Le morti all'Ilva, giallo per un rapporto Usl dimenticato
ordinanza che minaccia la chiusura. Rossana Di Bello (Forza Italia): «Non si
baratta più il lavoro con la salute». I sindacati erano a conoscenza dei
pericoli per gli operai, ma non sono mai intervenuti. Il primo cittadino ha intimato di adeguare gli impianti, ma l'azienda respinge le accuse. La magistratura indaga sulle omissioni di controllo. Raddoppiati in 30 anni i decessi per tumore.
venerdi', 23 febbraio 2001
Un biglietto anonimo, lasciato nella buca delle lettere dell'associazione ecopacifista «Peacelink», per dire grazie dell'impegno a favore delle vittime dei fumi letali del centro siderurgico, 25 morti di cancro ai polmoni in otto anni. E poi un rapporto dell'Usl Taranto/4, datato 8 aprile 1995, dimenticato, o forse scomparso, per tutto questo tempo, ma riapparso due giorni fa, come per dar corpo ai sentimenti di riconoscenza contenuti in quel biglietto. Quindici pagine di descrizioni, grafici, tabelle. Per spiegare come fumi e polveri dell'Ilva di Taranto, «città dell'acciaio» tra le più grandi d'Europa, uccidevano operai e tecnici e ammorbavano interi quartieri, come il «Tamburi», ridotti a periferie della fabbrica. Ma anche quindici pagine di ammonimenti, corredati persino da una tabella sulle «morti attese», per far capire che se non si correv a subito ai ripari, quei killer dai nomi complicati, idrocarburi ciclici aromatici e benzoapirene, avrebbero continuato a uccidere. Non come prima. Ma più di prima, poiché il rischio aumentava con la durata dell'esposizione. Ma nessuno ha mosso un dito. E se non ci fossero state le ordinanze del sindaco, Rossana Di Bello, che da una decina di giorni impongono all'Ilva di adeguare gli impianti inquinanti, o di chiudere, forse quella mano anonima non avrebbe mai trovato il coraggio di far sapere a tutti che le omissioni possono uccidere come le emissioni di una cokeria siderurgica.
Omissioni di chi sapeva, e persino, ecco la cosa forse più triste, di chi aveva il ruolo «naturale» di difendere i lavoratori e invece ha taciuto. I sindacati, tutti - Cgil, Cisl, Uil, Cisnal, Confsal, Cisal -, di quel rapporto non hanno mai fatto parola. Eppure, è stato protocollato, con relativo timbro, dalla Camera del Lavoro-Cgil, numero 0651 del 14 aprile '95, così come dalle segreterie provinciali deg li altri sindacati. Eppure, riportava cifre dell'altro mondo, come le «punte» di 137 mila nanogrammi di benzoapirene (il valore soglia per persona è di 1 nanogrammo, cioè un miliardesimo di grammo) respirati dagli addetti ai coperchi della cokeria (come l'operaio ritratto dalla foto, scattata clandestinamente, che pulisce con una scopa ciò che dovrebbe essere ripulito da una macchina). Non è Taranto, 230 mila abitanti, a «contenere» il siderurgico. Ma gli 11 mila ettari dell'Ilva, due volte e mezzo la città, a contenere Taranto. Una convivenza forzata, in nome dell' industrializzazione a tutti i costi, che metteva d'accordo tutti, perché tutti, anche in buona fede, hanno creduto al mito del lavoro e della produzione senza limiti, sempre e comunque «vantaggiosa». Lo riconoscono anche Luciano Mineo e Nello De Gregorio, consiglieri regionale e comunale Ds, tra quelli che a sinistra hanno sempre denunciato quest'illusione e che oggi, per l'Ilva, si trovano contro anche gran parte del loro stesso partito, del sindacato, della sinistra.
«Va detto anche però - sottolinea Mineo -, che gli organi di controllo, su queste cose, non hanno fatto mai nulla». Le omissioni. Rieccole. Anche su questo sta indagando il pm Franco Sebastio. Vuol capire, tra le altre cose, perché per esempio il presidio multizonale di prevenzione, diretto da una vita dal dottor Nicola Virtù, ha certificato per la prima volta solo a novembre scorso l' elevatissima emissione di fumi inquinanti che ha permesso al sindaco Di Bello di emettere le sue ordinanze. Ma vuol capire anche come mai finora le rilevazioni siano state fatte con un sistema singolare: non su carta o su disco, ma solo «visivamente», su uno schermo, che le memorizzava appena per 48 ore, per poi cancellarle definitivamente.
Infatti, oggi, non esiste alcuna banca dati dei monitoraggi. «Quando invece per "misurare" il tasso di benzoapirene - spiega Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink - basterebbe un telefonino wap. Se vogliono, glielo forniamo noi questo servizio, gratis». Veramente, bisognerebbe prima dotare le 292 ciminiere industriali di Taranto (200 sono del siderurgico) dei sensori adatti. «Lo so, come so che va chiusa anche la Centrale termica 1 dell'Ilva - dice Rossana Di Bello -. Ma non possiamo fare tutto in una volta». All'Ilva, oggi, lavorano 12 mila persone, un terzo con contratti di formazione, e la paura di perdere posti di lavoro è forte. Il clima è incandescente, non meno degli altiforni dell' accia io. Tanto che oggi, su questo tema, si terrà un consiglio comunale monotematico che sarà seguito anche da stampa e tv straniere. «Mi tremava la mano quando ho dovuto firmare le ordinanze - confessa il sindaco -. Ma sono convinta di aver fatto la cosa giusta, perché siamo in una nuova era in cui non si può più barattare la salute con il lavoro». Un piglio che alla Di Bello, Forza Italia, ha fatto guadagnare stima e consensi tra gli ambientalisti, a sinistra (che ha registrato l'ennesima spaccatu ra) e persino tra quei sindacati che avevano ignorato il rapporto Usl del '95. All' Ilva, invece, Di Bello non dev'essere piaciuta. Tanto che Emilio e Claudio Riva, padre e figlio, non hanno voluto nemmeno incontrarla. Il gruppo Riva si limita, per ora, a respingere ogni accusa («Le emissioni sono entro i limiti di legge»), si dichiara pronto a investire 150 miliardi per il risanamento della cokeria e si dice pronto a collaborare con i tecnici nominati dal sindaco. Tempo massimo, 90 giorni. Poi, i progetti di risanamento della cokeria devono essere consegnati. «L'Ilva deve adeguarsi - afferma il sindaco -. Altrimenti deve risponderne. Non è giusto prendersela solo con il carrozziere o l'artigiano non in regola». E per essere più chiara, Di Bello ha chiesto alla Capitaneria di porto di non autorizzare la gigantesca idrovora per il raffreddamento degli impianti dell'acciaieria. «Brava», ha scritto in una lettera aperta il pm di Venezia, Luca Ramacci. «Brava, sì, ma vediamo se riesce ad andare fino in fondo», sussurrano alleati e avversari. Il dado però è tratto. D'ora in avanti nulla potrà essere come prima, in questa città che negli ultimi trent'anni ha visto raddoppiare i morti per cancro.
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