La portavoce dell'Alto Commissariato ONU per i rifugiati parla della situazione nel Corno d'Africa

Allarme siccità e carestia. Laura Boldrini: “I profughi pagano il prezzo della speculazione finanziaria”

Nel campo profughi di Dadaab, ai confini con il Kenya, ci sono 400 mila persone di cui oltre 100 mila provengono dalla Somalia. Fino a quando il grano verrà utilizzato come energia combustibile non ci sarà alcuna possibilità per quelle persone
12 agosto 2011

cittadini somali rifugiati

Di Elisabetta Reguitti

Madri costrette a scegliere quali figli lasciar morire per riuscire a portare gli altri all’interno del perimetro del campo profughi. Uomini, donne e bambini che dopo settimane di marcia senza acqua e cibo diventano carne per gli animali selvatici ugualmente affamati. Sono le immagini della “più grande carestia planetaria” come la definisce Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati. Nel Corno d’Africa sono 11 milioni le persone al limite della sussistenza, in tre mesi sono morti 29 mila bambini e per le Nazioni unite il rischio è che questa carestia si protragga fino al prossimo dicembre.

Nel campo profughi di Dadaab, ai confini con il Kenya, ci sono 400 mila persone di cui oltre 100 mila provengono dalla Somalia. Di questi 30 mila si trovano ai margini dell’area in attesa di essere registrati. Costruito 20 anni fa Daadab avrebbe dovuto ospitare al massimo 90 mila persone, ma oggi è il più grande campo al mondo, qui ogni giorno gli arrivi sfiorano quota 2 mila e l’80 per cento è rappresentato da donne e bambini. L’esodo biblico dalle zone dove l’Onu ha dichiarato l’emergenza fame è causato dalla guerra tra le truppe del governo e i ribelli islamici.

Conta poco se proprio ieri le agenzie hanno battuto la notizia che Mogadiscio è stata “liberata” dai militanti islamici di al-Shabab. Rimangono parole senza senso anche quelle del presidente somalo Sharif Cheikh Ahmed che ha riferito: “Anche il resto del Paese verrà ugualmente liberato presto”.
Frasi che non hanno alcun significato per le carovane della disperazione, che tentanto di sopravvivere al limite dell’umanità.

Gli uomini hanno come unica alternativa quella di arruolarsi nelle milizie shabab (“ragazzi” in lingua somala) gli stessi dai quali debbono fuggire le loro donne e figli. “Non è facile cercare di raccontare tutto questo – confessa Boldrini -. Non è semplice chiedere di aiutare chi sta tanto lontano da noi, soprattutto in questo periodo di crisi ma lo dobbiamo fare. Perché altrimenti avremo sulla coscienza tutti coloro che non riescono a vivere”.

Per fornire protezione e soddisfare le prime necessità dell’intero Corno d’Africa – almeno fino alla fine dell’anno – le Nazioni Unite hanno chiesto oltre 144 milioni di dollari ma ne hanno ricevuti 65 milioni, pari solo al 45% del necessario. Portare aiuti in Somalia, poi, è un’impresa. Nei giorni scorsi un commando dell’esercito ha addirittura attaccato una colonna di camion del Programma alimentare mondiale. Non esistono buoni o cattivi tra chi ruba beni di prima necessità, perché tutti sono ugualmente disperati mentre i militari sparano sulla folla. Uomini e donne, le cui vite valgono meno di un pugno di grano, il cui prezzo ormai è centuplicato e diventato inaccessibile.

“La siccità è un flagello naturale ma le responsabilità di tutto questo, da oltre venti anni, sono da ricercare altrove – attacca Boldrini – e fino a quando il grano verrà utilizzato come energia combustibile non ci sarà alcuna possibilità per quelle persone. Sono loro a pagare il prezzo più alto delle speculazioni finanziarie globali. Ed è su questo che bisogna intervenire a tutto campo. Solo così riusciremo a capire anche quelli che tentano di approdare sulle coste di Lampedusa”.
Laura Boldrini parla anche dei tagli alla cooperazione e lancia un appello: “Di questi tempi non è facile raccontare ciò che accade senza rischiare di apparire quelli che fanno sensazionalismo a tutti i costi. Peggio è riuscire ad avere spazi sui giornali e nei programmi televisivi perché le priorità sono altre. Così quelle persone rischiano di essere invisibili. Mai come in questo momento l’aiuto di ognuno di noi può servire”.

Secondo le stime, ad oggi, 43 milioni di persone non possono vivere a casa loro e la maggior parte si trova nel sud del mondo, nei Pesi confinanti a quelli da cui fuggono nella speranza di potervi tornare.
Anche per questo secondo la portavoce Unhcr Boldrini, sarebbe fondamentale riuscire ad impedire gli esodi di massa, magari costruendo campi profughi dove avvengono i fatti, evitando le migrazioni dei popoli, che accendono epidemie che poi diventano morte.

“Molte famiglie arrivano al campo dimezzate. I primi a morire sono i vecchi poi i bambini. Per ora siamo riusciti a trasferire tre mila rifugiati da Dadaab i Ifo Extension2 spiega raccontando la sopravvivenza in quella parte del mondo.
I rifugiati si sono insediati spontaneamente ai margini del campo Ifo dove funzionano servizi igienici e serbatoi da 10 mila litri di acqua di cui beneficiano 734 famiglie (oltre 3 mila persone).
Per la fine di novembre il progetto dell’Unhcr prevede alloggi in tende per almeno 90 mila rifugiati.
In Etiopia, al campo di Dollo Ado, sono arrivati altri 75 mila somali in fuga dal conflitto, dalla siccità e dalla carestia nel proprio Paese. Un flusso continuo silenzioso e invisibile.

* Pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”

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