«Tutela dei lavoratori, giudici in prima linea dagli anni ’70»
Adeguati a rispettare l’indicazione forte che viene dalla Costituzione (articolo 32) in materia di tutela della salute e del dibattito europeo che sposta il diritto alla salute al livello di diritto al benessere. Quale il percorso della giurisprudenza a Taranto? Quali i problemi, le soluzioni, l’evoluzione futura? Ha inteso investigare proprio tali questioni il convegno «Salute e lavoro, il caso Taranto», tenutosi ieri presso l’aula Miro del consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto, in Tribunale, su iniziativa di Magistratura Democratica.
E’ il giudice Piero Curzio a tessere le coordinate dei vari interventi. Emerge lo spaccato di una giurisprudenza in prima linea, che ha fatto scuola già dagli anni '70, che però ancora oggi si dibatte tra una serie di limiti normativi. Una giurisprudenza che è riuscita a trovare, tra le pieghe dei codici civile e penale, ogni possibilità di tutela dei lavoratori. Taranto - come ricordano recenti dati Inail - con una forte incidenza di malattie professionali; Taranto - come ricorda in apertura del convegno il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno - che si accorge del mesotelioma pleurico per le morti dei lavoratori dei Cantieri navali e dei militari della Marina ed ora anche delle loro mogli; Taranto che già negli anni '75 - viene anche a ricordare Franco Ippolito, ora capo di Gabinetto del ministero della Solidarietà Sociale, all’epoca uno dei magistrati che cominciarono ad interessarsi del nesso salute-infortunistica - segnò la svolta che fece approdare all’istituzione delle sezioni penali del lavoro e divenne centro di proposte: questo il background.
In questa città, in questo momento, in cui il dissesto del Comune diventa emblema di un dissesto più profondo, ed in questo Tribunale, «è necessario che la magistratura continui con impegno e serenità a fare il lavoro nelle aule, libera da ogni condizionamento», dice il presidente della sottosezione Anm, Maurizio Carbone. In questo contesto - aggiunge Enrico Bruschi, componente della giunta distrettuale di Md - «questo convegno, che giunge forse con un pò di ritardo, segna una rinnovata attenzione della magistratura per il diritto alla salute dei lavoratori».
I punti forti. Il giudice Curzio non dimentica - a livello legislativo - il recente Testo unico sulla sicurezza sul lavoro del 3 agosto scorso. Poi cita - a livello tarantino - il protocollo Ilva, le inchieste della magistratura e le conseguenti decisioni, ad esempio sul mobbing, confermate in Appello e Cassazione.
Palazzina Laf, trasformatori ad apirolio, cokerie, esposizione all’amianto, Taranto che fa da battistrada per una serie di sentenze storiche non è una Taranto che inorgoglisce. «La dice lunga delle condizioni di vivibilità della città», rammenta al convegno «Salute e lavoro, il caso Taranto», il procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica, Franco Sebastio. Il quale, dopo la sentenza del luglio scorso con cui la Cassazione ha detto che il mobbing non è reato, riprende il quesito di chi chiede se tutta la storia della palazzina Laf, con sentenze scritte dallo stesso Sebastio, sia a questo punto venuta meno.
«Assolutamente no - dice il procuratore -, quello che dice la Cassazione è in linea con quanto abbiamo sostenuto noi nel 2001. Il mobbing non ha sede nel nostro ordinamento giuridico. Noi abbiamo contestato reati i reati di ingiuria, molestie, minacce, sino alla violenza privata, messi in atto nel tentativo di realizzare un comportamento mobbizzante». Si sofferma, invece, sugli strumenti sanzionatori offerti dal Codice penale, il giudice del Tribunale penale, Martino Rosati, ed in particolare sull'articolo 437, «una norma importante, una risposta sanzionatoria fortissima, cenerentola nei Tribunali italiani». A Taranto, però, è stata applicata nelle inchieste sullo scoppio dei trasformatori ad apirolio e nella vicenda cokerie. «E' importante in quanto stabilisce che non è necessario che l’evento lesivo dell’incolumità si sia verificato perché sia riconosciuto il reato».
Il problema è capire quanto si presti ad essere applicata nelle situazioni di rischio diffuso in grado di generare neoplasie. Amianto. L’avvocato Claudio Schiavone, esperto in diritto del lavoro, evidenzia, a sua volta, la difformità tra il rigore con cui, in mancanza di prove del nesso causale tra l’esposizione all’amianto e malattia, il giudice penale emette sentenze di assoluzione e l’applicazione in massa di benefici previdenziali. Il problema sarebbe nel fatto che, ai fini previdenziali, l’accertamento è «normato» da semplici atti di indirizzo ministeriali.
Anche l’avv. Massimiliano Del Vecchio evidenzia la discrasia tra le assoluzioni del processo penale e le condanne del pretore del lavoro dovuta alla maggiore difficoltà nel processo penale ad individuare i tempi di esposizione all’amianto e, quindi, le effettive responsabilità. Gli atti di indirizzo citati sono, invece, per il presidente della Provincia, Gianni Florido, una «sanatoria generale sulla difficoltà a dire la verità, che ci sono cioè attività che non possono essere portate avanti per 40 anni». Quel che allarma ancora più Florido è che, nonostante la norma sui prepensionamenti abbia introdotto una profilassi sulle malattie professionali, «mai nessun ufficio pubblico ha chiamato un lavoratore per uno screening».
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