«Diossina nel latte delle mamme». Allarme a Taranto
TARANTO — Tre volte Seveso. Questa è oggi Taranto, misurata in diossina. Lo dicono i numeri. In quarantacinque anni cementifici e raffinerie, ma soprattutto il centro siderurgico Ilva, il più grande d'Europa, hanno sputato circa nove chilogrammi di diossina, più del triplo di quanti ne rovesciò la nube tossica sprigionatasi dallo stabilimento chimico Icmesa di Seveso, il 10 luglio 1976. L'ultima rilevazione, del 27 febbraio scorso, ha messo tutti davanti all'amara verità: nell'aria di Taranto, ogni anno, finiscono non meno di 200 grammi di diossina. Una quantità enorme, da Terzo mondo.
Nessuna meraviglia, dunque, di fronte ai risultati delle analisi fatte eseguire al laboratorio Inca di Lecce da Pino Merico, il pediatra che guida l'associazione «Bambini contro l'inquinamento», sul latte materno di tre donne di Taranto.
Valori che superano di 25 volte il limite massimo giornaliero di diossina e pcb (i micidiali policlorobifenili) ammesso dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Ugualmente nessuna meraviglia c'è stata nei giorni scorsi per l'esito delle analisi svolte dal laboratorio Inca di Venezia, commissionate dall'associazione «Taranto Viva», su dieci volontari tarantini, cinque dei quali ultrasessantacinquenni: in questi ultimi i valori di diossina e pcb sono risultati i più alti del mondo.
E ancora, nessuno si è meravigliato né per il cacioricotta alla diossina fatto analizzare dall'associazione «Peacelink », né per i due campioni di latte (su cinque, cioè il 40 per cento) analizzati a Teramo e a Lecce e risultati stracarichi di diossina e pcb.
La meraviglia non può abitare a Taranto. Perché qui — dicono gli esperti — la situazione è cronica. A Seveso il fenomeno fu acuto e si corse immediatamente ai ripari. Ma a Taranto in tutti questi anni non si è fatto nulla.
Per questa ragione, il 29 marzo scorso, con Pino Merico sono scese in piazza diecimila persone, tremila delle quali bambini. Dal governo e dall'opposizione tuttavia hanno continuato a dire che «non c'è un problema diossina». Invece non è così, ribattono gli esperti, a cominciare da Vittorio Esposito, del laboratorio Inca di Lecce, a cui si sono rivolte Arpa e Asl della Puglia per le analisi di aria e alimenti.
Il fatto è che le emissioni di diossina di Taranto sono legali, «nella media della altre aree urbane italiane », dice l'Arpa. Ma è proprio questo il cuore del problema. I limiti alle emissioni di diossina da impianti come l'Ilva sono di 4 nanogrammi per metro cubo, contro lo 0,4 imposto dalla direttiva Ue del 1996 (che è persino giudicata permissiva, dato che il limite per gli inceneritori è di 0,1 nanogrammi).
In Europa — dalle acciaierie inglesi di Sheffield, alla più avanzata Germania, dove il limite è di 0,1 nanogrammi —, si son dati da fare subito. In Italia, invece, per undici anni si è andati avanti a colpi di proroghe e rinvii. Adesso però il tempo è davvero scaduto. Dal primo aprile il nostro Paese è in piena procedura d'infrazione e se non si mette in regola pagherà centinaia di migliaia di euro al giorno di penalità.
A un impianto come l'Ilva, per esempio, il ministero dell'Ambiente (finora era stata la Regione) non potrà rilasciare l'Aia, cioè l'autorizzazione integrata ambientale, che è subordinata al rispetto dei valori europei e al monitoraggio continuo della diossina ed è a sua volta indispensabile per ottenere il rinnovo delle autorizzazioni a produrre per i prossimi sei anni.
In Friuli Venezia Giulia — dove c'è la ferriera di Servola che la confinante Austria tiene sotto continua osservazione per tutelare la propria produzione lattiero-casearia — il limite di emissione europeo è stato fissato con un semplice decreto del presidente della Regione. «Qui in Puglia invece, dove abbiamo persino un assessorato alla Trasparenza, non vengono pubblicati i dati delle analisi di aria e alimenti», dicono Alessandro Marescotti e Biagio De Marzo di «Peacelink». Mentre lo spettrometro di massa ad alta risoluzione, in dotazione all'Arpa e costato 400 mila euro, non funziona.
Qualcuno ha anche detto che non c'è da preoccuparsi, perché i limiti sono stati «moderatamente superati ». Ma, dice ancora Esposito, «un'espressione del genere all'estero è un nonsense. Sarebbe come dire che una donna è incinta, ma appena appena».
Guarda il Servizio del Tg Nazionale Leonardo su Rai3 sulle diossine nel latte materno
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