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Domande di un pacifista a suo padre

L'8 settembre 1943: inizia la disobbedienza civile

L'8 settembre 1943 tanti italiani vissero in prima persona una storia drammatica: l'invasione dei tedeschi. Il re fuggì, lasciando l'Italia allo sbando.
Quella data fu decisiva per mio padre. Si decise probabilmente la sua vita e il suo futuro. E se sono qui a scrivervi è anche perché dopo quell'8 settembre le cose andarono in un certo modo. Ho voluto intervistare mio padre, cosa insolita per un figlio di quarantacinque anni ad un papà di ottantadue. Ecco cosa mi ha raccontato.
8 settembre 2003

Dove sei l'8 settembre 1943?
Facevo il militare a Cremona come aviere scelto.

Quanti anni avevi?
Ventidue.

Cosa era successo nei mesi precedenti?
Eravamo andati via da Vibo Valenzia, vicino Catanzaro. Infatti gli angloamericani erano sbarcati in Italia e avanzavano. Così noi ci spostavamo via via più a nord, con la nostra Scuola aeronautica armieri e telefonisti. Dopo esserci stabiliti per una decina di mesi nei pressi dell'aeroporto di Sant'Egidio in Umbria, vicino a Perugia, ci trasferimmo infine a Cremona dove non c'era l'aeroporto ma quattro grandi caserme dell'Areonautica. Ricordo che c'erano alcuni croati ustascia con noi che poi dopo l'8 settembre fuggono via con i tedechi.

Qual era lo stato d'animo prima dell'8 settembre?
Si cantava ancora "vincere vinceremo", ma c'era la sensazione della guerra la stavamo perdendo.

Qual era la tua opinione?
Già dal 1942 avevo la sensazione della sconfitta. Si parlava di accorciamento del fronte, di ripiegamenti tattici. Ma era difficile per me credere che si potesse vincere: vedevo che ci ritiravamo in continuazione.

Con chi passasti la giornata dell'8 settembre?
A Cremona il 7 settembre era arrivata mia mamma. Veniva dalla Romagna con il treno. Una pura casualità! Mi portò i vestiti borghesi, un bel vestito grigio con la camicia, perché ha il sentore che la guerra sta finendo. Stemmo la sera del 7 assieme. Dormì in albergo. L'8 settembre la accompagnai alla stazione. Mentre saliva in treno sentimmo suonare le sirene, c'era un gran movimento, era tutto un trambusto. I bersaglieri scorazzavano con le moto. La radio aveva diffuso la notizia dell'armistizio. Ci sentivamo padroni del campo. C'era un senso di contentezza, come se fosse scoppiata la pace.

A quel punto che cosa pensaste?
Mia mamma mi disse: "Viene a casa con me". "Ma perché mi devo mettere in difficoltà, tanto la guerra è ormai finita", le risposi. Ero ottimista e pensavo che saremmo ritornati a casa presto. Ci salutammo. Mia mamma partì, ritornando a casa da sola.

Che clima si respirava in caserma quel giorno?
C'era euforia nell'aria. La sera dell'8 settembre noi in caserma cantavamo, ballavamo, ci sentivamo liberi.

E gli ufficiali che dicevano?
Gli ufficiali erano sorpresi pure loro, ci lasciano fare. Rimangono sorpresi della nostra gioia. Loro erano più preoccupati.

Avevate l'impressione di avere la pace fra le mani?
Proprio così. Invece se quell'8 settembre in stazione avessi ascoltato mia madre e fossi andato via in treno con lei... avrei fatto la cosa giusta. Ma sarebbe stato come indovinare il futuro.

Cosa succede subito dopo?
Nella notte tra l'8 e il 9 settembre i tedeschi accerchiarono le caserme. Noi ci preparavamo alla pace mentre i tedeschi si preparavano alla guerra. Suonò la sveglia e mi accorsi che era ancora buio. Erano le 4 del mattino. Dopo l'adunata incominciano a partire delle cannonate contro di noi. Sicuramente l'8 settembre i tedeschi si erano appostati. Ma non si vedevano, non sapevamo niente.
Loro avevano i cannoni, noi i moschetti.

