Oggi tocca a noi essere lo Stato che non c'è e salvare l'onore di una comunità
Ho pensato molto, prima di prendere sonno.
Le immagini erano toccanti. Le parole dei bambini mi giravano per la testa. "Ho il sangue birichino". "Adesso mi faranno una punturina e mi addormenterò".
Anche io mi sono addormentato con un senso di straniamento, come se il mondo girasse al contrario: mi chiedevano di donare perché lo Stato non aveva i soldi per salvare i suoi bambini. Non erano i bambini dell'Africa. Erano quelli di Taranto.
E quando mi sono svegliato ho pensato a mio padre, che non c'è più. Lui pertecipò alla Resistenza perché lo Stato non c'era più. Il re era scappato. Lui e i suoi amici erano accerchiati. Papà mi segue ancora nei pensieri, come un compagno spirituale di viaggio. A volte penso che cosa avrebbe detto. Ho provato molto dolore a immaginare la natura di questo Stato che non c'è, che non interviene a Taranto a sufficienza per tutelare i suoi bambini, i suoi cittadini. Non interviene lì dove dovrebbe, perché grandi sono le sue responsabilità. E la mente è tornata a quel che accadde l'8 settembre del 1943 quando mio padre si svegliò e si accorse che lo Stato non c'era più. I comandandi della sua caserma erano fuggiti. I tedeschi avevano occupato la sua caserma, come anche tanta parte dell'Italia. Fuggì, riuscì a farlo. Ma si unì presto ai suoi amici che scoprì essere diventati partigiani. E l'onore fu salvato da chi allora si sostituì allo Stato e fece resistenza, anzi la Resistenza.
Ho imparato tanto da quella scelta di resistenza, da quell'atto di ordinario coraggio e di perseverante responsabilità.
Oggi, in contesto completamente diverso, tocca a noi essere lo Stato che non c'è e salvare l'onore di una comunità. La nostra Resistenza non violenta comincia prima di tutto dalla nostra attenzione, dalla nostra diligenza, dalla presa di coscienza collettiva, dalle nostre azioni.
I bambini prima o poi ci chiederanno conto di quel che abbiamo fatto.
Saremo in grado di dare una risposta plausibile?
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