Meglio la tv del telefono?

12 settembre 2006
Franco Carlini
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Picchiare sui perdenti è sport assai italico e non lo giocheremo, nemmeno se il perdente è l'ex monopolista telefonico che incombe sull'Italia con i suoi disservizi e che ha resistito a ogni vera apertura alla concorrenza. Ma questo gruppo dirigente, che nel dicembre 2004 si portò in casa la prosperosa mucca Tim, smontandone il gruppo dirigente, e meno di due anni dopo la ri-scorpora, è certo sconfitto e anche un po' pasticcione. La prima scelta (l'incorporazione) era industrialmente sensata, ma praticabile solo avendo meno debiti. Questi invece sono enormi e le schede Tim che milioni di persone comprano ogni giorno garantiscono appena di pagare gli interessi. Se l'altra discussa privatizzazione produrrà (forse) un gigante europeo delle autostrade, questa sembra finire al banco dei pegni.
L'errore di presunzione fu dunque originario, quella scalata con i soldi a prestito, ma con la catena di controllo saldamente assicurata dalle solite scatole multiple. Italica furbizia in cui Tronchetti Provera è solo uno dei molti rappresentanti. Nel mercato turbolento anche i migliori possono sbagliare, ma in altri paesi gli azionisti in rivolta esigerebbe un cambiamento totale, come nel leggendario «Una cadillac tutta d'oro» interpretato da una pugnace Judy Holliday nel 1956.
Molti commentatori assai amichevoli già appoggiano Tronchetti Provera, e tra questi l'ispiratore della Gasparri, l'ineffabile Antonio Pilati, passato direttamente dall'autorità delle comunicazioni a quella della concorrenza, sempre in quota della Cdl. Altri vanno più in là, sostenendo che in fondo la telefonia mobile non è poi questa gran cosa, che si può farne a meno e che, a differenza dello spot di Totti, si può riattaccare la spina del telefono fisso. Quale economica follia: se c'è una cosa di cui si può star certi è che il futuro è tutto mobile, con diversi apparati che si appoggiano a diverse reti, fruibili ovunque per ogni bisogno comunicativo. Vendere il mobile in questo caso è rinunciare al futuro.
L'altra faccia, invece potenzialmente interessante, è il più convinto proiettarsi di Telecom Italia verso la tv via Internet, anche alimentata dal magazzino di Murdoch e non solo suo: è l'ormai troppo lodata trasformazione in «media company». Il guaio è che non si tratta di un orizzonte vicino né tecnologicamente né come mercato. Se ha ragione Carlo Freccero nel sostenere che l'unica televisione che esiste (per ora) è quella in chiaro e generalista, unica sfera pubblica e mediatica, allora il vero atout di Tronchetti Provera, e di cui nessuno parla, si chiama piuttosto La7, specialmente in un contesto di legge Gasparri riformata, con la possibilità di creare davvero un terzo polo al di là di Rai e Mediaset. Scalando Telecom egli accettò il diktat di Berlusconi di tenere La7 in sordina (fatto, con gli interessi e con il sovrappiù di Giuliano Ferrara) ma ora può contare su sponde politiche diverse. Il terzo polo ci vuole (e anche il quarto, se è per questo), ma difficilmente nascerà da un capitalismo italiano che non sembra capace di fare industria senza appoggi nel governo di turno. Che si tratti di privatizzare i monopoli, che tali implacabilmente restano, o di ri-statalizzare la rete fissa della telefonia, l'altra partita eventualmente giocabile, l'ultimo gioiello della famiglia rimasto in cassaforte.

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