ITALSIDER: Malattie professionali, 34 inquisiti
Operai dell’ex Italsider deceduti o rimasti vittime di malattie professionali dopo aver lavorato per anni in ambienti inquinati? E’ questo il terribile interrogativo a cui la magistratura tarantina sta cercando di dare una risposta con un’inchiesta che va ad occuparsi di episodi verificatisi nel colosso siderurgico durante ben trentacinque anni. Al termine di indagini che hanno fatto leva su controlli incrociati, esami documentali, consulenze tecniche, la Procura è arrivata alla conclusione che per almeno trenta operai, che nel periodo interessato dall’attività investigativa prestarono servizio nel siderurgico, ci possa essere stato un nesso fra le patologie di cui sono rimasti vittime ed il loro luogo di lavoro.
A confermare questa ipotesi sono gli avvisi di garanzia che segnano la chiusura delle indagini e quanto viene illustrato in un articolato capo d’imputazione. Ad esser finite nel mirino degli organi inquirenti sono state complessivamente 34 persone, fra direttori dello stabilimento, manager, dirigenti e componenti di consigli di amministrazione dell’epoca a cui si riferisce l’inchiesta. Per tutti le accuse vanno dalla cooperazione in omicidio colposo alla cooperazione in omissione colposa di cautele o difese contro gli infortuni sul lavoro. Secondo il titolare del delicatissimo procedimento (si tratta del sostituto procuratore dott. Italo Pesiri), gli inquisiti avrebbero omesso di informare i dipendenti dello stabilimento dei rischi che la loro salute stava correndo alla luce delle sostanze e degli elementi (polveri ed altro) con cui avevano contatto. Ma non basta.
Stando a quanto viene contestato, gli indagati non avrebbero evitato il verificarsi di una simile situazione nè adottato misure capaci di scongiurare i pericoli a cui gli operai sarebbero stati esposti nel corso della loro attività lavorativa. Presunte omissioni che sono costate ai 34 soggetti finiti sottonchiesta pesanti accuse, le stesse dalle quali dovranno cercare di prendere le distanze prima che la Procura adotti le decisioni finali, quelle che faranno calare il sipario sull’intera vicenda.
Una vicenda che, clamorosa stando almeno ai numeri che la caratterizza, ruota attorno a quello che da anni è il quesito a cui si sta cercando di dare una risposta: quando un lavoratore è“assalito” da patologie invalidanti o da processi tumorali, fino a che punto può esserci un nesso fra la malattia ed il luogo in cui il soggetto ha prestato la propria attività professionale? L’inchiesta avviata su cosa sarebbe accaduto a dipendenti del siderurgico sta cercando di trovare una soluzione. Il compito non è certo dei più semplici, ma nonostante questo, importanti risultati sono stati raggiunti.
A far partire i primi accertamenti della magistratura furono le allarmanti segnalazioni fatte dall’INAIL in ordine all’incremento di malattie contratte da un certo numero di dipendenti dell’allora “Italsider”. Si parlava soprattutto di soggetti affetti da neoplasie, da grossi problemi alle vie respiratorie e da altre patologie che con il passare degli anni avrebbero lasciato un segno indelebile nel loro fisico. In diversi casi si è registrato il decesso del paziente, in altri un’invalidità permanente, in pochi la guarigione dopo dolorose cure. Il comune denominatore per quei poveretti era rappresentato dal luogo di lavoro in cui avevano prestato la loro opera.
Già, perchè tutti erano stati per anni in servizio presso lo stabilimento siderurgico. Una semplice coincidenza o un indizio meritevole di un adeguato approfondimento? Preso atto degli elementi messi a sua disposizione, la Procura ha optato per la seconda ipotesi. Ed è stato così che i casi segnalati dall’INAIL sono diventati materia di indagine. Inizialmente, gli inquirenti hanno puntato la loro attenzione su una settantina di operai rimasti vittime di gravi malattie. Ma per poter stabilire se esisteva un eventuale nesso fra queste ultime ed il tipo di lavoro svolto è stato necessario far ricorso a consulenze che alla fine hanno fornito dati certi solo per una trentina di casi, gli stessi per i quali gli odierni indagati sono finiti sotto accusa. Sulla scorta di quanto emerso dalle perizie, quei lavoratori sarebbero stati in contatto con quella che la magistratura ha definito “una particolare miscela di elementi dannosi per la salute”.
Il “cocktail” indicato nel capo d’imputazione sarebbe stato composto (fra gli altri) da acidi tossici, apirolio, diossina, polveri di amianto, polveri sottili, carbone, silice, particelle di ferro, idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti, policlorobifenili, mercurio, anidride carbonica. Secondo la tesi della Procura, la gran parte di quei lavoratori sarebbe stata all’oscuro di tutto questo, non avrebbe mai percepito a quali pericoli era esposta nel corso delle ore lavorative. Nessuno degli operai si sarebbe reso conto della gravità della situazione sino a quando non ha cominciato ad accusare i primi malesseri affiancati da manifestazioni chimiche.
Per alcuni l’impatto con la malattia si è avuto a distanza di anni, per altri invece quando erano ancora in servizio. Ma per la magistratura questo non ha fatto differenza. Per la magistratura ci si troverebbe di fronte a malattie contratte nel corso di attività lavorative. Per quale motivo? Su come sono andate le cose un’idea la Procura se l’è fatta ed è per questo che ha puntato l’indice contro chi, fra il 1960 ed il 1995 (prima della vendita dell’azienda ad Emilio Riva), ha ricoperto ruoli dirigenziali nell’ambito dell’allora Italsider-ILVA. Adesso, a tutti questi il diritto di replica.
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