Referendum per l’Ilva a Taranto
I cittadini della città pugliese chiedono che la ‘fabbrica della morte’ venga chiusa. Il referendum è il mezzo per farsi sentire. Disperati per le continue morti sul lavoro ed estenuati dalle emissioni di polveri sottili sull’intero territorio, i cittadini di Taranto, con un referendum, chiedono la chiusura dell’Ilva, lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, ma anche quello tra i più pericolosi per la sicurezza dei suoi lavoratori e per la salute dei residenti che vivono nella zona.
L’idea del referendum è del comitato ‘Taranto Futura’, che già dichiara “vittoria”. Anche se, ammette, “sicuramente adesso metteranno in mezzo il solito spauracchio della disoccupazione”.
La proposta del comitato, di chiedere la chiusura dello stabilimento dell’Ilva, è stata approvata nei giorni scorsi dal tribunale con un provvedimento: “Il Tar di Lecce accoglie il ricorso – si legge nel documento - e per l’effetto dichiara l’obbligo del Comune di Taranto di porre in essere tutti gli adempimenti preliminari e propedeutici allo svolgimento del referendum consultivo di cui all’articolo 52 del proprio Statuto, ed in particolare di approvare il Regolamento ivi previsto”.
La consultazione in questione, dunque, chiama tutti i cittadini di Taranto a esprimere il proprio parere sulla chiusura o meno dello stabilimento siderurgico.
Come dichiara ‘Taranto Futura”, in gioco c’è la tutela della salute e del lavoro. “Per ora – aggiunge il comitato – “siamo soddisfattissimi del risultato”.
L’effetto immediato della decisione del presidente del Tar Aldo Ravalli, è proprio quella di obbligare il Comune di Taranto a predisporre, entro un limite massimo di 90 giorni, il regolamento, che attualmente non esiste, con il quale procedere alla consultazione referendaria consultiva.
I cittadini avranno due opzioni: esprimersi sulla chiusura totale dello stabilimento con la salvaguardia dei livelli occupazionali da impiegare in settori alternativi; oppure richiedere una chiusura parziale, quindi della sola area di lavorazione a caldo, con lo smantellamento dei parchi minerali che riversano polveri soprattutto sul quartiere Tamburi di Taranto.
Per il presidente Ravalli che ha firmato la sentenza, “quella del referendum è una strada obbligata per il Comune”.
E comunque, se anche gli uffici comunali non dovessero rispettare i tempi, il risultato non cambierebbe. Secondo il magistrato, infatti, “i componenti del comitato ritornerebbero da noi che nomineremmo un commissario ‘ad acta’, con il compito di predisporre lo strumento normativo e di indire il referendum”.
Per il momento, con la stessa sentenza, i giudici amministrativi hanno condannato il Comune di Taranto a sostenere le spese minime del ‘giudizio quantificate’, pari a 750 euro.
La possibilità del referendum è considerata da molti come la realizzazione di un sogno. Un sogno che potrebbe infrangersi contro “il solito spauracchio della disoccupazione – fanno sapere dal comitato proponente - e contro la chimera dei vantaggi del siderurgico. Ma noi sappiamo già cosa rispondere: solo per smantellare l’acciaieria occorrerebbero almeno venti anni di lavoro”.
Quel che va sottolineato è la violazione dell’articolo 21 della Costituzione da parte del Comune di Taranto, che fino a qualche giorno fa ha impedito la realizzazione concreta del principio della libertà di pensiero in quanto ha impedito ai cittadini di esprimere il proprio sull’inquinamento e sull’ipotesi di chiusura dell’Ilva.
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