Le montagne russe dell'informazione
Dove eravamo rimasti? La domanda vale per qualunque argomento toccato dalle montagne russe dell'informazione. Di colpo, dopo aver occupato le prime pagine e i titoli principali dei telegiornali la notizia scompare dall'agenda (l'aviaria, per esempio), come non fosse mai esistita.
In altri casi la cancellazione dal menù informativo ha una giustificazione apparentemente più plausibile, per esempio nelle crisi internazionali. Finita l'emergenza, finita la guerra, il paese coinvolto si eclissa, sparisce così come era improvvisamente apparso, non ne sapevamo nulla e non ne sappiamo nulla, a parte i morti ammazzati (le telecamere sono sensibili solo se possono contare su un congruo numero di vittime). Dopo le ultime elezioni e l'assassinio del leader antisiriano, anche del Libano si erano perse le tracce, ora la nuova guerra lo ha riportato agli onori della ribalta mediatica.
Mentre siamo quotidianamente bombardati da ogni minimo, impercettibile sospiro di questo o quel politico, manca una continuità nell'informazione di politica estera, l'unica che consentirebbe di capire cosa accade nel mondo. Ogni tanto c'è l'eccezione, l'approfondimento giornalistico spinge lo sguardo al di là del cortile di casa. Succede di rado, per giunta di sabato pomeriggio, infelice collocazione oraria di un Tg2-Dossier dedicato all'Albania.
Dalle navi cariche di emigranti dei primi anni '90, alla guerra della ex Iugoslavia, al silenzio attuale. Il reportage di Gabriele Lo Bello ci racconta come si è trasformato il paese che dista appena settanta chilometri dalle nostre coste. Piscine, alberghi, luci, casinò, droga, armi, pedofili, insomma un paese come tanti. Uno sviluppo economico faticoso che mentre spera nel turismo, intanto divide la città dalla campagna, alimenta la convivenza di grandi ricchezze e povertà estrema. Le zone del nord (Scutari) dove manca l'energia elettrica, dove vige la legge tribale della vendetta, dove (Kukes) si raccolgono testimonianze di ferite ancora aperte. E il sud commerciale di Valona con le strade asfaltate, Durazzo e i suoi due miliardi di euro investiti nell'edilizia (un 30 per cento proveniente da riciclaggio), Tirana con le immagini del camion della polizia che passa per ritirare le armi ancora in possesso delle famiglie.
L'Albania è un detonatore potenziale ed è sufficiente mostrare la cartina geografia con i confini (Kosovo, Macedonia, Montenegro, Grecia) per rendersene conto. Anche se il giovane sindaco socialista di Tirana getta acqua sul fuoco («il futuro non è la grande Albania, ma la grande Europa»).
Il reportage si chiude sulla condizione dei bambini, tragica (gli orfanotrofi gestiti da pedofili) ma anche di grande speranza (le scuole, le attività culturali), perché è nelle future generazioni che si può intravedere la nuova Albania.
Per raccontare il Libano, e poter decifrare le immagini dei telegiornali, basterà aspettare i prossimi dieci anni.
nrangeri@ilmanifesto.it
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