Non basterà domandarsi se chiudere o meno l´Ilva
Era il 1989 quando il governo della Ruhr decise di averne abbastanza dell´agonia ambientale e sociale che attanagliava quell´area industriale storica della Germania settentrionale. Avviò così il progetto Iba che in dieci anni cambiò il volto decadente e la stigma inquinante e socialmente degradata dell´area. Oggi, pur con grandi difficoltà, la Ruhr è un´area ad economia integrata turistico-produttiva, dove il gigantesco apparato siderurgico è sostituito da poche industrie produttive, aree verdi, parchi a tema. Sul drastico ridimensionamento industriale non vi erano convergenze assolute tra i cittadini, ma il processo di piano ha costruito visioni, scenari, politiche vieppiù condivise che oggi danno i loro importanti frutti.
Pur con dimensioni ridotte rispetto all´arcipelago industriale tedesco, anche il siderurgico di Taranto ha polarizzato le sorti socioeconomiche di un comprensorio policentrico per tanti decenni. A differenza della Ruhr, tuttavia, il consenso attorno all´inefficacia economica e la pericolosità ambientale è ormai evidente e diffuso. Ben agevolato peraltro dal vertiginoso calo di attivi industriali degli ultimi decenni (meno della metà rispetto al 1981).
Col chiaro vantaggio che una iniziativa pubblica di costruzione partecipata delle strategie di sviluppo può partire da basi più avanzate e condivise della Ruhr. Ma siccome alla meraviglia non c´è mai limite, il Comune di Taranto ha invece deciso di appoggiare il referendum consultivo di Taranto Futura per chiudere l´Ilva. Come se il problema dell´Amministrazione comunale fosse quello di contare burocraticamente i contrari all´inquinamento dimostrando che sono molti. Certamente il prefigurabile plebiscito costituirebbe una sveglia per il governo centrale, il quale tuttavia dispenserà non fondi a pioggia ma rampogne liberistiche o al più inonorabili promesse.
Certamente sarebbe ufficiale il benservito all´Ilva la cui chiusura e acquisizione dei suoli, però, costerebbe all´Amministrazione comunale poco meno di mezzo secolo di bilanci comunali devoluti in toto, a occhio e croce. Uno scenario ancora più grottesco considerando che si acquisiscono suoli contaminati dunque inutilizzabili (come ancora accade in parte della Ruhr) a meno di costose bonifiche. Per tacere, peraltro, dei problemi occupazionali indotti in particolare sullo hinterland metropolitano.
Insomma, il "day after" del referendum costituisce per l´Amministrazione comunale uno scenario in gran parte più spaventevole dello stesso dissesto. E nondimeno solo apparentemente paradossale, giacché comunque ambientalmente auspicabile ed economicamente migliorativo.
Con un paradosso che risiede non già nel legittimo e pionieristico referendum, ma nell´atteggiamento adattivo e gestionalmente rinunciatario dell´Amministrazione comunale tarantina. Laddove occorrerebbe visione di lungo periodo, strategia di rilancio ambientale ed economico per un futuro dignitoso, l´Amministrazione comunale cavalca semplicemente l´onda rivendicativa.
Laddove un frenetico lavorio amministrativo dovrebbe costruire sin d´ora processi virtuosi di integrazione (prima) e sostituzione (nel lungo periodo) industriale e occupazionale, si indugia su incomprensibili scaramucce burocratiche come nel progetto dell´Area Vasta. Laddove infine altri contesti vetero-industriali di pari dignità hanno per anni frequentato oscuri burocrati di Bruxelles costruendo e finanziando progetti di ampio rilancio territoriale, qui si esita nella routine del dissesto economico.
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