Cosa ricordi dell'alba del 9 novembre?
Ricordo che ci dettero le munizioni e il moschetto. Alcuni nostri soldati si appostarono. Ma con le cannonate i tedeschi scoperchiarono due caserme. I primi che si fecero avanti per difendere la caserma vennero colpiti, alcuni morirono, altri furono feriti.

E tu che facesti?
Cercai di rendermi utile, di unirmi agli infermieri e di dare una mano. Ma dissero che erano al completo. C'era chi scappava, chi sparava. Fu un momento di sbandamento generale. Non c'erano più ordini. Ognuno pensava a sé. Cercai di mettermi al riparo. Ad un certo punto mi rintanai in un angolo dentro la caserma, vicino ad un tavolo e pensavo: "Se viene giù il tetto so almeno che posso ripararmi lì sotto". Ero da solo. Alcuni scappavano fuori della caserma.

Si poteva scappare fuori dalla caserma?
Sì, ma era pericoloso, i tedeschi sparavano. Il colonnello - da quello che venni a sapere - non si fece prendere, scappò.

I tuoi superiori fuggirono via?
L'8 settembre avevamo fatto l'adunata con il colonnello. Ma, poiché da Roma non venivano ordini, gli ufficiali non sapevano cosa fare. Appena i tedeschi cominciarono a bombardare, il colonnello riuscì a sottrarsi alla cattura. Era un uomo coraggioso. Non scappò per vigliaccheria. Forse non fu catturato. Il tenente colonnello non sapeva cosa fare. Lo vedi fuggire a testa bassa. Non so se fu preso prigioniero.

Eri armato quando arrivarono i tedeschi?
Avevo il moschetto ma lo avevo messo da parte. Il moschetto era abbastanza lontano da far vedere ad un tedesco che non gli potevo sparare, ma era abbastanza vicino da non essere accusato di aver abbandonato il fucile.

Come ti catturarono?
Vidi arrivare dei tedeschi accompagnati da un sottufficiale italiano che mi invitò a consegnare il moschetto, che i tedeschi presero e spaccarono assieme ad altre armi. Fummo caricati su un camion e portati in una grande piazza di Cremona.

Un volta prigioniero che facesti?
Detti 100 lire a due donne perché scrivessero a casa mia. Volevo far sapere che ero prigioniero. Detti l'indirizzo, ma a casa quella lettera non arrivò mai. Mi tolsi le fasce. Ero rassegnato a diventare prigioniero dei tedeschi. Anche i sottufficiali e gli ufficiali erano senza idee, li vidi rassegnati al destino. Ricordo che un mio amico aviere venne vicino a me e mi disse: "Ho un sacco di soldi, ne vuoi la metà? Sono i soldi dello spaccio della caserma". Lui era infatti il gestore. "E che ce ne facciamo?", gli risposi. Forse voleva togliersi un problema. A me sembrava un impiccio. Ci avrebbero perquisito i tedeschi. Ormai eravamo prigionieri.

Avevi mai sentito parlare di campi di concentramento nazisti?
Avevo saputo da altri che la prigionia con i tedeschi era dura. Ma non sapevo dei campi di concentramento. Degli ebrei non si sapeva quasi niente. A Cremona si era parlato di uno sciopero degli operai alla Fiat. Ma eravamo molto ignoranti perché il fascismo ci aveva educati all'obbedienza e non avevamo l'informazione. Non avevamo il senso delle cose, non ci rendevamo conto di quello che accadeva attorno a noi. Dopo avremmo capito, avremmo preso coscienza.

Cosa pensavate di Hitler?
Si diceva che era grande capo. Non sapevamo delle crudeltà. Dicevano che era contro i bolscevichi e questo lo sapevamo bene. Questa era la sua immagine. Quando venne la guerra i contrari erano pochissimi. Noi eravamo inquadrati mentalmente. Dentro di me mi sentivo socialista. Mussolini lo si vedeva anche un po' socialista. "E se il socialismo lo fa Mussolini?" A volte si sentivano frasi come questa. Erano discorsi senza senso. Confusi. Non ti rendevi conto dei retroscena. E poi non si poteva parlare.

