Il Tar dà ragione all'Ilva: niente bonifica obbligatoria
 
 LECCE — Il Tar di Lecce ha accolto il ricorso presentato dall'Ilva e dalla Sanac, azienda del Gruppo «Ilva Laminati Piani » che produce refrattari per l'edilizia nella stessa città industriale. Le due società hanno ottenuto l'annullamento delle prescrizioni decise dalla Conferenza di Servizi, tenuta presso il Ministero dell'Ambiente a Roma il 15 gennaio scorso, che stabilivano le misure da adottare al fine della bonifica dei dieci chilometri quadrati dell'area siderurgica sullo Jonio, per decine di milioni di euro di investimento. Nel loro parere, i giudici amministrativi bacchettano enti ed organismi pubblici che si occupano della tutela ambientale.
LECCE — Il Tar di Lecce ha accolto il ricorso presentato dall'Ilva e dalla Sanac, azienda del Gruppo «Ilva Laminati Piani » che produce refrattari per l'edilizia nella stessa città industriale. Le due società hanno ottenuto l'annullamento delle prescrizioni decise dalla Conferenza di Servizi, tenuta presso il Ministero dell'Ambiente a Roma il 15 gennaio scorso, che stabilivano le misure da adottare al fine della bonifica dei dieci chilometri quadrati dell'area siderurgica sullo Jonio, per decine di milioni di euro di investimento. Nel loro parere, i giudici amministrativi bacchettano enti ed organismi pubblici che si occupano della tutela ambientale. 
«Gli interventi concepiti dal Ministero dell'Ambiente (e contestati dall'Ilva, ndr) si legge nel dispositivo - sembrano soltanto apparentemente essere posti a tutela della salute e dell'ambiente, mentre in concreto gli stessi, attraverso continui e repentini mutamenti di metodologie e parametri di riferimento, contribuiscono a rallentare se non a disattivare il raggiungimento degli obiettivi di bonifica di un sito che, pacificamente risulta fortemente inquinato».
La stroncatura porta la firma del presidente del Tar, Aldo Ravalli. Tra gli adempimenti impugnati dalle due indu-strie, quelli di maggior rilievo riguardavano le procedure per la messa in sicurezza della falda profonda e il numero di «punti di ricerca» delle sostanze inquinanti nel terreno con particolare attenzione per la diossina.
In sede di Conferenza di servizi, l'organismo composto dai rappresentanti dei Ministeri, Regione Puglia, Arpa, Asl, Provincia e Comune di Taranto, aveva stabilito che tutte le fonti di inquinamento del sottosuolo dovevano essere protette con speciali barriere di separazione estese per tutta la superficie del siderurgico; i «punti di ricerca» (dove prelevare i campioni da analizzare), sarebbero dovuti essere almeno cinquemila. Tutte misure spropositate e sbagliate nel metodo secondo l'Ilva che per questo si era rivolta al Tar. Che l'altro ieri sera, con l'ordinanza 478 emessa dalla prima sezione, ha accolto in pieno «il ricorso e per l'effetto sospende gli atti in oggetto». Le imprese tarantine sono state assistite dagli avvocati amministrativisti, Roberto Gualtiero Marra e Francesco Perli.
«Ora, alla luce di questo illuminante parere dei giudici del Tar - fa notare l'avvocato Marra - si ridiscuterà tutto in una nuova conferenza di servizi che questa volta dovrà rispettare i nostri rilievi accolti anche dai giudici». Telegrafica ed amara la reazione a caldo del presidente dell'associazione ambientalista telematica» tarantina, Peacelink. «Qualunque sia il risultato della "schermaglia legale" - afferma Alessandro Marescotti - rimane il fatto che l'Ilva inquina e che a sue spese deve avvenire la bonifica del territorio? Andando così le cose - conclude - chissà quando i lavoratori Ilva sapranno quanta diossina hanno sotto le scarpe».
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