Tagli alla Difesa e nuovi investimenti militari: a farne le spese sono i lavoratori
La missione italiana in Iraq sta producendo effetti nefasti che per adesso i media nazionali stanno ignorando o tacendo. A Taranto ad esempio 250 lavoratori rischiano di perdere il lavoro. Duecentodieci sono addetti alle pulizie e al facchinaggio della nuova base navale (tutti civili) e quaranta sono docenti civili delle scuole CEMM della Marina Militare.
Le recenti trattative sembrano recuperare alcuni di questi lavoratori civili.
Ma per la maggior parte la situazione rimane però disperata.
I tagli occupazionali, così evidenti su Taranto e sulla sua stampa locale, sono però “invisibili” sulla stampa nazionale. E c’è da immaginare che anche nelle altre città sedi di basi militari vi siano vertenze in corso per tamponare le falle.
Tutto questo è effetto di una situazione che vede entrare in conflitto tre fattori: le spese di investimento in nuovi sistemi d'arma, le missioni militari all’estero e i tagli al bilancio della difesa. Quest’ultimo è sceso allo 0,8% del PIL, anche se con artifici vari alcune spese militari vengono collocate su altri ministeri.
Ciò nonostante è indubbio che il governo Berlusconi ha segnato un record per il ribasso delle spese militari. Frutto di una politica che tende a conciliare l’inconciliabile: l’alleggerimento fiscale e l’impegni militare in Iraq.
Di sicuro sappiamo ora che se abbandoneremo progressivamente l’Iraq non sarà per ragioni di miglioramento della situazione irachena ma perché il sistema occupazionale della Difesa scricchiola. E i costi di missione di cinquanta soldati in Iraq mettono oggettivamente a rischio oltre duecento lavoratori civili della Difesa a Taranto.
Purtroppo governo e opposizione di centrosinistra hanno benedetto – assieme ai sindacati confederali e al vescovo di Genova - la nuova costosissima portaerei che affiancherà la Garibaldi.
Ora si stanno pagando i prezzi di scelte inutili, controproducenti e rovinose.
Non bisognava essere economisti e neppure ragionieri per capire che si andava verso il precipizio finanziario nel settore Difesa.
E non sembra ora una buona via d’uscita quella prospettata da Fassino: riportare le spese militari all’1,5% del PIL.
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