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Questa domanda, posta da una mamma della Campania, è il titolo del libro scritto dalla dottoressa Liliana Cori, antropologa e ricercatrice del Cnr, presentato mercoledì scorso nella libreria Gilgamesh

La diossina e altri veleni nella catena alimentare

A Taranto ci sono tanti inquinanti che interagiscono tra loro e possono influire sul dna, per alcune, come il piombo, non esistono neanche dei limiti sicuri.Bisogna far rispettare il principio di precauzione e chiedere che tali veleni non vengono emessi
28 gennaio 2012
Alessandro Congedo

“Se fossi una pecora verrei abbattuta?”. Questa domanda, posta da una mamma della Campania, terra avvelenata da industrie e discariche, è il  titolo del  libro scritto dalla dottoressa Liliana Cori, antropologa e ricercatrice del Cnr, presentato mercoledì scorso nella libreria Gilgamesh. L’iniziativa, patrocinata dal Progetto ReVES, ha visto la partecipazione di Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, di Carmen Galluzzo Motolese, presidente del Club Unesco Taranto, e della dott.ssa Annamaria Moschetti, referente Puglia e Basilicata dell’Associazione Culturale Pediatri. Quanto mai opportuna anche la presenza di Vincenzo Fornaro, allevatore che ha visto le sue pecore abbattute a causa della contaminazione di diossina. La sua ferita è ancora aperta e in attesa di giustizia. Inevitabile, per lui, parlare dell’incidente probatorio collegato all’inchiesta della Procura tarantina che ha come unici indagati i vertici dell’Ilva. Nella battaglia legale in corso, gli allevatori stanno sostenendo nuovi costi (che si aggiungono ai danni economici già subiti) per pagare le perizie che mirano all’accertamento delle responsabilità. Da qui l’appello di Marescotti a fornire un aiuto agli allevatori costituitisi come parte offesa: «Il loro problema rappresenta quello dell’intera collettività. Non bisogna lasciarli soli».  Pecore-Ilva

Nel libro della Cori, un piccolo manuale sugli inquinanti dal taglio didattico e discorsivo, la diossina di Taranto (senza dimenticare il pcb nelle cozze) occupa uno spazio importante, insieme ad altre storie di straordinario inquinamento: da Gela (in Sicilia) alla Valle del Sacco nel Lazio, passando per Brescia e la Campania. Territori in cui sostanze inquinanti di vario tipo (Ddt, policlorobifenili, piombo, arsenico, mercurio) si sono insinuate nel corpo dei cittadini. Di grande utilità risultano le attività di biomonitoraggio umano (sangue, latte materno, etc) che permettono di rispondere a domande importanti: cosa ci succede quando l’ambiente intorno a noi è inquinato? Cosa arriva dentro il corpo e dove si deposita?  «Grazie ai dati che si ottengono – ha sottolineato la Cori – è possibile per chi vive in quel territorio stabilire delle priorità e prendere dei provvedimenti. E’ ovvio che per affrontare tali problematiche ogni soggetto deve prendersi le sue responsabilità, sia chi emette queste sostanze che chi si occupa dei controlli».

Importante è anche la comunicazione, come ha evidenziato la ricercatrice del Cnr: «Tra la gente la percezione del pericolo, e pertanto l’ansia, aumenta se il rischio è imposto da altri, senza la possibilità di fare qualcosa per limitarlo; se è sconosciuto e ci sono poche informazioni; se non ha nessun vantaggio diretto; se non si ha fiducia in chi controlla e gestisce e non si viene informati». «In Campania e a Gela – ha continuato la Cori – oltre l’80% delle persone è sicura che si ammalerà di tumore. Tale percezione è devastante per la loro serenità. A Gela c’è anche la preoccupazione delle mamme che temono di avere figli malformati. Per combattere l’ansia e la sfiducia è necessaria un’informazione attiva anche da parte di chi controlla». Com’è noto, a Taranto, dei rischi connessi alle diossine si è cominciato a parlare solo grazie alle denunce di alcune associazioni ambientaliste come Peacelink che nel marzo del 2008 aveva fatto analizzare un pezzo di formaggio risultato contaminato. Poi sono  stati rafforzati i controlli sugli allevamenti con tutto ciò che  ne è seguito. Marescotti, durante la presentazione del libro, ha chiesto di tenere sotto controllo anche i macelli e la carne prodotta sul territorio ionico.

Dalla dottoressa Moschetti è arrivato l’appello a informare la cittadinanza con la massima lealtà: «Anche l’eccedere nei messaggi tranquillizzanti può essere un errore. Ciò che serve è una comunicazione onesta. Le amministrazioni pubbliche, le associazioni e i cittadini devono sedersi intorno ad un tavolo per la salvezza comune e dire come stanno realmente le cose». Per la pediatra non ci sono dubbi: «Non basta ridurre la diossina, ammesso  che questa riduzione sia davvero avvenuta, per dire che tutto va bene e che si può cominciare la bonifica. A Taranto ci sono tanti inquinanti che interagiscono tra loro e possono influire sul dna. Per alcune, come il piombo, non esistono neanche dei limiti sicuri. Nel corpo umano, in particolar modo nei bambini, non devono entrarci affatto. Bisogna far rispettare il principio di precauzione e chiedere che tali veleni non vengono emessi».

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