e Hockey. Naturalmente i soggetti erano rivolti all’omoaffettività e all’erotismo non etero, già notissimi ai tempi Persiani e dell’antica Grecia. Fin da subito gli organizzatori (Artematica) hanno dovuto sottostare alle restrizioni dei padroni di casa: sale vietate ai minori e catalogo privato di una decina d’opere che ha suscitato l’ironia dell’assessore Sgarbi sulle regole di Suor Letizia. L’onorevole Grillini parla di censure e pressioni a tutti i livelli, a partire dal titolo che, a fronte di pressioni della Curia milanese si è trasformato da “Ecce Homo” a “Vade Retro”. Sono state escluse opere a contenuto sessuale esplicito ed implicito, è stato escluso il nudo ed escluse le opere con richiami e riferimenti religiosi (Il San Sebastiano di Pierre et Gilles e cinque fotografie di nudo di Mapplethorpe e Gilbert&Gorge) Il colpo finale è stato dato epurando la rassegna di altre due opere che, secondo i censori, rappresentavano rispettivamente l’attuale Pontefice e l’affaire Siriana. A questo punto la mostra, presentata lunedì scorso al Palazzo della Ragione (?) di Milano è stata cancellata. La decisione, condivisa da Sgarbi, è stata presa dagli organizzatori che probabilmente di fronte alla censura parziale hanno preferito quella totale… Osiamo pensare che gli stessi abbiano ritenuto svilente il presentar opere secondo intenzioni curiali e amministrative e non secondo il loro obiettivo che era poi quello di far conoscere, di raccontare, di trasmettere con un messaggio visivo piuttosto che verbale o scritto, una realtà. Una realtà che ben pochi conoscono e che troppo spesso travisano, mistificano e insultano. E qui rientra in campo quella realtà di cui parlavamo all’inizio: il piacere (e basta) di guardare, riflettere, soffermarsi sui particolari e su tutto ciò che ci fa porre domande e che magari dà a noi popolo, che ignora, possibilità di risposta. Non possiamo entrare nel merito più di tanto ma ci era parso di capire che questa mostra non voleva entrare nel tema storico/psicologico dell’omosessualità o del “vissi d’arte, vissi d’amore”, semplicemente voleva in qualche modo fare conoscere l’omosessualità a chi omosessuale non è o non ha ancora capito d’esserlo, ma ha comunque il diritto (se è civile pure il dovere) di cercare di intendere cosa sia la tendenza omosessuale. Del resto con che pretesa un eterosessuale può entrare nella storia, nell’ analisi, nell’estetica dell’omofilia se non capisce cosa sia il concetto? Quella mostra sarebbe stata una buona occasione in quanto esposta e dichiarata. Questa volta siamo noi, invece degli esperti, a dover provare offesa e indignazione, noi che da semplici cittadini interessati o anche solo curiosi (che sarebbe già tanto) siamo passati, obtorto collo, a sostenere la parte di bigotti vecchio stampo, di censori istituzionali , di foglie di fico ad usum Pio V. Questo non ci piace, ma non ci è concesso dire: “basta!”

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