Tutti i dubbi sulla "decarbonizzazione" dell'ILVA
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Giovedì 21 agosto, ore 10 – Convento San Pasquale, ingresso da via Pitagora 32, Taranto incontro con
- il dottor Roberto Giua, chimico ambientale e già dirigente del Centro Regionale Aria di Arpa Puglia.
- la dottoressa Gladys Spiliopoulos, economista ambientale, sugli aspetti economici della decarbonizzazione.
- Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink.
Resoconto della conferenza stampa
“La decarbonizzazione dell’ILVA è uno specchietto per le allodole”
Taranto, 21 agosto 2025 – Si è svolta questa mattina presso il Convento di San Pasquale, a Taranto, la conferenza stampa organizzata da PeaceLink sul futuro dell’ex ILVA.
Al tavolo dei relatori sono intervenuti il dottor Roberto Giua, chimico ambientale ed ex dirigente del Centro Regionale Aria di Arpa Puglia, e la dottoressa Gladys Spiliopoulos, economista ambientale. A coordinare i lavori è stato Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink.
La tesi centrale: uno slogan che copre un fallimento
La tesi condivisa dai tre relatori è netta: la decarbonizzazione dell’ILVA è divenuta uno “specchietto per le allodole” – espressione usata da Roberto Giua – utile solo a guadagnare tempo e a mascherare il fallimento della gestione attuale costruendo un'aspettativa per il futuro priva di concretezza ma densa di suggestioni, come il "forno a freddo" annunciato dal ministro Urso.
La parola “decarbonizzazione” viene oggi impiegata come promessa salvifica – meno inquinamento, più modernità, garanzie occupazionali – ma, hanno denunciato i relatori, dietro gli annunci mancano dati concreti e verificabili. Infatti diversi documenti e dati sul piano di decarbonizzazione non sono pubblici. Infatti, i dossier sulla decarbonizzazione vengono trasmessi dal governo solo agli enti territoriali, escludendo i cittadini e violando i principi della Convenzione di Aarhus, che sancisce il diritto della popolazione ad accedere alle informazioni ambientali.
L’ambiguità sul termine “decarbonizzazione”
Roberto Giua ha contestato la stessa definizione di “piena decarbonizzazione” fornita dal ministro Urso, chiarendo che il termine non significa “abbandono del carbone” ma eliminazione del carbonio in tutte le sue forme. Anche il gas naturale, infatti, contiene carbonio e produce emissioni climalteranti.
Questa interpretazione riduttiva rischia, secondo i relatori, di trasformarsi in una “falsa decarbonizzazione”, limitata alla sostituzione del carbone con il gas, senza inoltre quantificare realmente l’impatto climatico.
Le criticità del DRI e il nodo del Carbon Budget
Tra le questioni sollevate, anche le criticità legate al DRI (Direct Reduced Iron), processo alternativo all’altoforno che presenta elevata polverosità e instabilità chimica, come osserva Roberto Giua.
È stata inoltre sottolineata l’assenza di un calcolo del Carbon Budget Residuo nazionale, parametro essenziale per stabilire quante emissioni di CO2 l’Italia possa ancora permettersi senza superare gli obiettivi climatici. Senza questo quadro di riferimento, le scelte sul futuro dell’acciaieria rischiano di essere prive di legittimità.
Costi climatici ed economici
L’intervento di Gladys Spiliopoulos ha portato l’attenzione anche sui costi economici e climatici delle emissioni dell’ex ILVA, calcolabili attraverso il metodo del Social Cost of Carbon, che quantifica i danni ambientali e sanitari generati da ogni tonnellata di CO2 emessa.
Lo stabilimento siderurgico di Taranto emetterà, autorizzato dalla nuova AIA, svariati milioni di tonnellate/anno di CO2. Considerando i valori attuali del mercato ETS (Emission Trading System, il mercato europeo delle quote di emissione di CO2), il costo - ha affermato Gladys Spiliopoulos - potrebbe arrivare a 7 miliardi di euro in 12 anni. Si tratta di costi economici oggettivi, oggi in gran parte esternalizzati e a carico della collettività.
Questi costi sono destinati ad aumentare. Dal 2026, con l’entrata in vigore delle nuove regole ETS previste dal pacchetto europeo Fit for 55, verranno gradualmente eliminate le quote gratuite per settori come la siderurgia. Ciò significa che chi inquinerà dovrà pagare di più. Il peso delle emissioni – finora in parte “nascosto” – emergerà con maggiore chiarezza nei bilanci pubblici e industriali.
Il paradosso è evidente: si continua a sostenere un impianto che continuerà a generare un elevatissimo costo ambientale e climatico.
Inoltre, né nell’Accordo di Programma né in nessun altro documento prodotto dal ministro Urso vi è alcuna analisi economica sul carbon budget residuo, sottolinea Gladys Spiliopoulos, né una stima dei costi futuri legati al sistema ETS.
“È davvero sconfortante il pressappochismo con cui si affrontano certi temi cruciali”, ha dichiarato l’economista ambientale.
Alessandro Marescotti: “Una finta transizione senza numeri né piani per i lavoratori”
Il presidente di PeaceLink, Alessandro Marescotti, ha evidenziato come in tutta questa vicenda manchi l’informazione al pubblico. Mancano - in particolare - i dati fondamentali sugli esuberi legati alla decarbonizzazione, così come un piano per ricollocare i lavoratori. Si assiste persino all'invezione di sana pianta dei dati degli occupati all'ILVA di Taranto: addirittura 18 mila. Una tattica spregiudicata per creare paura sulla chiusura dell'area a caldo dell'ILVA.
Secondo Alessandro Marescotti, ciò è sufficiente per considerare quello della decarbonizzazione un argomento finto a cui non si crede realmente, una tattica per prendere tempo, un modo di discutere di tante cose senza neppure quantificare le emissioni di CO2 presenti e future. Senza questo dato, ha insistito, non si può parlare di decarbonizzazione ma solo di "chiacchiere sulla decarbonizzazione".
Alessandro Marescotti è ritornato a sottolineare l’importanza del carbon budget residuo nazionale, il grande assente nel dibattito: senza questo parametro non è possibile parlare seriamente di decarbonizzazione.
Ha inoltre messo in luce la precarietà del futuro dell’ex ILVA: il 15 settembre si concluderà la gara per la cessione, ma, secondo Marescotti, nessun acquirente si presenterà senza garanzie economiche consistenti dallo Stato. Ciò significa che il rischio concreto è che lo Stato si accolli le perdite, trasformando la vendita in una trattativa per la cessione nella quale il vero potere contrattuale non ce l’ha chi fa la gara.
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