Kenya

Una Tv per raccontare un'altra Nairobi

La storia di Slum Tv
10 aprile 2008
Sabrina Pisu

“Il mio nome è Cosmas Nganga. Sono nato a Mathare 31 anni fa. Ho fatto tante esperienze finora. Nascere in uno slum significa vivere una grande sfida. Dopo le elezioni presidenziali, ci sono stati scontri, molte persone sono state uccise, molte case bruciate. Molti hanno perso tutto quello che avevavo. Anche io non ho più nulla, l’unica cosa che mi resta sono questi pantaloni che indosso. I miei vicini appartengono alla tribù Luo, io sono l’unico kikuio e sono stato costretto a fuggire”. Scorrono nitide come sequenze le immagini che evoca Cosmas Nganga, poche, lapidarie, drammatiche istantanee delle sue ultime giornate in una delle baraccopoli più violente di Nairobi: Mathare.
Mathare: 400.000 abitanti, il 10 % della popolazione totale della capitale sopravvive in questa terra che si estende per 1,5 km². In un’area grande quanto 200 campi da calcio convivono 42 gruppi etnici. È la seconda baraccopoli per grandezza del Kenya e una delle più povere tra le 199 censite da Un Habitat, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei senza casa a Nairobi. “Insediamenti informali”, così sono definiti gli slum, occupazioni popolari non legali. Esistono, ma non sono riconosciuti dal governo.
È il 30 dicembre scorso quando, dopo la proclamazione del presidente Mwai Kibaki contestata dal capo dell’opposizione Raila Odinga, hanno inizio gli scontri. Kibaki, leader del Pnu, è della dinastia Kikuyo, Odinga, leader dell'Orange democratic movement (Odm), è dei Luo. Il bilancio fornito da Abbas Guillet, responsabile della Croce Rossa locale, parla di oltre mille morti, migliaia di feriti e 304mila senza più un tetto. Un vero teatro di guerra civile, su cui sempre di più sembra calare il sipario del genocidio, lo stesso che ha chiuso e dannato nel silenzio un altro terribile palcoscenico della storia: il Ruanda. Nel corso di questi scontri un’intera parte di Mathare è stata saccheggiata, bruciata e poi rasa al suolo. Dietro le parole di Cosmas Nganga, aleggia il fantasma di uomini torturati e derubati. Arsi vivi insieme alle proprie abitazioni. In una spirale di violenza che ha affamato e armato di odio due etnie, Luo e Kikuyo, in una vera e propria carneficina che ora, dopo il mancato accordo tra il Presidente Mwai Kibaki e il Primo Ministro Raila Odinga per la formazione di un governo di unità nazionale, rischia di insanguinare di nuovo il paese. Eppure, dentro questa storia di sangue, odii e vendette, ce n’è un’altra, diversa, che aspetta di essere raccontata.

A farlo è Slum TV, una televisione creata da un gruppo di giovani filmakers e fotografi keniani che vivono a Mathare. E che si sono mobilitati in segno di protesta contro la stampa internazionale. La loro prima denuncia arriva all’indomani dei primi scontri dal quotidiano britannico “The Independent”: “I media hanno volutamente mostrato solo una parte della realtà, quella negativa” dice Benson Kamau, operatore che ha seguito e filmato il conflitto fin dall’inizio. “Noi mostriamo il bene e il male – continua Kamau – quello che succede dietro le quinte.” Così mentre il mondo riprendeva solo le immagini degli scontri scoppiati dopo l’annuncio dei risultati elettorali, i giovani operatori e fotografi raccoglievano storie di solidarietà. Donne di etnia Luo che ospitavano famiglie di etnia kikuyo. Centri di assistenza gestiti da donne keniane nei luoghi in cui le agenzie internazionali non si avventurano, talmente alto è il rischio. Un gruppo di uomini che salvano la vita ad un uomo di un’etnia diversa dalla loro. Gli operatori hanno frequentato solo un corso di due settimane di ripresa e montaggio, imparando da soli le regole basilari del mestiere. Nelle loro mani, una sola videocamera. E un grande impegno: informare e poi formare gli altri attraverso dei corsi. Nata nella strada e per la strada, Slum tv vuole cogliere la vita e l’identità profonda di questa che è una vera e propria città nella città. Una volta al mese, i loro video vengono proiettati davanti a centinaia di persone nella baraccopoli. Nei suoi quasi due anni di vita i principali successi sono state proprio le testimonianze di vita ordinaria. Superando i confini del già visto, questi giovani sono riusciti a fermare quei gesti di umanità che si aprivano, improvvisi, tra lo scorrere di una quotidianità fatta di dolore e distruzione. Alexander Nikolic, artista di origine serba, ci racconta come il fine sia quello di lavorare insieme per realizzare alla fine un archivio, una memoria. “La gente del quartiere – dice Nikolic – guarda la televisione in pubblico: calcio inglese e bolckbusters hoollywoodiani. Abbiamo, dunque, pensato che sarebbe stato più facile applicare le regole della televisione delle origini, in cui qualsiasi proiezione nelle sale cinematografiche era sempre accompagnata da un notiziario. Che, poi, inseriamo in un archivio affinché non si perda. In futuro, quando i cellulari avranno delle telecamere migliori, i video potranno essere uploadati dovunque.” Negli ultimi tempi, il principale operatore, Julius Mwelu, ha filmato uomini feriti a colpi di machete, poliziotti aprire il fuoco contro la folla con fucili AK47. “Fino ad oggi il nostro girato era più innocuo, ammette la coordinatrice del progetto, Sam Hopkins, ma quello che ha girato Jilius non è innocuo. Non credo che potremmo mostrarlo a Mathare.” Oggi Slum tv rappresenta qualcosa di più e di diverso di una semplice emittente locale. È, prima di tutto, un segnale di speranza. Per Cosmas Nganga e per tutti gli altri giovani dello slum che si ritrovano e raccontano fin dal sito internet. Con il sogno di vedere, attraverso una nuova lente, un presente meno buio e un futuro di pacificazione più vicino. Con in mano la loro videocamera e una nuova storia da raccontare.

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