Una Yalta finanziaria intorno a Mediaset?

Il gruppo di Berlusconi è interessato a Telecom, ma per arrivarci deve superare mille ostacoli. Può farlo con l’appoggio dell’economia (Montezemolo e De Benedetti) e dei Ds
21 settembre 2006
Andrea Milluzzi
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Dove porta la vicenda Telecom? Non è un interrogativo da poco, perché oltre ad avere come soggetto una delle poche grande aziende italiane rimaste, nasconde altri scenari di uguale importanza che riguardano la politica e l’imprenditoria. Allora cerchiamo di tirarne le fila, per quanto possibile.
Che Tim finirà sul mercato ormai è praticamente scontato. Che Telecom e la rete la seguano lo è molto meno, ma è certo che da qualche parte il gruppo dovrà riposizionarsi. Su Tim si alzano i bastioni della difesa dell’italianità e come una lepre Rupert Murdoch, proprietario di New. Co. indiziata numero uno sia per i telefonini che per il fisso, si tira fuori: «Eravamo in trattativa ma abbiamo troncato perché ci sono troppe pressioni politiche in Italia. Magari però ospitiamo azionisti italiani in Sky...». Pretendente che va, pretendente che viene e il nome è clamoroso: Mediaset. La voce inizia a circolare, poi è l’ad del gruppo Giuliano Adreani a scoprire le carte: «Sì, potrebbe essere, ma più che sui telefonini punterei sulla rete di telefonia fissa». Cioè, l’azienda di Silvio Berlusconi, il titolare del conflitto di interessi fra telecomunicazioni e politica più discusso della storia d’Italia, starebbe per comprarsi anche la telefonia? Messa così sembra impossibile, ma scava scava i tasselli si incastrano. Seguiamo la teoria de Il Foglio in edicola ieri: Berlusconi ha i soldi e le competenze per salvare l’indebitata Telecom, suo vecchio pallino, e adesso che non è più presidente del Consiglio si potrebbe dedicare anima e corpo ai suoi affari. Resta però sul piatto il macigno del suo ruolo politico (non va dimenticato che il ministro Gentiloni si appresta a riscrivere la legge Gasparri e che una legge sul conflitto di interessi sembra - sembra - imminente) e quindi gli servono sponde. E’ sempre il quotidiano di Giuliano Ferrara a suggerire una risposta: la “Yalta finanziaria”. A Berlusconi si stanno riavvicinando in tanti, dai De Benedetti a Luca Cordero di Montezemolo, lo stesso che a Vicenza in campagna elettorale troncò ogni rapporto con l’allora premier. Intorno a De Benedetti, Montezemolo e Berlusconi era nato un anno fa il fondo di consulenze per le piccole imprese M&C, di cui avrebbero avuto un ruolo anche Della Valle, la Bim e tanti altri soggetti al tempo non impegnati in progetti particolari. Adesso il fondo Carlyle di Marco, il De Benedetti jr, si è già detto interessato alla Tim, Montezemolo ha criticato il “dirigismo” del governo con le stesse parole di Berlusconi, e di Mediaset abbiamo già detto. Quindi, la Telecom in difficoltà sarebbe l’occasione per ricreare una sorta di nuova camera di compensazione del capitalismo italiano. In tutto questo anche la politica avrebbe un ruolo e qua entrano in gioco i Ds. Antonio Panzieri, europarlamentare della Quercia intervistato ieri dal Sole 24 Ore appoggiava l’ipotesi Telecom-Mediaset facendo intendere che in cambio Berlusconi avrebbe dovuto però lasciare l’agone politico. Oltre a questo c’è la necessità per i Ds di rispondere alle operazioni prodiane della fusione Intesa-San Paolo, la «nuova banca dello sviluppo», e del piano Rovati che sostanzialmente prevedeva il salvataggio della rete Telecom attraverso la cassa depositi e prestiti, di cui le Fondazioni sono azioniste di maggioranza. Va bene che Prodi ha disconosciuto il piano, va bene che Rovati si è dimesso, ma Giuseppe Guzzetti, presidente di Acri e uomo credibile, ha detto a Repubblica: «Se il supporto delle Fondazioni dovesse essere utile al Paese noi saremmo disponibili a studiare un ingresso in Telecom». E Prodi che dice «non potrei oppormi alla vendita di Tim all’estero» a chi sta parlando? A Berlusconi per intimorirlo, a Murdoch per incoraggiarlo o ai suoi alleati per minacciarli?

Comunque sia, regge questo scenario di un nuovo centro politico-finanziario contrapposto a un polo più interventista, capeggiato da Prodi, di cui fanno parte anche i sindacati e l’ala sinistra del governo? «Sì, regge, anche se non credo allo scambio Telecom-Berlusconi fuori dalla politica. - risponde Giorgio Cremaschi, segretario della Fiom - E’ certo che stiamo di nuovo assistendo alla ricomposizione dei poteri forti (Montezemolo, De Benedetti, Berlusconi) che ha scatenato una reazione contro Prodi che ha superato i confini delle coalizioni come si sono presentate alle elezioni. Paradossalmente in questo momento i Ds sono all’estrema destra del governo. E’ chiaro che ormai siamo alla resa dei conti, basta leggere l’intervista di Mario Monti su Repubblica di oggi (ieri, Ndr) per capire che si sta andando verso il commissariamento di Prodi da parte del grande capitale privato. Con tanti saluti alla rottura di Vicenza». Le parole di Monti hanno colpito anche il direttore de Il Riformista, Paolo Franchi, «perché danno l’idea di un clima: lo sappiamo tutti che alla fine di questa legislatura, a prescindere da quando sarà, lo scenario politico non sarà quello con cui siamo arrivati alle elezioni. Quello che avviene al centro di entrambi gli schieramenti porta a questo». Che Telecom possa essere il prodromo di questa operazione però Franchi lo esclude: «Non credo che l’operazione con Mediaset possa andare in porto perché creerebbe un terremoto politico per 10mila motivi diversi, fra cui la leadership del centro-destra e un imbarazzo gigantesco nel centro-sinistra. Certo, che Mediaset voglia Telecom diventa ogni giorno più evidente, ma mi fermerei qua». Molto più prudente Nicola Rossi, economista Ds: «Senza i numeri non si può parlare, restiamo solo nel campo delle ipotesi. Posso solo dire che ogni volta che delle operazioni imprenditoriali sono state volute, spinte o suggerite dalla politica sono costate molto ai cittadini in termini di costi e regolamenti. Per questo - conclude Rossi - sono allucinanti le posizioni di chi all’interno della maggioranza reclama l’intervento dello Stato in Telecom».

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