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«I veleni delle cokerie»

L’Arpa: necessario tenere gli impianti sotto controllo e adottare nuove tecnologie. Nuovo allarme ambientale: valori di diossina di gran lunga superiori al consentito anche in un campione di formaggio di produzione locale, fatto analizzare dall’associazione ambientalista PeaceLink
4 marzo 2008
Maria Rosaria Gigante
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno

- L’Arpa (agenzia protezione ambientale) studia il caso-Cornigliano e annuncia una specifica progettualità per Taranto che metta insieme le “molte competenze” necessarie della stessa Agenzia, del Politecnico, Università di Bari, Università del Salento, Cnr. “Un incontro utilissimo”, commenta il direttore generale dell’Arpa, Giorgio Assennato, riferendosi al seminario tenuto ieri a Bari sul tema “Impatto ambientale delle cokerie”, al quale ha preso parte il prof. Federico Valerio, dell’Istituto Tumori di Genova, uno dei chimici italiani più ferrati in materia.

Il chimico era stato incaricato dalla Procura della Repubblica, negli anni passati a Genova, insieme al dott. Valerio Gennaro, epidemiologo dell’Ist, ad effettuare una indagine sugli agenti inquinanti, in particolare Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), polveri, metalli, manganese, ed altri inquinanti ancora, al netto però delle diossine, e - nell’ambito di una parallela indagine epidemiologica - sugli effetti di queste sostanze sulla salute umana.

Da Genova, dunque, insegnamenti utili per Taranto. Dopo quelle consulenze scientifiche e le indagini della magistratura, Cornigliano chiuse. E’ la stessa strada che il caso suggerisce per Taranto? “La soluzione non deve essere necessariamente così drammatica”, replica Assennato. “Dobbiamo studiare soluzioni diverse. E’ opportuno che si faccia un programma per un monitoraggio serio”.

Intanto, da Genova, l’epidemiologo, il dott. Gennaro, mette in guardia: “Il caso Cornigliano può insegnare molto. Intanto, ci dice che quando la popolazione segnala un problema, quasi sempre ci azzecca. Anzi, quando si indaga, si scopre che il problema è sottostimato dalla gente e in realtà va ben al di là di quello che si pensa. Certo, le singole segnalazioni non sono sufficienti, ma è importante non sottovalutare.

Sono importanti campanelli d’allarme da verificare. Per cui occorre subito far partire indagini a tappeto. Purtroppo, invece, oggi il principio della precauzione è largamente snobbato”.

Intanto, da cosa partiva l’indagine genovese? A Cornigliano rispetto a Genova, tra l’88 ed il '95, la mortalità era aumentata del 23% tra gli uomini, del 55% per le donne e del 60% rispetto a Rivarolo. “Ma non erano solo leucemie ed altri tumori ad essere aumentati - dice il dott. Gennaro - C'era anche un altro 70% di patologie diverse correlate con un mix di fattori inquinanti”. Ma ciò che, soprattutto, la lezione genovese sembra voler insegnare è la stretta necessità che dati sanitari e dati ambientali sulle sostanze inquinanti, sulle sorgenti, sulla quantificazione delle emissioni, dialoghino tra loro. Bisogna scomporre le sottopopolazioni, dice l’epidemiologo, sapere dove sono distribuite le persone, che lavoro fanno, che malattie hanno contratto. “Oggi gli strumenti di un’analisi così dettagliata e precisa ci sono”, ribadisce.

Tante le patologie legate all’inquinamento: malattie circolatorie, tumori di vario tipo, demenza degenerativa e aterosclerotica, malattie del sistema nervoso, dell’apparato respiratorio e digerente, e, tra le patologie femminili, le malattie del sistema nervoso, cardiovascolare, cerebrovascolare, diabete mellito e tumori maligni del colon e del retto. Tra le malattie non neoplastiche, infezioni, malformazioni, ipertensione, patologie dell’apparat o
respiratorio renale ed epatico.

L’elenco di patologie correlate ai fattori inquinanti è lungo, ma soprattutto - dice Valerio Gennaro - “non c'è da attendersi che l’esposizione ad inquinanti dia effetti solo a lungo termine. Ci sono malattie e problemi di salute che possono essere innescati in poco tempo, soprattutto nei soggetti più fragili”.

«Peacelink»: sulle nostre tavole finisce anche il formaggio locale alla diossina

Saranno pronti martedì della prossima settimana i dati della seconda campagna di rilevazione delle emissioni di diossina dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva, campagna effettuata dall’Arpa (agenzia regionale di protezione ambientale), nell’ultima settimana di febbraio. Intanto, arriva un nuovo allarme: valori di diossina di gran lunga superiori al consentito anche in un campione di formaggio di produzione locale, fatto analizzare dall’associazione ambientalista PeaceLink. Mercoledì i dati saranno presentati nel corso di una conferenza stampa. Nessun allarmismo, però, mette in guardia l’associazione. “La cosa peggiore è quello che è avvenuto finora: nessuna attenzione”. Allarme no, ma sì a monitorare con attenzione la situazione ed a prendere i provvedimenti necessari.

Le emissioni di diossina e Pcb (policlobifenili tossici) provenienti da varie fonti inquinanti avevano già da tempo fatto spostare i livelli di attenzione sulla possibile ricaduta nella catena alimentare e, quindi, sulla salute umana. “Si badi bene che, per quanto riguarda ad esempio la diossina - dice Alessandro Marescotti (PeaceLink) -, sappiamo che solo il 2% viene ingerito per via aerea, il rimanente 98% entra nel corpo umano attraverso l’alimentazione, prevalentemente latte, formaggi, pesce”. Era emerso chiaramente qualche settimana fa quando erano stati resi noti i dati delle indagini promosse da un’altra associazione ambientalista, TarantoViva, su campioni di sangue di dieci volontari.

Ora, la conferma, sia pure in un altro campione ristretto, della presenza di diossina in un alimento di largo consumo dalle nostre parti. “Bloc - care le emissioni, individuare i terreni contaminati da diossine e Pcb, elementi diossino-simili, monitorare e alimentare il vestiamo con foraggio pulito e certificato in maniera tale che, una volta scaricata l’eventuale presenza di diossine e sostanze simili nel latte ed una volta certificata che il latte non è più contaminato, si possa produrre un prodotto garantito sul piano della sicurezza alimentare ”, indica Marescotti. Intanto, ambientalisti e allevatori varano una nuova alleanza. Per questo domani, all’iniziativa di PeaceLink, ci sarà anche la rappresentanza del Tavolo Verde. “Occorre evitare, però, che l’allarme si estenda anche a frutta e verdura, non coinvolte da contaminazioni interne di Pcb e diossine - prosegue però Marescotti -.

Questi sono elementi inquinanti che si depositano nelle materie grasse. Certo, c'è anche un problema di polveri di diossina, ma con un lavaggio accurato non c'è il rischio che si possano ingerire diossine”. Ulteriore questione: occorrono norme chiare e non in contrasto. Non ci sarebbe stato finora nel tarantino alcun provvedimento di divieto di pascolo, ma non si comprende bene se il decreto ministeriale 152 del 2006, che ha elevato di ben 60 volte i limiti (ben più restrittivi del precedente decreto 471/99) di Pcb nei terreni residenziali ed a verde pubblico, valga anche per i terreni a pascolo. Comunque stiano le cose, un allevatore rischia di utilizzare un terreno “sicuro” e trovarsi poi a produrre un prodotto da buttare via perché non a norma dal punto di vista della sicurezza alimentare

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