Conflitti

Max Hirsch: «Il rifiuto di combattere è il vero patriottismo»

La rivolta dei riservisti israeliani come atto di obiezione alla guerra

La portata è inedita: oltre 10mila adesioni in pochi giorni, tra cui ex membri delle forze speciali, paracadutisti, piloti della marina, agenti dell’intelligence, medici militari, ex capi del Mossad e dello Shin Bet. Una parte di questi ha combattuto dopo il 7 ottobre 2023.
20 aprile 2025
Redazione PeaceLink

Il reportage di Avvenire sull'obiezione alla guerra in Israele

Di fronte al sistematico sterminio dei civili palestinesi si sta alzando una voce diversa e potente: quella degli ex militari israeliani che rifiutano di prestarsi ancora a una guerra che molti iniziano a leggere come crimine contro l'umanità. Il reportage di Lucia Capuzzi, inviata a Gerusalemme per Avvenire il 17 aprile 2025, racconta la disobbedienza collettiva e dichiarata di chi ha servito lo Stato e ora ne contesta pubblicamente le scelte belliche.

Questa mobilitazione – inizialmente ribattezzata dai media “la rivolta dei piloti” – non è solo un dissenso interno. È un’esplosione di coscienza collettiva. È la presa di posizione di chi, conoscendo da dentro le dinamiche della guerra, ha deciso di dire “no”. No all’indifferenza verso gli ostaggi. No alla prosecuzione di una guerra che non mira più alla difesa ma diventa strumento di potere. No a una logica che rischia di calpestare la vita umana per interessi politici.

La portata è inedita: oltre 10mila adesioni in pochi giorni, tra cui ex membri delle forze speciali, paracadutisti, piloti della marina, agenti dell’intelligence, medici militari, ex capi del Mossad e dello Shin Bet. Una parte di questi ha combattuto dopo il 7 ottobre 2023. E ora, con lucidità, prende le distanze, non per vigliaccheria ma per responsabilità. Tra loro anche Max Hirsch, 29 anni, veterano del conflitto, che afferma: «Il rifiuto di combattere è il vero patriottismo». Una frase che potrebbe stare nei testi dell’obiezione di coscienza storica, da Gandhi a Capitini.

La petizione lanciata chiede la liberazione degli ostaggi “anche se questo significa mettere fine al conflitto”. È un appello profondamente umano che mette al centro la sacralità della vita anziché la vittoria militare. Non è solo una critica alla strategia di Netanyahu, ma una scelta di campo tra l’obbedienza cieca e l’etica della responsabilità.

Questo movimento è una forma di diserzione talmente profonda e diffusa che persino i media hanno smesso di condannarla. Nel contesto israeliano, dove la leva è obbligatoria e la riserva può estendersi fino ai 40 anni, questa disobbedienza è un terremoto. Non è solo una questione interna: è un messaggio per il mondo. Ricorda che anche in una società fortemente militarizzata possono nascere fessure di coscienza, germogli di nonviolenza, atti di dissenso che aprono spiragli di pace.

Quella raccontata da Avvenire è una pagina di resistenza civile che merita di essere conosciuta, studiata, sostenuta. 


Fonte: Lucia Capuzzi, Avvenire, 17 aprile 2025
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