Ritorniamo a Cremona. Cosa successe mentre eri prigioniero in piazza?
Alcuni tedeschi facevano la guardia. Erano bene armati. Camminavano sorvegliando da una parte all'altra la nostra piazza. Io ero lì in attesa che venisse deciso il mio destino. Ad un certo punto mi accorgo che delle donne fanno dei segni furtivi. Intuisco che si può scappare. Ricordo bene un portone con una donna che guardava nella nostra direzione. Faceva dei gesti verso di noi, può darsi avesse dei figli o può darsi che volesse aiutarci. Era come un invito a scappare.

Hai l'impressione che la guardia tedesca faccia una sorveglianza poco attenta o che chiuda un occhio?
No. Ma capisco che si può scappare. Calcolai quanto mi potevo allontanare dalla guardia. Mi allontanai piano piano facendo finta di guardarmi le scape. Quando vidi che ero ormai molto lontano dalla guardia tedesca... via! Al galoppo! Corro, corro per 100 metri, ma senza fare rumore e senza farmi notare. Mi infilo nel portone. No, non ebbi l'impressione che la guardia tedesca mi avesse lasciato fare o che altri stessero fuggendo nel frattempo assieme a me. Non se ne accorsero neppure i miei amici. In quegli attimi di fuga non guardai alle mie spalle. Secondo me la guardia non mi vide. Non notai altri prigionieri scappare. La mia fu una fuga senza voltarmi, tutta d'un fiato.

Dove ti nascondesti?
Nel portone di un palazzo.

A questo punto ti sentisti fuori pericolo?
No. Feci tutte le scale del palazzo di volata. Furono 5 o 6 piani di corsa forsennata. Arrivai nella terrazza senza neppure accorgermene. Poi scesi all'ultimo piano. Le porte delle case erano aperte.

Trovasti solidarietà?
Sì, c'era accoglienza, tutti erano disposti ad aiutare. Vedo le porte aperte, una famiglia mi fa entrare, aprono l'armadio, avevano dato via praticamente tutti i loro vestiti ad altri. Era rimasta una camicetta un po' troppo stretta per me e del calzoni, anche quelli di taglia piccola. Mi vergognavo a mettermi quelle cose, ma me le misi. I signori che mi avevano così bene accolto avevano due figli militari, ma non a Cremona. Mi colpì il fatto che avevano dato i loro abiti ad altri. "Speriamo che ai nostri figli facciano la stessa cosa", dissero. Erano generosi e avevano fatto agli altri ciò che speravano che altri facessero ai loro figli. Lasciai la mia foto con il mio indirizzo. Ci saremmo poi scritti. Capivo che avevano fatto a me quello che avrebbero voluto per i loro figli. E anche se mi potevano dare solo dei pantaloni un po' corti e una piccola camicetta... era già tantissimo. Li salutai e scesi.

Eri preoccupato a girare per strada?
Quando escii dal portone ebbi paura per le scarpe: erano ancora quelle da militare. I pantaloni e la camicia non sono della mia taglia e le scarpe militari mi potevano rendere riconoscibile. "Sono vestito male, mi riconoscono che sono un disertore, un fuggiasco", pensai. Camminavo stralunato. Ma in quel momento a Cremona c'era un grande caos. I tedeschi che incrociai per strada non ci badarono.

Dove ti dirigesti?
I miei vestiti li avevo in precedenza in via Valarana 1, alla periferia di Cremona, verso la campagna. Lì c'era il mio punto di ritrovo. C'era una ragazza di nome Maria che conoscevo, una brava ragazza. In quella casa avevo i vestiti civili. Quello era stato in passato un luogo di riferimento. Fisamonica, clarinetto, chitarra... nei mesi precedenti si erano allietate le serate con la musica, si faceva presto a fraternizzare fra giovani, c'è chi aveva la ragazza. E così arrivai in via Valarana 1, mi misi il mio vestito grigio, quello che mi aveva portato mia mamma. Quindi ritornai nella mia caserma per prendere la roba personale.

Come facesti ad entrare tua caserma?
La caserma non era presidiata da nessuno, era alla mercè della gente. Anzi ricordo un fatto molto particolare. Un uomo sulla quarantina entrò in caserma con me, si scelse un moschetto e se lo mise in un sacco. Lo portò via con cura, quasi accarezzandolo. Forse era un partigiano.

