Taranto Sociale

Sulla mia carta d'identità c'è scritto "nata a Taranto"

Sono una giornalista

Ho seguito la visita di Renzi a Taranto, dal MarTa alla Prefettura, mentre la piazza bruciava dalle contestazioni. È stata una fatica, perché tra quelle mura, mentre ascoltavo il suo discorso senza pregiudizi, sentivo i cori, fischi e urla provenire dalla strada, e il mio cuore si torceva
30 luglio 2016
Rossella Ricchiuti

Sono una giornalista, racconto quello che accade. Taranto, visita di Renzi del 29 luglio 2016. Il poliziotto abbraccia la manifestante: “Ho avuto anche io il cancro". La donna ha un figlio di 29 anni in radioterapia.

Lo chiamano dovere di cronaca, solo che a volte è difficile. Come ieri. Ho seguito la visita di Renzi a Taranto, dal MarTa (il museo archeologico) alla Prefettura, mentre la piazza bruciava dalle contestazioni. È stata una fatica, perché tra quelle mura, mentre ascoltavo il suo discorso senza pregiudizi, sentivo i cori, fischi e urla provenire dalla strada, e il mio cuore si torceva. Perché lì non c'erano pericolosi criminali o facinorosi. C'erano persone, c'erano storie che conosco una per una. C'era il pastore a cui hanno fatto ammazzare 600 pecore perché piene di diossina. C'erano operai dell'Ilva che hanno avuto il coraggio di scegliere da che parte stare. C’era un ragazzo che vive nel quartiere Tamburi che non si è mai dato per vinto. C'erano i medici e gli ambientalisti che da anni chiedono giustizia. C’erano i cittadini liberi. Li ho visti, li ho riconosciuti. Erano disperati. Poi c’erano le mamme, sorelle, parenti dei malati di cancro, in fila, a testa alta, di fronte ai poliziotti. E anche loro, quando li ho guardati in faccia dopo aver tolto il casco, erano stravolti, con l'animo squarciato.  Vento e polveri sul quartiere Tamburi di Taranto
Così in redazione ci ho messo un po' a partire. Poi ho pensato al mio mestiere, e a quel santo dovere di cronaca. Nonostante tutto, bisogna scrivere. Ho messo l’ultimo punto e ho lasciato la tastiera, mi sono sentita svuotata. Una volta a casa, però, ho pianto. Per tutti loro e per questa città. Per chi ieri ha seguito quello che accadeva da un letto d’ospedale. Per la triade salute, ambiente e lavoro che dovrebbe essere ovvia, ma che qui è così complicata. Per la mia carta d’identità “nata a Taranto”. E per la vita, per il sacrosanto e inalienabile diritto all’esistenza. Che non può essere offuscata dai fumi di nessuna fottuta fabbrica.

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