Regione e sindacato: strada sbagliata
BARI — Tutti freddi, freddissimi, sull'opportunità di sottoporre a referendum consultivo l'esistenza del Siderurgico. Vale per il centrodestra, per il centrosinistra e per il sindacato. L'unica voce che non si ode è quella dell'azienda che preferisce non commentare la sentenza del Tar.
L'assessore regionale all'Ecologia, Michele Losappio, non demonizza lo strumento referendario. Ma rimarca l'opzione scelta dalla Regione per «rendere lo stabilimento compatibile con la salute e il territorio»: è l'accordo di programma, «l'unica strada che consente di allargare lo sguardo su altri impianti». Come dire, che l'Ilva non è responsabile da sola dei livelli di inquinamento della città. «Il referendum - dice l'assessore - difficilmente rientra nelle pratiche istituzionali. Del resto: se per ipotesi i tarantini si esprimessero a maggioranza a favore del Siderurgico, comunque resterebbe la necessità di renderlo compatibile con l'ambiente.
A partire dalla vicenda delle diossine». E, viceversa, se la consultazione decretasse «la dismissione dell'Ilva, a quel punto le amministrazioni e i ministeri interessati dovrebbero operare per evitare uno shock occupazionale» che quel territorio non si può consentire. Naturalmente, ragiona Losappio, «è auspicabile che Ilva valuti anche questo segnale ». E cioè che l'azienda rifletta sulla necessità di intervenire «in tempi rapidi » per i processi di ambientalizzazione.
Dall'opposizione, il consigliere regionale Nicola Tagliente (Fi), esprime considerazioni non molto lontane, con un linguaggio un po' più spiccio. «Chiudere lo stabilimento e mantenere i livelli occupazionali? A me - dice sembra una boutade. E quali sarebbero le alternative per le migliaia di dipendenti diretti e dell'indotto? L'Eni oppure la Cementir, che inquinano ugualmente? O forse il turismo, che ha dimensioni microscopiche? Il porto per ora rimane solo una speranza. E allora la verità è che non abbiamo alternative all'Ilva: un mostro da tenere sotto monitoraggio». A controllarlo ci provano «i due accordi di programma stipulati prima da Fitto e poi da Vendola».
Ma gli enti locali, ingiunge Tagliente, «non devono soggiacere nel rapporto con l'azienda, come è avvenuto e come sta avvenendo». Quanto al quesito referendario, l'esponente forzista fa intendere di essere per il no («a titolo personale») almeno per la parte che riguarda la soppressione completa dello stabilimento. Per l'eliminazione della sola area a caldo dice che «teoricamente è una questione che potrebbe essere affrontata. A Genova è stata eliminata, ma perché l'insediamento tarantino sopperiva alle esigenze produttive».
Non la pensa alla stessa maniera Gianni Forte (per sette anni segreterio della Cgil tarantina, candidato alla leadership regionale). «Il Siderurgico spiega - è nato per essere a ciclo integrale: tagliare l'area a caldo, equivarrebbe a decretare la fine dello stabilimento». Le domande referendarie, per Forte, «giungono a conclusioni drastiche e non aiutano a perseguire gli obiettivi fissati nel 2001 per rendere compatibile la fabbrica con l'ambiente».
La chiusura, invece, «sarebbe un salto nel buio, visto che Taranto dipende dall'Ilva». Del resto, «trovare un'alternativa occupazionale ai 13.500 dipendenti diretti, ai 4.500 dell'appalto e alle migliaia dell'indotto non è facile». L'alternativa? «Continuare ad operare per migliorare la situazione ambientale ». Forte conclude con una domanda non peregrina: «E se nel referendum prevalesse il sì allo stabilimento? Non sarebbe un rafforzamento dell'Ilva e un pretesto in più per rallentare sulla strada del risanamento»?
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