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La FIOM chiede di costituirsi parte civile

Un'organizzazione sindacale parte civile nel procedimento che ruota attorno all'infortunio mortale che verificatosi all'ILVA nel settembre del 2005 vide come vittima il giovane operaio Gianluigi Di Leo.
8 ottobre 2008
Fonte: Corriere del Giorno

Morti Bianche Un'organizzazione sindacale parte civile nel procedimento che ruota attorno all'infortunio mortale che verificatosi all'ILVA nel settembre del 2005 vide come vittima il giovane operaio Gianluigi Di Leo? Sarà questo l'interrogativo a cui dovrà dare risposta il prossimo 30 ottobre il gup del Tribunale che si sta occupando della delicata vicenda.

Sarà questo l'interrogativo a cui il giudice dovrà dare risposta prima di far partire l'udienza a carico delle 24 persone che, proprio per quel tragico episodio, rischiano di finire sotto processo. Ad aver chiesto di poter partecipare agli sviluppi giudiziari di questo caso è stata la FIOM CGIL che, tramite il suo legale di fiducia (avv. Massimiliano Del Vecchio), ha anche chiesto la citazione dell'ILVA come responsabile civile ed un risarcimento danni pari a 50mila euro. Una richiesta a cui il collegio difensivo si è comunque opposto sollevando una serie di eccezioni che dovrà essere valutata dal gup dott.ssa Valeria Ingenito. Il tutto prima che il tragico incidente diventi oggetto di discussione in aula.

I fatti di cui l'organo giudicante dovrà occuparsi risalgono a poco più di tre anni fa. Epoca in cui il giovane operaio (aveva 24 anni) perse la vita per un'assurda concomitanza di eventi. Un'assurda concomitanza che ha fatto finire nei guai un piccolo esercito di indagati. Secondo il titolare dell'inchiesta (a dirigere le indagini è stato il procuratore dott. Francesco Sebastio), ognuno degli inquisiti, fra cui capiturno, capicantiere, responsabili di reparto, tecnici ed operai, si sarebbe reso protagonista di condotte colpose risultate capaci di non scongiurare il tragico episodio.

Ad aver indotto la magistratura a chiedere il processo a carico degli attuali imputati è stato quanto emerso dalla ricostruzione della dinamica dell'incidente. Una ricostruzione resa possibile anche dai risultati degli accertamenti disposti sui due “carriponte” che dopo essersi scontrati provocarono il distacco di una trave d'acciaio (del peso di 40-50 chili) che andò a schiacciare il povero Di Leo. Un incidente terribile, reso ancor più agghiacciante dal fatto che la vittima ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato dopo aver ultimato il proprio turno di lavoro.

Stando agli esiti delle indagini, il violentissimo impatto fra i due macchinari fu causato dalla mancanza di un dispositivo che avrebbe dovuto evitare la collisione. L'incidente diede origine al distacco dai binari di una sbarra di metallo che, caduta da un'altezza di quindici metri, andò a centrare in pieno la testa dello sfortunato operaio, che stava per far ritorno a casa. La pesantissima trave sfondò il cranio del 24enne provocando una morte istantanea. I soccorsi furono immediati, ma tutto si rivelò inutile. La ricognizione cadaverica confermò che (proprio alla luce delle gravissime lesioni riportate dal giovane) niente e nessuno avrebbero potuto salvare Gianluigi.

Come riportato nel lungo capo d'accusa formulato al termine dell'inchiesta, sembra ci siano poche perplessità sul fatto che a risultare decisiva per la tragedia fu l'assenza del componente anticollisione su uno dei due “car roponte”. A giudizio dei tecnici che hanno avuto modo di esaminare i macchinari entrati in collisione, sarebbe stata proprio la mancanza del ricevitore di onde elettromagnetiche a “f avorire” il violento urto. Una conclusione che ha spinto gli inquirenti ad ipotizzare che se il segnalatore fosse stato installato, non sarebbe sorto alcun tipo di problema. Probabilmente, lo scontro non si sarebbe mai verificato anche perchè, qualora il sistema fosse risultato funzionante, il dispositivo di sicurezza avrebbe rallentato l'arrivo del trasportatore di bramme fino a farlo fermare in prossimità dell'altro.

Sulle cause che hanno determinato l'incidente gli inquirenti un'idea ben precisa ce l'hanno. Stando a quanto viene sostenuto dalla Procura, a seconda dei ruoli rivestiti nella vicenda, gli indagati non avrebbero posto rimedio ad uno stato di cose che si conosceva e che non poteva rimanere inalterato. A tal proposito, va ricordato che a seguito di una verifica della documentazione esistente in reparto gli investigatori scoprirono che appena due giorni prima della morte del giovane operaio pare che gli stessi “car riponte” fossero già entrati in collisione. Uno scontro di cui probabilmente nessuno ebbe contezza. Forse solo perchè in quell'occasione non si registrò alcun incidente. Eppure sarebbe bastato che quell'evento venisse valutato adeguatamente per scongiurare conseguenze di qualsiasi tipo.

Quello scontro avrebbe dovuto rappresentare un chiaro segnale d'allarme per chi lavorava nel reparto. Ma questo non avvenne. Secondo gli inquirenti, quell'incidente non sarebbe stato preso in seria considerazione, chi avrebbe dovuto porre immediatamente un rimedio non avrebbe fatto nulla. Una mancanza di iniziative che, per l'accusa, non avrebbe fatto altro che “favorire” il nuovo tremendo impatto che determinò il distacco della trave che andò ad uccidere il povero Di Leo. Una mancanza di iniziative che spetterà al gup dover valutare.

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