A questo punto che fai?
Tornai nuovamente alla famiglia in via Valarana 1. Quello era il luogo dove ero conosciuto. Mi fecero dormire lì. Rimasi 5 giorni fino a che la situazione non si sistemò. Poi mi accompagnarono poco fuori Cremona dove presi il treno per tornare a casa mia a Voltana, una frazione di Lugo di Romagna.
Sentivo dentro di me la sicurezza che la guerra sarebbe finita e che sarei ritornato a Cremona. Comunque poi ci scriveremmo; con quelli che conobbi in quelle circostanze rimase un'amicizia.

Tornando a casa in treno che cosa vedi?
Ad ogni stazione c'era festa. Arrivo a Ferrara ad è festa perchè non è occupata. E' festa a Voltana, il mio paese. I tedeschi non riescono ad occupare subito tutta l'Italia. La nostra zona è ancora senza tedeschi. E la Repubblica Sociale di Mussolini deve ancora organizzarsi.

Che clima si respira?
Per un po' d tempo si vive un clima di euforia. A Voltana tutti i treni portavano indietro qualche amico. Molti tornavano a casa, la guerra sembrava finita e ogni volta che arrivava un treno era festa.
La casa e la famiglia erano il punto di riferimento fondamentale, altrimenti rimanevi uno sbandato. Chi non aveva questo rifugio rischiava di morire. Quando arrivava il treno passeggeri sembrava che arrivassero dei vincitori... avevamo vinto la vita. Non credo di aver visto feste piu sentite di quelle.

E gli antifascisti si stavano organizzando?
Gli antifascisti per le strade camminavano a schiera insieme, tenendosi sotto braccio, dando una grande sensazione di unità e quasi di fratellanza. Era il chiaro segnale che c'era una resistenza e nessuna rassegnazione, nessuno sbandamento. Si vedeva l'organizzazione del Pci. Le insegne del fascismo erano state già tolte dal 25 luglio. Nel mio paese si era creato un patto di non aggressione fra antifascisti e i fascisti, che poi i fascisti romperanno. Ad ottobre infatti cominciarono i primi movimenti minacciosi. I vecchi fascisti ebbero l'ordine di riorganizzarsi. Ma a Voltana c'è chi, come Giulio Ghiselli, non volle più aderire al fascismo: verrà fucilato dai suoi ex camerati.

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L'intervista a mio padre prosegue. Arrivano i nazifascisti. Occupano il paese di Voltana e tutta la Romagna. Faccio tante domande e scopro qualcosa di molto interessante. Emerge la strategia della non collaborazione degli antifascisti e della popolazione di Voltana in generale. Questo li porta a non collaborare con il genio militare tedesco. Eppure i tedeschi erano disposti a pagare chi lavorava per loro. Se lavoravi inoltre ricevevi un documento con cui potevi muoverti più liberamente e in caso di rastrellamenti era una garanzia. Mussolini cominciava ad organizzare la guardia nazionale repubblicana. Ma i suoi repubblichini non riuscivano a costituire un esercito italiano: i giovani o non si presentavano alla leva o scappavano. La disobbedienza civile dilagava, pochi si volevano inquadravare nell'esercito di Mussolini. Mio padre mi fa chiaramente capire - con tanti esempi - che l'esercito italiano che voleva ricostituire Mussolini era come un l'acqua che esce da un secchio con tanti fori. Mussolini in fondo non riuscì a inquadrare milioni di persone che non ne volevano più sapere nulla di lui e dei nazisti. Se milioni di italiani gli fossero stati obbedienti tutto sarebbe cambiato. La Resistenza cominciava con quei gesti di non collaborazione e di diserzione. Spesso si è enfatizzato il ruolo armato della Resistenza, ma è questa diffusa strategia di "distacco" dal nazifascismo che ci si spiega appieno le ragioni della vittoria dell'Italia democratica ed antifascista.

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L'intervista è stata realizzata da Alessandro Marescotti a Luciano Marescotti (0997389393 - 0997314788). La diffusione del testo è libera, citando la fonte (PeaceLink).

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