ILVA ancora sotto accusa: 3 indagati
Danneggiamento, getto pericoloso di cose, scarico diretto nel sottosuolo di sostanza inquinante: sono queste le accuse che portano alla ribalta l’ennesimo presunto caso di inquinamento ambientale che vede coinvolta l’ILVA.
Sono queste le accuse che tirano in ballo tre responsabili dello stabilimento siderurgico per distinti episodi registratisi fra il mese di luglio e settembre di due anni fa. Episodi su cui la Procura tarantina ritiene di aver fatto piena luce, come del resto dimostrano gli avvisi di garanzia che, notificati ai diretti interessati nei giorni scorsi, hanno segnato la chiusura delle indagini preliminari.
Ad aver messo nero su bianco le contestazioni è stato il pubblico ministero inquirente dott.ssa Antonella Montanaro, che preso atto dei risultati di consulenze tecniche e degli esiti di mirati accertamenti ha puntato l’indice contro il direttore dell’azienda, l’ing. Luigi Capogrosso, il procuratore dello stabilimento, dott. Giuseppe Sansone, ed il dirigente dei Parchi Primari e Rifornimenti dell’ILVA, dott. Marco Andelmi.
A risultare gravati da tutte le ipotesi di reato formulate sono i primi due, entrambi chiamati a rispondere sia dello sversamento di una sostanza oleosa (costituita da idrocarburi) nella zona di mare antistante la calata IV del Porto cittadino, sia dello scarico nel terreno (l’area è quella sottostante la “Torre n. 3” di congiunzione dei nastri trasportatori del minerale di ferro) di liquido sversato precedentemente all’interno di un canale in muratura a cielo aperto, il tutto, come si legge nel capo d’imputazione “a causa della mancata realizzazione di strutture di contenimento del minerale di ferro nell’ambito di pertinenza ILVA.” Che è poi l’unica ipotesi delittuosa (quella dello scarico nel sottosuolo della sostanza inquinante) che riguarda il dott. Andelmi.
I primi episodi finiti nel mirino della magistratura risalgono all’8 luglio, al 5, 10 e 13 agosto del 2006, epoca in cui fu segnalata la presenza di sostanza oleosa in prossimità dello specchio di acqua antistante il porto. Sulle prime si ipotizzò che il fenomeno potesse essere addebitato a qualche nave di passaggio, ma solo al termine di meticolosi accertamenti è stato possibile per la magistratura fissare il quadro della situazione.
I risultati investigativi hanno consentito di appurare che un cospicuo flusso di olio puro in uscita dall’ILVA transitava nel collettore SISRI per poi essere riversato in mare. Una situazione che, a giudizio della Procura, avrebbe determinato l’inquinamento dello specchio d’acqua interessato dallo sversamento, tenuto conto che la sostanza in questione è risultata in grado di “offendere, imbrattare e molestare le persone”.
Preso atto della ricostruzione dell’accaduto, il p.m. ha individuato i presunti responsabili di quanto successo nel direttore e nel procuratore dello stabilimento, gli stessi che (attraverso i propri legali avv. Cesare Mattesi ed Egidio Albanese) adesso hanno venti giorni di tempo per tentare di confutare il quadro accusatorio o chiedendo di essere interrogati, o producendo documentazione o depositando una memoria difensiva.
E la stessa scelta dovrà fare pure il terzo dirigente dell’ILVA raggiunto dall’informazione di garanzia solo in ordine all’ipotizzato scarico nel sottosuolo di acqua frammista a minerale di ferro, circostanza che secondo l’accusa si sarebbe verificata fra il 5 ed il 6 settembre sempre di due anni fa.
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