Si era dichiarato obiettore di coscienza durante la prima guerra mondiale

"Guerra alla guerra" di Ernest Friedrich

Cento anni fa il cittadino del mondo Ernest Friedrich, nato nel 1894 a Breslavia dava alle stampe il libro "Krieg dem Kriege" (Guerra alla guerra). Anarco-pacifista e antimilitarista, voleva ispirare un disgusto attivo e spronare all’azione.
1 marzo 2024
Marinella Correggia
Fonte: Il Manifesto

Cento anni dal libro Krieg dem Kriege! (Guerra alla guerra), di Ernest Friedrich. Una terapia d’urto, con 180 fotografie che ritraggono l’atroce «vero volto» della guerra. E un appello, tuttora attuale,  alla disobbedienza di massa. Una delle immagini del libro "Guerra alla guerra"

Cento anni fa il cittadino del mondo Ernest Friedrich, nato nel 1894 a Breslavia (all’epoca parte del regno di Prussia, ora Wroclaw, città polacca), reduce non dalle trincee ma dal carcere per essersi dichiarato obiettore di coscienza durante il primo conflitto mondiale, dà alle stampe Krieg dem Kriege! (Guerra alla guerra), raccolta di oltre 180 fotografie della prima guerra mondiale, tratte da archivi medici e militari tedeschi. Atroci, ripugnanti, per mostrare il «vero volto» della guerra, «il crimine di Stato più meschino e diabolico», il male assoluto capace di lacerare esseri umani e natura. Ogni foto ha una didascalia, in 4 lingue, a condannare e sbeffeggiare la malvagità dell’ideologia bellicista. Tutto finalizzato, nell’intenzione di Friedrich, anarco-pacifista e antimilitarista, a ispirare un disgusto attivo in chi guarda e legge. A spronare all’azione. 

Del resto il libro si apre con l’appello «All’umanità intera» che esorta alla diserzione e alla disobbedienza di massa da parte di madri e figli, donne e uomini: unico modo per fermare i potenti ed evitare le prossime guerre, il prodotto peggiore del capitalismo. 

Dopo il carcere a Potsdam nel 1917 con l’accusa di «sabotaggio alle attività militari» e la liberazione alla fine del 1918 grazie alla rivoluzione tedesca, Ernst Friedrich fra le due guerre rimane mobilitato per la pace. Nel 1924 pubblica Krieg dem Kriege!, nel 1925 fonda a Berlino l’Anti-Krieg Museum, Museo antiguerra, uno spazio per l’educazione alla pace. Con l’avvento al potere di Adolf Hitler, Ernst diventa una delle vittime del regime; viene arrestato nel 1933, il museo vandalizzato. Riesce a fuggire all’estero, apre un nuovo museo a Bruxelles - per vederlo distrutto con l’invasione tedesca. Ripara in Francia, ma il regime di Vichy lo imprigiona a Gurs per 18 mesi. Fugge, diventa membro della resistenza francese, rimanendo pacifista  (del resto, don Lorenzo Milani, nella sua Lettera ai cappellani militari, del 1965, dirà che la resistenza è stata l’unica guerra non di aggressione nei cento anni di Italia). Salva decine di bambini ebrei dalla deportazione. Gestisce una fattoria. Nel secondo dopoguerra prosegue, pubblica riviste, compra un pezzo di foresta dove crea un centro per la gioventù operaia. Muore in Francia nel 1967. 

In Krieg dem Kriege! Ernst Friedrich non risparmia nulla al lettore. E’ una «terapia d’urto», scriverà Susan Sontag nel suo saggio Regarding the Pain of Others  (Davanti al dolore degli altri), del 2003: «Quasi tutte le sequenze sono difficili da guardare, ma le pagine più intollerabili del libro, che aveva nel suo complesso il compito di atterrire, sono i 24 primi piani di soldati con la faccia sfigurata da enormi ferite», colpiti da granate, proiettili e ordigni tutti. Le didascalie ne spiegano il calvario (sottoposti a decine di operazioni per un recupero minimo di funzionalità, alimentati artificialmente), indicando di alcuni i nomi e le professioni della loro vita di prima (contadino di 25 anni, operaio siderurgico, ferroviere, disegnatore...). 

Il resto del libro percorre gli effetti di 4 anni di guerra su soldati, civili, alberi, paesi. Trincee-cimiteri di fango, fosse comuni, bambini scheletrici, adulti straziati, fucilazioni e impiccagioni per chi disse no, foreste bruciate, «natura morta di guerra», quartieri rasi al suolo, ma anche i privilegi e svaghi dei potenti e regnanti che dichiarano le guerre mentre altri le subiscono; e l’errore-orrore dei soldatini e dei fucili regalati all’infanzia. Friedrich vuole togliere la maschera dal campo del cosiddetto onore, della cosiddetta morte eroica. E dimostrare l’assurdità dell’impegno del proletariato in quella che è anche una guerra di classe.

