Il Ministero che non c'è
Gruppo Facebook http://www.facebook.com/group.php?gid=64316705839 - 07 maggio 2009
C'era una volta un dicastero dedicato alla difesa degli interessi del territorio contro la speculazione e alla proposta di politiche ambientali attive. Oggi è svanito. Un’assenza che brilla nel cuore della green revolution, diventata la parola d’ordine nel mondo. Non è positivo, sia nel lato del fare che nel lato dei silenzi sulle tante cose fatte, il bilancio a un anno dall’insediamento del ministro Stefania Prestigiacomo.
Diciamo che, se non fosse voluto, sarebbe un bell’autogol, per il governo Berlusconi. Se invece l’obiettivo è disfare la regia che il ministero dell’Ambiente può rappresentare nei confronti delle politiche energetiche, antinquinamento, agricole, di difesa del territorio, allora si può assegnare un voto brillante alla gestione del dicastero di via Cristoforo Colombo.
Caccia, parchi, natura, ma anche rifiuti, acqua: sui temi che lo vedono sulla carta in prima linea, dall’8 maggio 2008, data del fatidico insediamento, la volontà del ministero guidato da Stefania sembra essere quella di far calare una cappa di silenzio. Al contrario, è stata entusiastica l’adesione a politiche che non avevano avuto audience nelle stanze del ministero neanche nei 5 anni a guida Matteoli: sì al nucleare, avanti con la conversione a carbone della centrale di Porto Tolle, presa di posizione per la difesa dell’esistente nella battaglia contro la diossina dell’Ilva di Taranto.
E poi la questione clima: il primo passo fatto dalla bionda Stefania è stato andare a convincere i colleghi europei che l’Italia non ce la poteva fare a tenere il passo delle richieste europee sulla riduzione delle emissioni di gas serra, un’uscita solo in parte recuperata nell’organizzazione del G8 di Siracusa (e nella sconfessione della mozione anti clima del centrodestra in Senato).
Il ministero dell’Ambiente è stato - tra tutti - quello cui è stato inflitto il taglio maggiore di risorse nella ripartizione di quest’anno. I suoi fondi sono crollati del 50 per cento. Un buon motivo, ma certo non l’unico, per tagliare i soldi per i parchi (che sarebbe bene cominciassero a funzionare come aziende, come ha più volte ricordato il ministro).
Sta di fatto che alle aree protette italiane sono state sottratte il 12 per cento delle risorse, quella che lo stesso ministero definisce una «significativa contrazione», in linea però con i principi di contenimento della spesa pubblica. «Negativa» è la sintesi sull’intervento ministeriale sulla Rete Natura, così come la definisce Danilo Selvaggi della Lipu: «Uno dei pochi atti fatti in Italia per la conservazione della biodiversità è stato modificato sulle misure contro l’attività venatoria, a partire dall’allungamento dei tempi di proibizione dei pallini al piombo nelle zone umide».
La Carta italiana sulla biodiversità, che avrebbe dovuto essere adottata anni fa e che co-munque dovrebbe essere almeno pronta per il 2010, anno in cui si compie il “countdown” che impegna tutti i Paesi del mondo a rallentare l’erosione delle specie animali e vegetali sul pianeta. Sulla caccia, a differenza di quello che avrebbe dovuto fare, il ministero è entrato poco o nulla. Prestigiacomo si è pronunciata contro la scelta di lasciare le doppiette ai sedicenni, ma non si conoscono altre valutazioni. E in questi giorni si vota l’allargamento di fatto delle specie cacciabili e nulla ancora si muove.
Le scelte energetiche lasciano sgomenti, così come quelle antinquinamento. Per quanto riguarda l’Ilva Taranto (per cui la Regione aveva fissato la riduzione delle emissioni in atmosfera di diossine e furani a partire dal primo aprile 2009), il ministro ha preso posizione a favore dell’azienda. La questione si è risolta solo a palazzo Chigi con la mediazione di Gianni Letta col posticipo della scadenza al 30 giugno e l’impegno dell’azienda di adottare filtri per abbattere le emissioni.
Per quello che riguarda la riconversione della centrale di Porto Tolle da olio a carbone, il ministro afferma che «è un passaggio necessario ai fini della tutela dell’ambiente perché il carbone e le tecnologia applicabili oggi inquinano meno»: sta di fatto che i nuovi impianti a carbone hanno emissioni più che doppie rispetto a quelle di un ciclo combinato a gas. Altro che green new deal, questa è una vera black revolution.
Simonetta Lombardo e Daniele Di Stefano
I DIECI ECO-DISASTRI
Clima. In una delle prime uscite pubbliche Stefania Prestigiacomo annuncia che il governo avrebbe chiesto la revisione degli accordi europei contro il global warming.
Nucleare. Secondo il ministro è «un’energia pulita sulla quale l’Italia deve investire e recuperare il tempo perduto».
Rinnovabili. Invece di massicci investimenti sulle fonti alternative, il ministro al G8 ambiente punta sul sequestro sotterraneo della CO2 e sull’atomo.
Porto Tolle. La conversione da olio a carbone della centrale sarebbe «un passaggio necessario per la tutela dell’ambiente».
Ilva di Taranto. Con la solita carta del ricatto occupazionale, Prestigiacomo prende le parti della proprietà contro le nuove norme anti diossina della Regione.
Termovalorizzatori e Cip6. Il ministro firma un emendamento alla Finanziaria 2009 che riconosce gli incentivi Cip6 (maggiorazione del prezzo dell’energia elettrica riservata alle fonti rinnovabili anche per quella prodotta dagli inceneritori).
Biodiversità. Buoni i propositi della Carta di Siracusa, ma l’Italia non ha ancora un suo Piano nazionale.
Parchi. Dopo gli aumenti dell’ultimo biennio i fondi per la protezione della natura vengono tagliati dell’11,9% rispetto al 2008. I parchi nazionali perdono il 6%.
Sic-Zps. Prestigiacomo ha modificato il decreto Pecoraro Scanio, allentando la tutela su alcune specie cacciabili. Marcia indietro sul divieto dei pallini di piombo.
Caccia. Silenzio sulle norme di deregulation proposte dalla maggioranza
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