Produzione alimentare sostenibile? Sembra un miraggio
La produzione alimentare contribuisce in modi diversi al cambiamento climatico: lo sradicamento delle foreste, il prosciugamento delle zone paludose o l'aratura di prati a elevato tenore di carbonio rilasciano anidride carbonica CO2 e protossido di azoto (N2O) estremamente dannosi per l'ambiente. L'uso di fertilizzanti alimenta la produzione di questi gas serra, per lo più metano. Anche i ruminanti come mucche, pecore e capre emettono metano nel loro apparato digerente mentre il gas serra fuoriesce dalle risaie umide. A tutto questo si aggiunge la CO2 derivante dai combustibili fossili utilizzati per la produzione alimentare, dal metano per il trattore al consumo energetico della fabbrica di salsicce.
Gli altri ricercatori valutano positivamente lo studio, ma le ipotesi relative ai possibili incrementi di rendimento potrebbero essere troppo ottimistiche
Gli scienziati hanno, per loro conto, continuato a riflettere su diverse tendenze attuali e hanno formulato ipotesi: più aumenta il benessere tanto più aumenta il consumo di carne e latticini, la popolazione mondiale cresce ulteriormente, lo spreco alimentare rimane costante, la produttività dell'agricoltura continua ad aumentare. Sulla base di queste ipotesi, nel periodo dal 2020 al 2100, il riscaldamento sarà dovuto ai vari gas a effetto sera a breve e lunga durata, pari a 1.356 miliardi di tonnellate di CO2. Si tratta di quasi la stessa quantità di emissioni al di fuori del settore alimentare in quasi 30 anni. Ma possono esserci anche altre possibilità: se le persone vivessero in modo più sano, consumassero meno prodotti di origine animale, dimezzassero lo spreco alimentare, coltivassero in modo più efficiente, accrescessero i raccolti o addirittura tutto insieme, secondo i ricercatori le emissioni agricole potrebbero diminuire sensibilmente, fino a raggiungere la neutralità del clima e oltre. In questo caso il settore alimentare assorbirebbe addirittura più CO2 di quanta ne produce.
La recente riforma della politica agricola comune dell'UE non basta
In linea di principio, gli esperti valutano positivamente lo studio, mentre le ipotesi relative agli eventuali incrementi di rendimento potrebbero essere troppo elevate e non vi sono grandi incertezze nei calcoli, come ha reclamato Florian Schierhorn del Leibniz-Institut für Agrarentwicklung in Mittel- und Osteuropa. “È piuttosto irrealistico pensare che i rendimenti di molti anni fa continuino nel futuro”, afferma. “In molte importanti nazioni agricole i rendimenti salgono a malapena”.
Alcuni esperti del cambiamento climatico hanno elogiato il fatto che gli autori spesso pongano l'accento sul settore agricolo, troppo spesso trascurato anche dal punto di vista politico. Se, come previsto, l'UE ha intenzione di ridurre le emissione di gas a effetto serra di almeno il 55% fino al 2030, caleranno chiaramente anche le emissioni derivanti dal settore agrario”, afferma Clemens Scheer del Karlsruher Institut für Technologie. Tuttavia ha dei dubbi circa il fatto che la recente riforma della politica agricola comune possa raggiungere l'obiettivo, poiché, momentaneamente, la maggior parte delle sovvenzioni agricole viene distribuita in modo forfettario per superficie coltivata, indipendentemente dal ciò che il contadino fa o non fa. “Al fine di garantire un efficiente cambiamento climatico, i premi forfettari per superficie dovrebbero essere sostituiti da pagamenti per esigenze ambientali, i cosiddetti sistemi eco-compatibili”, afferma Scheer.
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