Per mesi ci è stata ripetuta la promessa che a settembre tutti gli aquilani sarebbero tornati a L’Aquila sotto un tetto. Purtroppo la verità sta venendo fuori.
The Guardian è riuscito ad entrare in quello che, fino a venerdì prossimo, sarà il luogo più delicato ed intensamente controllato del mondo: il campo da basket di Barack Obama.
I potenti della terra arriveranno in un aeroclub trasformato frettolosamente in aeroporto, situato in una striminzita pianura da montagne ed i primi aerei che atterreranno giovedì dovranno fare manovre mozzafiato per allinearsi con la pista.
La Mozione Voto (primo firmatario Michele Nardelli) contro l’acquisto di 131 cacciabombardieri JSF - F35 da parte dell’Italia è stata approvata a larga maggioranza dal Consiglio Regionale del Trentino Alto Adige - Sud Tirolo
20 mila scosse in due mesi hanno reso gli aquilani esperti in terremoti, trasformato l'immaginario e distrutto un'identità fondata su casa e lavoro. Ma per qualcuno la terra non ha tremato
Un senso di appartenenza prorompente, smisurato, è ciò a cui ogni aquilano, oggi, si aggrappa. Un senso di appartenenza a una terra che può sbranarti da un momento all'altro. Ma per ricominciare bisogna almeno sentirsi parte di qualcosa.
L’Aquila rischia di diventare una Disneyland dell’orrore. Le centinaia di milioni, d’incerta provenienza e nell’arco di un quarto di secolo, servono a ben poco. Ci vogliono decine e decine di miliardi, per rifare il centro storico del capoluogo e rimettere piú o meno in sesto tutto il resto. L’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale gestita dall'Unesco potrebbe sensibilizzare la comunità internazionale al fine di reperire risorse e tecnologie adeguate per far fronte con efficacia ai problemi specifici di conservazione e restauro.
Squadroni di tecnici e operai operosissimi al lavoro in vista del G8. Una città agonizzante. Non si può accedere né parlare di ciò che sta avvenendo.
E intanto l'attenzione dei media cala e la voce dei terremotati non trova spazio nell'informazione nazionale.
Il grido di dolore dopo la ferita del 6 aprile sempre più diventa di rabbia e di indignazione davanti alle speculazioni della ricostruzione. E la mafia, con la compagnia dell'immancabile Massoneria, è più presente che mai.
25 maggio 2009 - Alessio Di Florio
La stampa nazionale si è guardata bene dal pubblicarla
Oggi è il 20 aprile 2009. Per molti Abruzzesi lo sguardo è congelato all'alba del 6 aprile 2009. Io, fisso il mio sull'ennesimo sorriso paterno e rassicurante del nostro Presidente del Consiglio, che campeggia sul paginone centrale de Il Centro, quotidiano locale e che ancora una volta (pure quando un minimo di decenza richiederebbe moderazione), fa sfoggio di capacità ed efficienza facendo grandi promesse nella speranza che si dimentichi il prima possibile (si sa gli italiani hanno memoria molto corta), che fino al 5 aprile nel meraviglioso piano casa che si intendeva varare a imperitura soluzione della crisi economica, di norme antisismiche nemmeno l'ombra.
Serve una tv, come quella di cui il premier ha beneficiato nei giorni del dopo-terremoto, che mostri al Paese in diretta continua la sollecitudine e la munificenza del sovrano?
Una tragedia meridionale. Una tragedia anche pugliese. Una tragedia che rivela l’Italia, nel male dei suoi dissesti e delle sue sciatterie ambientali, ma anche nel bene della straordinaria solidarietà che la attraversa tutta, per una volta saltando anche gli steccati della cosiddetta Padania.
Si è parlato di 18 mila lavoratori, un numero inventato che stride con le fonti ufficiali. I dati veri sono ben diversi. Acciaierie d’Italia gestisce lo stabilimento e ha dichiarato 8.178 occupati a Taranto nel 2022. Ma se non si conoscono gli occupati come si possono stimare gli esuberi?
Nel primo turno del 17 agosto scorso, i due candidati di sinistra raccolgono briciole a causa di un vero e proprio suicidio politico del Mas, frammentato a causa di una sempre più inspiegabile guerra senza quartiere tra evismo e arcismo
Lubna mi scrive per la prima volta il 21 settembre 2024. Le sue parole fanno male: «Soffriamo da tanti anni, soprattutto nella Striscia di Gaza, ma quello che accade ora è più di quanto qualsiasi essere umano possa sopportare».
Intervista allo storico dirigente mapuche, in esilio in Belgio dal 1976 al 2007 dopo aver subìto le torture della dittatura pinochettista e, successivamente, in prima fila per proteggere il lago Neltume (nel sud del Cile) dalla voracità di Enel
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