 

Krieg dem Kriege! viene tradotto in decine di lingue. Grande diffusione. Si predice che il volume avrà un’influenza decisiva sull’opinione pubblica. Bertolt Brecht se ne ispira direttamente per il suo Abc della guerra.

Eppure Friedrich fallisce nell’obiettivo, troppo grande, di scongiurare il prossimo macello. Non è l’unico a tentare la strada dell’orrore per immagini. Sontag ricordava il film J’accuse del regista francese Abel Gance, riadattato come messaggio antimilitarista all’approssimarsi del secondo macello mondiale, partendo dalla versione muta del 1919 che già aveva destato grande scalpore. Nella piana cimiteriale si leva un esercito di spettri fra i quali gli ex soldati orribilmente mutilati dell’Union des Gueules Cassées, «spettri zoppicanti che travolgono gli impauriti combattenti futuri e le vittime della guerre de demain. La guerra respinta da un’apocalisse». E invece no, concludeva Sontag: «L’anno dopo la guerra arrivò». 

 

La ricercatrice Claire Bowen dell’università di Havre, nell’articolo«Fotografie di guerra per la pace», osserva che Ernst Friedrich segue la strada delle immagini scioccanti percorsa anche prima dell’affermarsi della fotografia dagli artisti Jacques Collot ne Les grandes misères de la guerre e Francisco Goya ne Los desastres de la guerra. Ricordiamo anche il tedesco Otto Dix (1891-1969) che, scioccato dall’esperienza di combattente (si era arruolato allo scoppio della prima guerra mondiale), divenne un convinto pacifista e fece della riflessione sul periodo al fronte una parte importante della sua opera. Bowen richiama inoltre la pubblicazione Covenants with Death (1934), una contro-storia fotografica (con testi) della prima guerra mondiale, messa insieme dallo scrittore T. A. Innes e dall’ex fotografo ufficiale di guerra canadese Ivor Castle, di fatto ispirata da Krieg dem Kriege!; ma era più una campagna per il non intervento britannico negli affari continentali che un messaggio universale antiguerra. 

 

Molte guerre sono passate a distruggere i ponti dal 1924, e nel 2004 esce – per Mondadori – l’edizione italiana del libro di Ernst: Guerra alla guerra. La prefazione è di Gino Strada, fondatore di Emergency, il quale esorta a «non fermarsi di fronte al legittimo ribrezzo, andare avanti pagina per pagina, sopportando la nausea» perché «le facce delle vittime restano l’unica verità della guerra stessa». Strada ricorda le menzogne alle quali le potenze hanno sempre fatto ricorso per giustificare ogni nuovo crimine contro l’umanità. Gli Stati uniti entrano nella grande guerra «to end all wars», per mettere fine a tutti i conflitti. Da allora, la ricerca di scuse «diventerà una costante nel resto del “secolo breve”, e segna anche l’inizio del nuovo millennio», con le guerre «umanitarie», quelle «contro il terrorismo», quelle «preventive» (Bush-Blair all’Iraq nel 2003). Ne seguiranno molte altre. Le cui atrocità vengono censurate, oppure mostrate. Ma in questo XXI secolo, diventa ancora più difficile riconoscere la verità, fra photoshop e intelligenza artificiale.

Rimane la domanda: quando le foto facevano testo, perché nemmeno lo scioccante libro di Ernst riuscì a indurre alla disobbedienza di massa? Osservava Susan Sontag che indicare l’inferno non fornisce necessariamente agli osservatori gli strumenti per evitare le fiamme. Secondo Bowen, in realtà Krieg dem Kriege! «gli strumenti li offre, ma solo all’audience già convinta della causa politica e degli argomenti offerti da Friedrich per spiegare le origini della guerra e i mezzi per porvi fine». Del resto, «la valanga di pubblicazioni fotografiche nella seconda metà del XX secolo – un periodo di ininterrotti conflitti nel mondo – rende evidente che nemmeno le immagini più spaventose possono cambiare il corso della storia». Come direbbe Francesco Guccini, «è difficile capire se non hai capito già». O forse è un circolo vizioso e si arriva solo ai lettori/spettatori già sensibili? Come toccare il cuore e il cervello di tutti?

Rimane intatta l’attualità dell’appello di Friedrich. Infatti, nell’oggi,  nemmeno i pesanti bombardamenti aerei su aree civili sono risparmiati ai popoli. E nemmeno le trincee nel gelo fangoso. Così, sembra parlare alle madri o compagne dei soldati che in Ucraina come in Russia iniziano appena a chiedere il ritorno dei mobilitati dal fronte, l’invito di Friedrich alla disobbedienza generale: «E voi, donne! Se i vostri uomini sono troppo deboli, voi ce la farete! (…) Donne di tutto il mondo unitevi!».

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