Sciupagoverni, sciupasinistra Fiom crocefissa dai giornali

Maledetti meccanici Il Sole 24 ore dà la linea a Rinaldini, Repubblica lo mette sulla sedia elettrica, l'Unità lo richiama all'ordine. Un no ha scatenato le ire dei media, ricompattati dalla difesa della svolta moderata dell'esecutivo sulle politiche economiche e sociali
13 settembre 2007
Loris Campetti
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Ma allora gli operai metalmeccanici esistono ancora, nel XXI secolo? Non solo loro esistono, persino la Fiom è viva e a occhio e croce deve contare ancora molto. E' questa la conclusione che si ricava dopo un'attenta lettura dei giornali ieri in edicola. Lo «strappo» - è così che viene chiamato da quasi tutti i quotidiani - del gruppo dirigente dei meccanici Cgil non è né più né meno che un voto contrario a un accordo, nel momento in cui le confederazioni vanno a chiedere a tutti i lavoratori e i pensionati italiani di esprimersi con un sì o con un no. Se a dire no è il comitato centrale della Fiom, però, apriti cielo: quel no mette in pericolo Cgil, Cisl e Uil, la loro unità e il loro futuro, fa traballare il governo che sul protocollo pensioni-welfare-mercato del lavoro aveva ottenuto le firme di Epifani, Bonanni, Angeletti, Montezemolo... e, dulcis in fundo, offende il Partito democratico e scatena addirittura la zizzania tra le varie componenti della «Cosa rossa». Crucifige.
«La Fiom contro il governo spacca la Cgil» è il titolo d'apertura de l'Unità. Il «Quotidiano fondato da Antonio Gramsci» non si accontenta della sventagliata di colpi contro Gianni Rinaldini e i suoi compagni e affida alla sua migliore firma sindacale, Bruno Ugolini, un commento al vetriolo: «Una pesante responsabilità». «Nella storia dei metalmeccanici non sono mai mancate divergenze e scontri, ma è sempre prevalso l'interesse generale». Se ne deduce che la Fiom, con il suo no, è stato iscritto d'ufficio nell'elenco dei sindacati corporativi. Ugolini tira in ballo l'ex segretario Claudio Sabattini (purtroppo non può replicare) che mai avrebbe fatto una scelta simile. Dimentica di ricordare che la linea dell'autonomia e dell'indipendenza della nuova Fiom è figlia proprio di Sabattini, il dirigente che ha portato la sua organizzazione al G8 di Genova dove la Cgil era assente, ha rifiutato di firmare contratti capestro siglati separatamente da Fim e Uilm, ha lanciato i precontratti della Fiom.
Ma andiamo avanti, e passiamo a Repubblica. Anche il giornale fondato da Eugenio Scalfari dedica l'apertura a «Welfare, lo strappo della Fiom». L'editoriale è firmato dallo stesso Massimo Giannini che qualche giorno fa ha intervistato il ministro Amato, dove non si capiva se erano più forcaiole le domande o le risposte. La Fiom rappresenta «la cultura operaista del vecchio pansicalismo metalmeccanico di trent'anni fa... la vocazione frazionista della parte che pretende di rappresentare il tutto...». Giannini se la prende con chi, al governo, minimizza l'evento: «La prevedibilità dello strappo non ne attenua affatto la gravità» della scelta effettuata dalla «parte più estremista del sindacalismo italiano» che boccia un accordo meraviglioso affossando «un'intesa che semmai, se ha avuto un vero limite, è stato proprio quello di aver contemplato troppe cose di sinistra». Per Giannini «la nuova questione metalmeccanica è un aculeo velenoso piantato nel fianco della maggioranza». Ce n'è per tutti, persino per Guglielmo Epifani colpevole di aver firmato il protocollo con qualche riserva «per presa d'atto». Cioè senza passione. E qui Giannini scomoda Luciano Lama: «Non siamo convinti che il grande sindacalista di Amelia, oggi, sarebbe troppo fiero dei suoi eredi». Negli articoli di cronaca di Repubblica ce n'è anche per il manifesto, colpevole di cattive frequentazioni (Rinaldini, ma la colpa è reciproca) e di essere tra i promotori della manifestazione del 20 ottobre. Stessa colpa ci viene imputata anche dal Corriere. Del resto, è un'accusa molto diffusa anche ai piani alti della Cgil. Il giornale di via Solferino dedica apertura e pagine alla Fiom, parla di «Svolta movimentista delle tute blu» (ma la Fiom è movimentista o politicista? Si mettano d'accordo) e tira in ballo la categoria della «scissione» nella Cgil.
Apertura obbligata per quasi tutti i quotidiani, spesso accompagnata da editoriali di fuoco. Il più divertente è il commento del Sole 24 ore in cui Alberto Orioli dà la linea a Rinaldini, gli spiega che così danneggia gli operai. In fondo in fondo, la Fiom è armata da sacro livore antioperaio, lascia intendere il giornale della Confindustria: «Ma siamo sicuri che la Fiom faccia gli interessi dei lavoratori?», si chiede Orioli che spiega come i salari si siano impoveriti e per rigenerarli il protocollo del governo ha giustamente scelto di legarli irrimediabilmente agli utili azienda per azienda, te lo do io il contratto nazionale: se gli affari vanno bene soldi in più, se vanno male si tira la cinghia. Come dice Montezemolo, gli operai sono «collaboratori» del padrone. Orioli lancia strali contro i «massimalisti da talk show», «irresponsabili» colpevoli di «boicottaggio» che «potrebbe solo servire a ricreare la società delle frammentazioni, dei micro-interessi, degli egoismi furbastri, dei conflitti piccoli e grandi. Insomma, l'ennesima prova di autolesionismo di chi a sinistra tenta di sfrattare il sindacato dal monolocale del lavoro». Le cronache del giornale confindustriale non sono da meno.
Questi i toni generali (fa eccezione Liberazione, mentre i giornali ufficialmente di destra sguazzano nel pantano e accusano Prodi di aver spaccato i sindacati). Come dicevamo, la Fiom è oltre che sciupasindacati e sciupagoverni anche sciupa sinistra: «E il sindacato divide anche la Cosa rossa», titola uno dei servizi della Stampa. Un altro titolo del giornale torinese recita «La Fiom scuote il governo/ Dopo il no sul welfare crescono i dubbi sulla tenuta alle camere».
Così i giornali di ieri, sconvolti dal fatto che una sola categoria di un sindacato confederale su tre si è permessa di esprimere un dissenso su un accordo valutato nel merito e non in funzione delle dinamiche governative. Cioè in piena autonomia. Ma che deve fare un sindacato di fronte a un accordo, se non valutarlo nei suoi contenuti? La risposta viene dal titolo di apertura del settimanale della Cgil, Rassegna sindacale: «Il giudizio non può che essere positivo. Buona consultazione democratica a tutti.

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