Rai, poca libertà per i registi

L’accusa di Alberto Sironi, regista di Montalbano, trova consenso tra i colleghi. «Si sono ristretti gli spazi di autonomia»
22 luglio 2006
Boris Sollazzo
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Viva la Rai, quanti geni lavorano solo per noi, Viva la Rai dimmi da quale parte stai». Così cantava un ironico Renato Zero nella sigla di Fantastico nel 1982. Il cantante lasciò la trasmissione per piccole censure a frasi troppo pungenti della sua canzone. Troppo suscettibile, verrebbe ora da dire, se si pensa a quello che è accaduto negli ultimi mesi. Dopo le intercettazioni non è però finita. Alberto Sironi, regista della serie su Montalbano e una delle punte di diamante della industria della fiction, ha rilasciato coraggiose dichiarazioni su uno dei maggiori malcostumi della Rai: l’imposizione dall’alto del cast. «E’ il solito vecchio problema - denuncia - del rapporto spesso malato, tra arte e potere. Un rapporto che in questi ultimi tempi ha subito un eccessivo sbilanciamento, annullando tutti, o quasi, gli spazi di autonomia degli artisti».
La denuncia riguarda tutto il sistema, ma parte da un caso specifico: l’intervento di RaiFiction nella scelta del cast del suo ultimo lavoro, L’ultima trincea, racconto sulla prima guerra mondiale. Presa di posizione a cui il direttore della struttura, Agostino Saccà, risponde con una lettera a Repubblica in cui sostiene «che sia RaiUno che Raifiction avevano espresso una valutazione di non congruità del cast proposto rispetto alla dimensione popolare del racconto. Nasceva da questa considerazione, da me condivisa, la controproposta di attori come Massimo Ghini, Beppe Fiorello e Christian De Sica, vale a dire tre icone della fiction di RaiUno, ben conosciute e apprezzate dal grande pubblico della rete». Secondo il direttore la trattativa si era conclusa sul nome di Pier Francesco Favino. Secondo Sironi, no. «Non voglio fare i nomi degli attori, non mi sembra giusto. Conosco il mio lavoro, so che la tv ha il potere di rendere un attore un’icona popolare e per questo deve valorizzare nuovi artisti. Francamente, poi, le loro proposte riguardavano attori che, adatti o meno, avevano già altri contratti nei nostri periodi di lavorazione. A questo va aggiunto che i nomi fatti da noi erano una quindicina, respinti tutti con durezza. Mi sembra chiara la volontà di impedire che l’opera venga realizzata».

Altro vecchio problema. L’imposizione delle storie da raccontare, la volontà di riscrivere la Storia con la tv e di oscurare tutto ciò che non sia revisionismo e divise di forze dell’ordine. «L’ultima trincea- spiega Il regista - è un film difficile. Intelligente, visionario, storie di uomini che cercano di evitare la guerra. Un film pacifista e non solo, originale. Non è certo un mistero che nella precedente maggioranza ci fosse un partito che voleva utilizzare il mezzo televisivo per riscrivere la storia a senso unico. Il problema è che ancora ora a decidere sono le persone messe lì dalla precedente classe dirigente. Gli stessi che hanno mandato via Biagi, Santoro e Luttazzi».

Vi ricordate la censura all’episodio di Montalbano dedicato a Genova (Il giro di boa): sparirono infatti i duri riferimenti ad An, che ci sono invece nel romanzo di Camilleri. «Arrivarono richieste ufficiose, certo. A noi sembrarono un’ingerenza eccessiva quelle battute poco prima delle elezioni. Ma con Camilleri pretendemmo che rimanesse una chiara presa di posizione contro quello che avvenne a Genova. Ma su Montalbano non finisce qua: a suo tempo la Rai non lo voleva neanche Zingaretti».

Tra i primi a dare solidarietà a Sironi i registi dell’Anac. «La Rai - sottolinea Francesco Maselli a nome di tutta l’Associazione nazionale autori cinematografici - sostiene sempre di non essere un finanziatore, ma un editore che rivendica il diritto di intervenire sulla specificità dell’opera. Comprensibile, la tv ha logiche diverse dal cinema che è un’industria di prototipi, deve lavorare a lungo termine, pianificare. Ma questo in alcun modo può avvenire sul cast e sul linguaggio narrativo, scelte specifiche dell’autore. La classica storia dell’editoria italiana ci mostra sempre come la scelta politico-culturale generale era riservata all’editore, che però non interveniva sull’opera. Pavese e Calvino non venivano certo riscritti, così come loro, da consulenti dialogavano con l’autore. Non imponevano come fanno molti editor, di cui conosciamo bene nomi e cognomi. La Rai deve, in primo luogo per se stessa, in quanto servizio pubblico, difendere l’autonomia e la coerenza creativa. L’audience non è il solo punto di riferimento. Deve esserlo la qualità e la ricerca di nuovi pubblici».

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